Ken Loach, la lotta continua

il regista britannico a Locarno per presentare "I, Daniel Blake"


Il magnifico ottantenne Ken Loach è sempre combattivo, coerente, ironico. Sa scherzare su tutto (“Il protagonista del mio nuovo film sarebbe stato a favore della Brexit, perché anche lui è ansioso di fare un dispetto a questi potentati economici che ci controllano”) ma è molto serio quando sottolinea che “la speranza non deve mai morire, Marx diceva che la fine del capitalismo sarebbe stata questione del suo secolo oppure di quello successivo, oggi non abbiamo tempo da perdere perché i guai portati dallo sfruttamento capitalista sull’uomo e sulla natura stanno facendo imboccare al mondo la via del non ritorno, o qualcosa cambia o siamo destinati a scomparire, e non lo dico per scherzo”.

Arrivato a Locarno per presentare il suo più recente “pugno nello stomaco” che è appena stato premiato a Cannes con la Palma d’oro, Loach è in gran forma. Forse è l’aria di un festival che gli ha sempre portato fortuna, forse è la speranza di poter vedere davvero qualcosa di nuovo. “Adesso il Labour Party in Gran Bretagna è guidato da Jeremy Corbyn. Jeremy è uno di noi, e ha buone possibilità di vincere le prossime elezioni. È una persona che può cambiare in meglio tante cose, potrebbe essere una speranza per una persona come il protagonista del mio ultimo film”. E di speranza Daniel Blake ne ha veramente bisogno. È  solo, contro tutto e contro tutti. L’oppressione si manifesta nel modo più subdolo, quello di usare lo schermo della burocrazia per rendergli impossibile la vita. Attento a non rivelare troppo di I, Daniel Blake, Loach, accompagnato da Dave Johns, il suo attore protagonista, spiega cosa fino ad oggi gli ha permesso di non perdere la speranza e a credere che con il cinema si possa ancora “cambiare il mondo”: “O si lotta o si va alla canna del gas. Per lottare però ci vuole speranza e spesso questa è narcotizzata, ridotta ai minimi termini dal potere, che  manipola l’informazione per controllarci, farci credere che nulla cambierà. Ci vuole coscienza di classe e non solo individuale. E in questo i film possono molto; possono seguire la verità e restituirla allo spettatore per aiutare appunto l’unione e la fiducia in se stessi e nel gruppo. ‘Agitare, educare, organizzare’, dicevano tanti anni fa nei sindacati. Ecco, credo che le prime due cose si possano fare attraverso il grande schermo. La terza azione però appartiene all’individuo, alle sue scelte”.

E sulla questione della ‘verità cinematografica’ ritorna anche Dave Johns, che non a caso è un quarantaquattrenne che interpreta un quasi sessantenne, a indicare ulteriormente quanto certe condizioni di vita possano nuocere alle persone: “Ho partecipato al casting per I, Daniel Blake perché mi avevano detto che Loach stava cercando un tipo della mia età con un accento particolare. Mi sono presentato senza troppe aspettative e al provino abbiamo parlato di calcio. Poi Ken mi ha proposto di fare un ‘provino misto’, ovvero in compagnia di altri attori che come me stavano cercando di avere la parte. Voleva vedere come avremmo interagito insieme. Ci ha fatto improvvisare, con me c’era anche Hayley Squires, l’attrice che poi è stata presa per interpretare Katie. Quando sono stato scelto ho capito che questo sarebbe stato il metodo usato in tutto il film. All’inizio ho avuto molta paura: Fino alla fine non ho letto cosa sarebbe successo al mio personaggio e così ho vissuto tutto quello che succedeva con il tempo di Daniel, seguendo una realtà molto più vera di quella prestabilita da un copione”. Rispetto a questo particolare metodo di lavoro, che ricorda quello di altri grandi della storia del cinema quali Rossellini e i tanti figli spirituali che il regista di Paisà vanta nel cinema mondiale, Loach ha spiegato che non sempre funziona come ci si aspetta (“d’altronde la verità si osserva e non si crea”): “Una delle scene più importanti  di Bread and Roses è quella in cui le due sorelle protagoniste si confrontano. Quella minore accusa quella maggiore di aver tradito il sindacato, così  quest’ultima che si era invece sacrificata moltissimo per aiutare la famiglia, rivela alla sorella piccola di aver fatto anche la prostituta pur di aiutarla. Ecco, noi avevamo scritto una sceneggiatura che loro non avevano ancora letto che prevedeva che le due a quel punto avrebbero litigato furiosamente. Invece non accadde, anzi ci fu una riappacificazione e un ritrovarsi. Rimanemmo senza parole, ma anche in quel caso evidentemente eravamo di fronte alla verità. Così abbiamo riscritto le scene seguenti alla luce di ciò che era accaduto fra le due attrici. Fortunatamente eravamo alla fine del film!

Fu un test importante anche per la scrittura, che non deve mai difendere troppo quello che crea, ma deve essere costantemente aperta a ciò che succede”. Verità dunque anche nel lavoro di scrittura e prima ancora nella ricerca della storia, che, spiega ancora Loach, “si è svolta con metodo scientifico. Io e il mio sceneggiatore, Paul Laverty, come due giornalisti abbiamo perlustrato tutte le zone industriali che ci interessavano, poi abbiamo intervistato la gente, i lavoratori, abbiamo frequentato i sindacati, le banche del cibo, cercando i contatti anche con i canali ufficiali, ma, come è facile intuire, quelli non rispondono mai, o ti mandano a parlare con il loro ufficio stampa che ha imparato a memoria quello che deve dire. Questa è stata la genesi di I, Daniel Blake, ma è il percorso che cerco di fare sempre nei miei film, che, come ho detto devono contenere la verità per restituirla allo spettatore e creare fiducia nella lotta”. E che “Ken il rosso” abbia grande fiducia nella lotta è un fatto. Sentite come chiosa: “meglio morire combattendo che morire in ginocchio”. 

Caterina Taricano
12 Agosto 2016

Locarno 2016

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Si è conclusa l’edizione numero 69 del festival di Locarno. Pardo d’oro al bulgaro Godless, che vince anche il premio per la miglior interpretazione femminile, grazie all’attrice Irena Ivanova. Il Pardo per la migliore regìa lo guadagna invece Joao Pedro Rodrigues con O ornitòlogo, pellicola attesissima a Locarno, che conferma la vocazione onirica del regista portoghese. Premi speciali a Scarred Hearts, del rumeno Radu Jude e Mister Universo, di Tizza Covi e Rainer Frimmel.

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