Best of Cinema 2023: i colpi di fulmine della redazione di “CinecittàNews”

18 titoli, dal “fenomeno Cortellesi” ai 'Perfect Days' di Wenders, passando per 'La chimera' di Alice Rohrwacher e l’esordio alla regia di Brando De Sica, fino all’ultimo film di Ryusuke Hamaguchi, senza poter dimenticare 'Io Capitano' e scoprendo il 'Respiro profondo' di Laura McGann


L’inverno sta iniziando e un anno se ne va, così è tempo di bilanci o, forse più, di suggestioni e emozioni, quelle suscitate dai 18 film che la redazione di “CinecittàNews” ha individuato come titoli tra i più convincenti e suggestivi del 2023, che hanno saputo lasciare un segno, offrendo conferme alle aspettative, stupendo e sorprendendo.

CRISTIANA PATERNO’

La chimera di Alice Rohrwacher

Una fiaba che mescola passato e presente, antiche civiltà e mondo contemporaneo, materialismo cieco e dimensione ultraterrena. Una storia d’amore che si muove in uno spazio ibrido in cui i vivi e i morti convivono e comunicano tra loro in modo naturale e allo stesso tempo magico. Alice Rohrwacher ha una visione matura e originale, uno sguardo d’autrice libero e coraggioso che conferma il suo talento, film dopo film. Con La chimera chiude una sorta di trilogia iniziata con Le meraviglie e proseguita con Lazzaro felice, narrazioni che non possono prescindere dal territorio in cui sono incastonate, quello della Tuscia, che è anche il territorio natale della regista e il motore di queste vicende come spazio antropologico. Con la magnifica fotografia di Hélène Louvart, La chimera evoca l’immagine di una comunità utopica di cui abbiamo più che mai bisogno.

Anatomia di una caduta di Justine Triet

La Palma d’oro di Cannes 2023 è un thriller psicologico e processuale per molti versi post-hitchcockiano che si può leggere come anatomia di una coppia e della sua crisi terminale. La bravissima attrice tedesca Sandra Hüller è un’affermata scrittrice sposata con un professore che da anni lavora a un libro in parte autobiografico ma non riesce a terminarlo e naviga nella frustrazione. Ma anche nel senso di colpa, dopo che il figlio undicenne della coppia, Daniel, ha perso la vista in un incidente all’uscita da scuola. Dopo la morte, forse non accidentale, dell’uomo, avvenuta in una baita sulle Alpi, una vicenda ambigua e sfaccettata si coagula attorno alla testimonianza del bambino non vedente: è lui, infatti, la chiave del processo, con la gravosa responsabilità di stabilire l’innocenza o colpevolezza della madre. La regista francese Justine Triet è abilissima nel creare una tensione a tratti spasmodica attraverso gli elementi e i dettagli sonori, a partire dalla scena iniziale, sovrastata da un brano musicale di 50 Cent (P.I.M.P.) sparato a tutto volume e reiterato ossessivamente. Ma anche confinando la protagonista nella trappola della lingua, straniera e quindi inospitale. Nel complesso il film è un pezzo di virtuosismo che ha lasciato il segno nello spettatore.

Foglie al vento di Aki Kaurismäki 

Più che mai chapliniano, il nuovo film Aki Kaurismäki è illuminato da una grazia tutta speciale che conferma il tocco unico e impareggiabile del grande regista finlandese, autore, recentemente, di titoli come L’uomo senza passato e Miracolo a Le Havre. Epopea sommessa dei perdenti, il film racconta la contrastata e tenera storia d’amore tra due cuori solitari nei bassifondi di una Helsinki grigia e triste, segnata da echi della guerra in Ucraina, che arrivano ogni volta che si accende la radio e dalla presenza angosciante della crisi economica. Gli esseri umani sono davvero foglie al vento, esposti a ogni minima casualità e variazione climatica e ambientale. Con due attori in stato di grazia (Alma Pöysti e Jussi Vatanen) legati da una chimica che si esprime attraverso sguardi e silenzi, il romanticismo si sposa con le digressioni ironiche e buffe. Il risultato di questa miscela è un film semplice, ma a suo modo complesso, che contiene un’immensa ricchezza di spunti, tra cui diversi riferimenti cinefili. Ma ciò che più conta è l’immensa e perfino ingenua umanità di Kaurismäki che traspare da ogni fotogramma.

