“Mister Universo” e “The Challenge”: due viaggi tra passato e presente

Tizza Covi e Rainer Frimmel in concorso al festival di Locarno con un film sul circo. Yuri Ancarani presenta il suo primo lungometraggio nella sezione cineasti del presente


Mister Universo ha ottantasette anni, è originario della Guadalupe ma abita in Italia, nelle brumose pianure di Varallo Pombia, vicino a Novara. Il suo nome vero è Arthur Robin anche se è passato alla storia come “l’Ercole Nero”. È stato lui infatti il primo campione di colore a guadagnarsi il titolo più importante del body building, nel lontano 1957. E intorno a lui, alla sua fama leggendaria, dovuta alla sua abilità di piegare il ferro a man nude, Tizza Covi e Rainer Frimmel hanno costruito il loro ultimo film, Mister universo, appunto, unica pellicola che parla italiano (la produzione però è austriaca) per l’edizione numero 69 del festival di Locarno.

“Conosciamo Arthur da moltissimo tempo – spiega Tizza Covi – il suo mondo, la sua storia ci hanno affascinato da subito. Così abbiamo pensato che appena ci sarebbe stata l’occasione lo avremmo coinvolto in un nostro progetto. Abbiamo fatto di più: abbiamo scritto un film in cui lui è il motore e il fine della storia e in cui vive come il simbolo di un mondo che sta scomparendo e che noi volevamo a tutti i costi raccontare”. Il mondo che sta finendo è anche quello di Tairo e Wendy i due giovani artisti circensi che non si riconoscono più nel loro mestiere: Tairo è un domatore di tigri e leoni che fatica a lavorare (gli animali sono vecchi e stanchi, qualcuno è morto e non è più così facilmente sostituibile) e Wendy ha delle difficoltà con il suo numero da contorsionista per via di un problema alla schiena. La crisi per Tairo è tutta da attribuirsi alla sfortuna, che si convince di aver perduto insieme all’amuleto che tanti anni prima Mister Universo gli aveva regalato. Per Wendy invece la cattiva sorte dell’amico dipende dal malocchio. Affidatisi ognuno a modo proprio alla superstizione (“per Tairo la felicità è assicurata da un oggetto portafortuna, mentre per Wendy l’unico modo di aiutare Tairo lo indicano i tarocchi”, sottolinea la Covi)  si mettono sulle tracce di Arthur, convinti di poter far cessare la mala sorte grazie ad un nuovo talismano creato da lui. “Il loro viaggio – aggiunge Frimmel –  si trasforma così, inevitabilmente, in una spasmodica ricerca della propria identità, quella sì, davvero smarrita, in una società in cui per chi fa quel mestiere non si vede il futuro”.

Il tempo che non torna è incarnato da personaggi che rappresentano chiaramente la fine di un’epoca, come lo zio di Tairo, cantante di balera che rinnega il suo passato, o la scimmia che ha lavorato con Adriano Celentano ne La dolce vita, ma che ormai, anziana, vive appollaiata su una sedia mangiando noccioline.  “Gli animali nel nostro film sono importantissimi – dice la Covi –  simboleggiano un tipo di vita, quella del circo, che tra qualche anno non esisterà più; e infatti sono tutti stanchi e malandati. Volevamo fotografare questo mondo che si sta esaurendo e che da tempo seguiamo con grande interesse – non a caso abbiamo scelto ancora una volta di usare la pellicola, anche questo il simbolo di un periodo finito per sempre. Tairo lo abbiamo conosciuto molti anni fa  mentre giravamo La pivellina. Come facciamo con tutti i nostri personaggi, non lo abbiamo mai perso di vista e così appena si è presentata l’occasione gli abbiamo proposto di fare se stesso in questo film”. Il confine tra finzione e documentario quindi, ancora una volta, per la coppia Covi- Frimmel è volutamente molto labile: “Il fatto di utilizzare spesso gli stessi volti per i nostri film ci aiuta ad eliminare la distanza tra la realtà e la macchina da presa. Diventiamo talmente simbiotici con i nostri attori che nonostante la presenza della cinepresa continuano ad essere molto naturali. E poi Tairo è perfetto: dice le cose sbagliate al momento giusto; come nella realtà sa essere molto simpatico ma anche molto antipatico”.

