‘Fellini by Fellini’, il documentario ritrovato

Presentato alla Casa del Cinema in occasione dei 30 anni dalla morte del regista il film con l'intervista perduta di Jean-Christophe Rosé


ROMA – Sul sipario ormai calato della 18ma edizione della Festa del Cinema di Roma un’immagine proiettata riporta gli spettatori alle poltrone: si intravede un uomo, una mano sulle gambe incrociate e l’altra sul mento. È Fellini, e con la sua fioca voce (“nulla a che fare con quella di Blasetti” dirà) si racconta tra fantasticherie e sprazzi di realtà.  Le immagini le catturò nel 1981 Jean- Christophe Rosé, che nel 2001 scoprì con sua sorpresa di aver perso per sempre molte delle tracce audio di un’intervista lunga tre giorni. Dalla disperazione l’idea: Fellini by Fellini (in originale Fellini, Confidences Retrouvée), presentato oggi alla Casa del Cinema di Roma e realizzato con i pochi frammenti rimasti di intervista, un composto voice over e tante materiali d’archivio.

Il risultato è il tripudio di sorpresa e onirismo che ci si aspetta dall”inquilino di Cinecittà’, soggetto protagonista di questo documentario che ne racconta i primi passi, il successo, ma anche le tante ombre interiori. Un viaggio nel mondo artistico di Fellini e dell’Italia che attraversò, dai primi ricordi del Fascismo alla lotta contro le televisioni private, che vedeva come il male assoluto per l’arte. “Il cinema è il mio alibi” dichiara in un passaggio il regista, di cui scopriamo i video dietro le quinte in cui dà ordini dallo storico megafono e mima le azioni delle attrici sul set.

Fellini by Fellini dura appena un’ora e riesce nel raro compito di essere incisivo nel sezionare porzioni di vita di chi probabilmente fu più grande della vita stessa. Consci dell’indistinto rapporto che Fellini intercorreva tra realtà e finzione, non è tanto il fatto storico riportato dal regista a interessare, quanto il modo dell’espressione. “Fellini rendeva tutto interessante” racconta alla gremita Sala Cinecittà della Casa del Cinema il regista Jean-Christophe Rosé. “Quello che più mi ha colpito di lui è stata l’intelligenza: qualsiasi cosa che diceva, una sedia, una scarpa, marzo, una poltrona, il Papa, lo faceva in maniera talmente originale e paradossale, sempre semplice, perché non era mai intellettuale, che rendeva tutto più che reale. Così ho capito che dentro il suo amore per l’onirismo c’era il suo modo di ancorarsi alla realtà, per questo i suoi film parlano ancora a noi, a volte persino con tratti premonitori”. In sala anche l’attore Sergio Rubini, che per Fellini recitò in Intervista e ancora oggi porta con se il ricordo “della sua semplicità”. Per Rubini “Federico poteva sembrare un professore di Lettere, la sua genialità e la sua anomalia stava tutta nella sua normalità”.

Il documentario percorre le tappe del mondo felliniano senza saltare i capitoli più ardui, dal sogno mai realizzato del mitico viaggio di Mastorna alle delusioni degli ultimi anni, quando si chiese “dove è finito il pubblico”. Quel pubblico che per La Dolce Vita scatenò lo scandalo – “non volevo dare inizio a una guerra civile, volevo solo fare un film” dirà Fellini – e che per un attimo sembrò farsi distrarre, secondo l’artista, da piccoli schermi e telecomandi. Un pubblico che oggi non dimentica, soprattutto a 30 anni dalla sua scomparsa, e che si riversa in sale piene di fine Festival (di una domenica caldissima), pronte a ridere per le stramberie che Fellini sembra fare proprio per noi, come in un gioco che mette in scena a favore di camera.

Alessandro Cavaggioni
29 Ottobre 2023

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