NICOLE BIANCHI

Cento Domeniche di Antonio Albanese

Un’umanità e una disperazione commoventi, quelle di Antonio Riva, tornitore lariano al limite della pensione, interpretato da Antonio Albanese, alla sua quarta regia. Senza pietismi né luoghi comuni, ma guardando in faccia la verità del reale, “con Piero Guerrera – autore e  sceneggiatore storico di Albanese, ndr – continuo a rispettare e frequentare il mondo operaio e quello del film potevo essere io, perché sono uno che mi fido degli altri: volevo rappresentare questa tragedia, scoprendo anche fosse un tema mai rappresentato, o almeno dimenticato da qualche decennio, seppur quello operaio sia un mondo che ci sostiene da sempre, parliamo di 5mln di persone”. Nella storia filmica, la comunità locale vive una profonda ansia collettiva, così s’organizza una terapia di gruppo: l’angoscia morde e la vergogna altrettanto, portando a far sentire ciascuno in colpa. Quella dello psicologo, per Albanese, drammaturgicamente è stata “una lampadina, una rappresentazione molto teatrale e altrettanto vera, parliamo di persone che si svegliavano tremando”.

Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores

“La giovinezza e la vecchiaia sono solo una menzogna: lui è giovane, ma io sono Casanova”, afferma il settecentesco Giacomo, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, che recita la parte di un attore che recita il ruolo del veneziano, in un “film sul tempo che passa”, come dice il personaggio di Toni Servillo, nel film il regista Leo Bernardi, che “si occupa ossessivamente della sua vanità, della sua carriera, la vita gli va incontro e lui goffamente cerca di barcamenarsi tra la sua vita cinematografica e la giovane ragazza che con il mondo del cinema non ha nulla a che fare. Questo film suggerisce che la vita corre più veloce del cinema, si gira verso il cinema e gli fa maramao: è quello che accade a Bernardi e che Gabriele Salvatores ha raccontato con grazia” per Servillo. L’autore, oltre a una gamma di colori emozionali, usa anche due toni estetici, infatti sofisticate e suggestive sono le sequenze in bianco e nero, tra cui quelle dentro una casa domotica, inquietantemente capace di percepire addirittura la malinconia dell’umano, questione su cui riflette Salvatores stesso, per cui: “è il primo film in cui parlo un po’ di me, ma non è autobiografico. La casa del film, che ho comprato tre anni fa, è domotica, ma sono sempre stato affascinato dalla tecnologia che prende potere, sin dal cinema indie americano. Esiste la realtà o la finzione? La vita è sogno?”, si domanda – e ci domanda – il regista.

Perfect Days di Wim Wenders

La visione in anteprima a Cannes 2023 è stata una… visione (che per il pubblico italiano è fissata al cinema, dal 4 gennaio 2023): Koji Yakusho (Hirayama) è un gigante nel ruolo agrodolce del film di Wim Wenders, per cui l’autore tedesco spiega di essere “tornato all’idea dell’angelo. Penso sia un film profondamente spirituale”. Quella di Yakusho è una recitazione per sottrazione, fatta di dettagli, di micro espressioni del volto, spesso infinitesimali eppure altrettanto capaci di riverberare al di fuori un’ammutolente potenza dell’animo umano: questa perfect performace è infatti valsa all’attore giapponese la Palma per l’interpretazione. Perfect Days è il racconto della grandezza infinita dei piccoli gesti, della sensibilità emotiva insita nell’attenzione alle esigenze degli altri, e – parafrasando un titolo caposaldo dell’autore tedesco (Il cielo sopra Berlino) – della vita di un uomo, addetto alle pulizie dei bagni pubblici “sotto il cielo di Tokyo”, tetto naturale che Hirayama spesso rende soggetto, insieme alle fronde degli alberi e ai fasci di luce creati dal sole, delle sue fotografie, che scatta quotidianamente negli attimi di pausa dalle giornate cadenzate da una ripetitività che potrebbe sembrare alienante, mentre riserva per sé poche ma fondamentali passioni: la musica in primo luogo, accompagnato da icone come Patti Smith e i Kinks, e Lou Reed – da cui il titolo del film stesso, omonimo del brano musicale di culto.

ANDREA GUGLIELMINO

Barbie di Greta Gerwig

Non solo il fenomeno al box office dell’anno – surclassato in Italia soltanto dall’altrettanto intenso C’è ancora domani di Paola Cortellesi ed escludendo Avatar – La via dell’acqua che però è uscito alla fine del 2022 – ma anche un film intelligente, che riesce a conciliare una visione fortemente autoriale all’esigenza del marchio, portando avanti temi importanti (affermazione femminile e maschile, capitalismo, ricerca dell’identità) senza mai risultare pedante o artefatto. In sostanza, quello che manca alla maggior parte dei cinecomic di oggi, non a caso in inesorabile declino.