Gli animali tornano anche in un altro  titolo italiano di estetica e costruzione molto diversa da quella di Mister Universo. Si tratta di The Challenge, firmato dall’artista visivo Yuri Ancarani, che dopo diversi cortometraggi passa a un documentario di 65 minuti. Il film, presentato nella sezione cineasti del presente, racconta la passione degli abitanti del Qatar per la falconeria. Un viaggio che comincia su un aereo, in compagnia di un falconiere che sta portando i suoi falchi da competizione ad una gara e che si conclude nel deserto, dove Ancarani ci mostra subito la contraddizione di una società opulenta e disturbante. Le tradizioni, prima fra tutte la storica competizione dei falconi, hanno subito una sorta di “mutazione genetica”, ci dice il regista e anche lì, come nel resto del mondo, la dimensione spettacolare ha preso il sopravvento:  Telefonini di ultimo modello per filmarsi insieme al proprio ghepardo da compagnia, playstation per giocare a calcio sotto le tende, una piccola telecamera attaccata alla testa del falco per filmare l’inseguimento e schermi giganti in mezzo alle dune per seguire il torneo. A interessare Ancarani è soprattutto questo: la ritualità della preparazione, che diventa la chiave per comprendere che “la caccia del falcone per gli abitanti del Qatar non è un semplice hobby è soprattutto il desiderio di tornare al proprio passato, di riscoprirlo, anche se attraverso la modernità. Il richiamo del deserto continua ad essere fortissimo, nonostante le città ultra moderne che costruiscono. Poco importa che non ci vadano più con il cammello ma con il fuoristrada”.  

Caterina Taricano
07 Agosto 2016

Locarno 2016

Locarno 2016

Pardo d’oro a Godless

Si è conclusa l’edizione numero 69 del festival di Locarno. Pardo d’oro al bulgaro Godless, che vince anche il premio per la miglior interpretazione femminile, grazie all’attrice Irena Ivanova. Il Pardo per la migliore regìa lo guadagna invece Joao Pedro Rodrigues con O ornitòlogo, pellicola attesissima a Locarno, che conferma la vocazione onirica del regista portoghese. Premi speciali a Scarred Hearts, del rumeno Radu Jude e Mister Universo, di Tizza Covi e Rainer Frimmel.

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Ken Loach, la lotta continua

Il festival di Locarno chiude la sua edizione numero 69 incontrando uno degli ospiti più attesi. Il regista che da sempre è attento alle tematiche sociali ha presentato al pubblico festivaliero la sua ultima fatica, vincitrice della Palma d’oro a Cannes, I, Daniel Blake. Accompagnato dall’attore protagonista Dave Johns, ha raccontato quanto sia ancora importante credere in un cinema che aiuti la gente ad avere fiducia nel futuro e a lottare per un una società più giusta: “O si lotta o si va alla canna del gas. Per lottare però ci vuole speranza e spesso questa è narcotizzata, ridotta ai minimi termini dal potere, che manipola l’informazione per controllarci, farci credere che nulla cambierà. Ci vuole coscienza di classe e non solo individuale. E in questo i film possono molto. ‘Agitare, educare, organizzare’, dicevano tanti anni fa nei sindacati. Ecco, credo che le prime due cose si possano fare attraverso il grande schermo. La terza azione però appartiene all’individuo, alle sue scelte”.

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“La natura delle cose” ai confini dell’umano

La malattia come missione per esplorare i limiti dell’umano: è questo concetto a guidare il viaggio cinematografico nel 'fine vita' compiuto da Laura Viezzoli con La natura delle cose, opera prima selezionata fuori concorso al festival di Locarno 2016. Attraverso l’esperienza di Angelo Santagostino, immobilizzato dalla Sla e in comunicazione con il resto del mondo solo grazie al suo pc, il documentario affronta le delicate questioni dell’eutanasia e del rifiuto dell'accanimento terapeutico. Il racconto dell’inesorabile progredire della malattia, che allontana poco a poco Angelo dalla vita e dalla sua capacità di relazionarsi con gli altri è affidata alle impressioni e ai ricordi dello stesso protagonista (a dargli la voce è l’attore Roberto Citran), ma anche ad un ricco repertorio di immagini relative alla vita degli astronauti e alle loro imprese spaziali. In questo continuo confronto Angelo Santagostino non è il malato di cui avere pietà, ma un esploratore alla scoperta dell’estremo, del “vivibile” e dell’“invivibile” umano, che come un astronauta sospeso nello spazio galleggia in un corpo non più suo lontano dalla vita terrena.

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Stefania Sandrelli: Quando mi batteva forte il cuore per De Niro

Stefania Sandrelli, ospite a Locarno per ricevere il Leopard Club Award, ripercorre i suoi cinquantacinque anni di carriera raccontando i suoi esordi al cinema, i suoi maestri, i film e i tanti successi. Nei suoi ricordi però anche i momenti difficili: quando ha dovuto dire no a Coppola e Fellini e rinunciare a un film con Robert De Niro: “Ci siamo incontrati qualche anno dopo per Novecento, e quando lo vidi il mio cuore batteva forte forte. Lo confesso, e lo faccio per la prima volta: ho preso una bella cotta per De Niro. Ma chi non l'avrebbe presa? Era così bello, così bravo..."


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