Oppenheimer di Christopher Nolan

Magari la monumentale opera nolaniana non è nelle corde di tutti – ad essere onesti, nemmeno di chi scrive – con i suoi dialoghi rarefatti e la mole immensa di un drammone da camera espanso all’infinito. Però merita assolutamente un posto nella classifica dei punti alti dell’anno per la sua innegabile presa sul pubblico, in quanto parte del fenomeno Barbenheimer, e per alcuni momenti di cinema altissimo come l’esplosione della bomba con il suono dirompente in inesorabile ritardo, ad accrescere una tensione accumulata per tutto il corso del film. L’audio è gran parte del pacchetto, con la colonna sonora di Ludwig Goransson a fare da contrappunto.

Mimì – Il principe delle tenebre di Brando De Sica

Superata la diffidenza per il titolo antifrastico e lo status di “figlio d’arte” del regista, Brando De Sica, che invece merita un plauso proprio per aver voluto fare tutto da solo cercando una produzione e incontrando anche molte difficoltà, questa visione dark – non su un gruppo di vampiri, ma su un gruppo di giovani appassionati di vampiri – risulta un affascinante mix tra diversi generi e sicuramente una delle più grandi sorprese dell’anno in termini di cinema “fantastico”. Non vediamo l’ora di scoprire l’opera seconda di Brando!

ALESSANDRO CAVAGGIONI

Spider-Man: Across The Spider-Verse di P.Lord, C.Miller e D.Callaham

L’avventura animata di Miles Morales prosegue con un secondo capitolo ancora più strabiliante. Una festa di colori e tecniche d’animazione, orchestra di possibilità, visive e narrative, che sa sfruttare il multiverso per parlare di libertà creativa. Ci emoziona e commuove il tentativo di Miles di salvare il padre dalle regole del “canone narrativo”, che ha già scritto per lui il finale. Il nostro eroe non ci sta: contro tutti, persino contro la sua stessa storia, si avventura nel multiverso per evitare l’inevitabile e diventare artefice del proprio destino. Allo stesso modo, l’animazione si libera da ogni restrizione e diventa pura libertà, alternando tecniche e soluzioni, trovando nel colore storie e nella sua negazione risposte. L’incontro perfetto tra intrattenimento e arte. Con il fiato sospeso, attendiamo ora la seconda parte.

Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi 

Dal regista premio Oscar, Ryusuke Hamaguchi, una sinfonia di immagini e suoni nata dal rapporto con il musicista Eriko Ishibashi. La pura contemplazione naturale si alterna alla vicenda di un villaggio non lontano da Tokyo, dove gli abitanti si oppongono alla costruzione di un camping per turisti. Proteggere la Natura viene al primo posto e Hamaguchi la inquadra trasmettendo l’incanto e la sorpresa continua di un bosco che rinnova se stesso a ogni sguardo. Le contraddizioni della contemporaneità vengono a galla e l’autore le offre senza sostituirsi mai alla libera interpretazione dello spettatore. Un cinema delicato ma consapevole, che si imprime negli occhi e affonda nel cuore, ulteriore dimostrazione dell’inesauribile sensibilità del regista di Drive My Car.

Killers Of The Flower Moon di Martin Scorsese

A 81 anni, Martin Scorsese non ha ancora smesso di narrare le radici americane, svelando al popolo statunitense origini ed esiti della propria Storia. Killers Of The Flower Moon è l’ultimo dei numerosi gangster movie di Scorsese, ma è anche, ovviamente, molto di più. È un viaggio spirituale, una ricerca di senso nel tempo che cambia: l’efferata strage di una tribù di Osage diventa l’occasione per un controcampo che riscrive le leggende dei cercatori d’oro americani, dei pionieri di un Paese dal passato inscritto anche nel sangue. Scorsese riunisce su schermo tre premi Oscar (Leonardo DiCaprio, Robert De Niro e Brendan Fraser) e, con una regia sempre perfetta, adatta l’omonimo best seller di David Grann, alternando epopea e saga familiare. Menzione d’onore all’incredibile Lily Gladstone.

CARLO D’ACQUISTO

Respiro profondo di Laura McGann

Sulla falsariga del cult premiato agli Oscar, Free Solo, Respiro profondo è un documentario che ci porta a conoscenza di uno sport estremo, in questo caso il freediving (l’immersione in apnea), e dei suoi più abili e spericolati interpreti. Il film di Laura McGann ci racconta le storie vere della primatista mondiale d’apnea, l’italiana Alessia Zecchini, e dell’assistente apneista irlandese Stephen Keenan, intrecciate in una trama epica dall’esito tragico. Un documentario al cardiopalma che si divora fino all’ultima scena, toccante e adrenalinica, inseguendo i sogni e le avventure di persone disposte a tutto – anche alla morte – pur di superare i propri limiti.

Rapito di Marco Bellocchio

Accolto tra gli applausi al Festival di Cannes, l’ultimo film di Marco Bellocchio è a mani basse uno dei migliori italiani dell’anno, come conferma il trionfo ai Nastri d’argento. Raccontata con un’eleganza formale magistrale, la storia vera del piccolo Edgardo Mortara e della sua conversione forzata dall’Ebraismo al Cattolicesimo travalica le epoche e ci colpisce con forza. Anche nella nostra società secolarizzata, l’aberrante ingiustizia di un bambino privato dei propri affetti e della propria identità familiare non può lasciare indifferenti. Certamente Rapito non lo ha fatto.

The Holdovers – Lezioni di vita di Alexander Payne

In Italia lo hanno visto ancora in pochi, ma a livello internazionale è già uno dei principali protagonisti della stagione dei premi. Dopo l’anteprima al Torino Film Festival, il film arriverà nelle sale il 18 gennaio e anche il pubblico italiano potrà apprezzare la nuova perla cinematografica di Alexander Payne, che ci racconta del rapporto sorprendente tra uno studente ribelle e un burbero docente. Un film caldo e confortevole, arricchito dalle interpretazioni già pluripremiate di Paul Giamatti, del giovane Dominic Sessa e di Da’vine Joy Randolph.

GIOVANNA PASI

Io Capitano di Matteo Garrone

Pluripremiato e designato dall’Italia alla corsa per l’Oscar, il film, girato totalmente in sequenza, racconta il viaggio di due ragazzi senegalesi verso il sogno dell’Europa, attraverso il deserto, gli orrori della detenzione libica e i pericoli del Mediterraneo, con il respiro di un grande romanzo avventuroso e l’epica di un’Odissea contemporanea. La scelta narrativa e stilistica all’insegna della massima autenticità, che mai inciampa nell’approccio documentaristico, permette al regista di Pinocchio di richiamarne in parte la storia, superandola perfino nei tratti onirici, per offrire un controcampo senza precedenti – lo sguardo dei due giovani protagonisti – su un tema che al mondo è narrato da un unico punto di vista e fatto di soli numeri.

The Old Oak di Ken Loach

A 87 anni, il regista britannico due volte Palma d’Oro a Cannes realizza un film del tutto nuovo, che rappresenta la “summa” di molte sue opere precedenti, con il valore aggiunto di lasciare uno spazio anche alla speranza. Oltre che sulla condizione dei lavoratori sfruttati e/o disoccupati di questa parte del pianeta, infatti, lo sguardo di Loach si concentra stavolta anche sul dramma dei rifugiati, e ci parla della delicata convivenza tra questi due mondi, mettendo a nudo le non poche contraddizioni del primo. Solidarietà, forza e resistenza sono le tre parole al centro della storia, che ci mostra come il futuro dell’umanità sia solo nell’accoglienza, nel dialogo e nella reciproca conoscenza.

C’è ancora domani di Paola Cortellesi

Un esordio “col botto” che si trasforma in pochi giorni nel “fenomeno Cortellesi”, osannato dalla critica e dal pubblico, anche Oltreoceano. Campione d’incassi italiano di tutto il 2023, supera il premio Oscar La vita è bella di Benigni ed entra in top10 del box office di tutti i tempi del nostro Paese. L’opera prima dell’attrice e regista romana, girata tra il quartiere romano di Testaccio e gli Studi di Cinecittà, coraggiosa nello stile e mai scontata nell’arco narrativo, è ambientata negli Anni ’40: un omaggio al Neorealismo rosa, che racconta – in un impeccabile bianco e nero – la condizione di tante donne di ieri e di oggi, senza voce e vessate in famiglia per un patologico senso di possesso, divenendone il manifesto intergenerazionale nelle piazze italiane.

 

 

redazione
30 Dicembre 2023

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