Mattia Colombo: alberi e uomini

Alberi che camminano, il documentario di Mattia Colombo, è evento speciale in anteprima mondiale al 55/mo Festival dei Popoli di Firenze


Dal Trentino alla Puglia, dalle vette e i boschi fino al litorale sabbioso e al mare. Un viaggio con lo scrittore Erri De Luca per scoprire la seconda vita degli alberi. L’albero, come l’uomo, si muove e si trasforma. Il suo legno diventa nave, scultura, strumento musicale, matite, croce di vetta, libro. E’ Alberi che camminano, il documentario di Mattia Colombo, evento speciale in anteprima mondiale al 55/mo Festival dei Popoli di Firenze. Nato da un’idea di Erri De Luca e scritto a quattro mani con il regista, il film è stato realizzato con il contributo dell’Apulia Film Commission e della Trentino Film Commission.

Il titolo prende spunto da una frase del Vangelo secondo Marco. “Vedo gli uomini – dice il miracolato a Gesù – poiché vedo come degli alberi che camminano”. Come spiega il regista Mattia Colombo. Un viaggio che intreccia la vita degli alberi a quella degli uomini.

Qual è stato il vostro percorso produttivo?

E’ un viaggio il film ed è stato un viaggio il nostro lavoro di produzione. Siamo partiti dal soggetto di Erri De Luca che lanciava la suggestione centrale: raccontare la vita di questo legno che diventa diverse cose e con diverse simbologie. Per cercare le storie ci siamo messi in viaggio per tutta l’Italia, alla ricerca di gente interessante e che avesse a che vedere con questo rapporto antico tra l’uomo e il legno e che potessero parlarcene. In queste due settimane di sopralluoghi abbiamo trovato le nostre storie.

Qualche esempio, di storie e di luoghi?

C’è un gruppo di boscaioli del Trentino, sull’Adriatico abbiamo filmato e visto nascere una nave, seguiamo la trasformazione di alcuni strumenti musicali, che diventano prima violini e poi clarinetti. Abbiamo scelto il Trentino perchè si dice che ci siano mille alberi per ogni abitante e in effetti lì abbiamo trovato molto materiale utile. In Puglia abbiamo scoperto i maestri d’ascia, coloro che sagomano la forma della prua della barca a colpi d’accetta. Abbiamo passato molto tempo con i nostri personaggi, tirando fuori la telecamera in un secondo tempo, dopo tante chiacchiere per sciogliere il ghiaccio e conoscerci meglio. 

Nel documentario ci sono alcuni riferimenti al libro di Erri De Luca “Il peso della farfalla”. Un romanzo che porta con sé un sentimento di morte, con il taglio di questi alberi vivi e che riprendono “vita” sotto altre fattezze. Come avete affrontato questo aspetto delicato?

Intanto voglio precisare che nessun albero è stato tagliato per fare questo film e abbiamo fatto lunghe scarpinate per raggiungere i tagliatori d’alberi di professione. E’ vero che in alcuni momenti c’è un senso di morte, con il riferimento alla parabola del cieco di Betsaida e alla croce come strumento di supplizio. Però il film parla soprattutto di rinascita, per esempio quando andiamo a trovare una cooperativa che utilizza il legno come terapia utile alle persone che hanno bisogno di ricominciare a vivere, in seguito a gravi perdite affettive o traumi. “Uno scrittore che con le sue pagine si sparge negli scaffali del mondo è in debito con gli alberi.

Uno scrittore deve un bosco al mondo”. Parole di Erri De Luca da ‘L’ospite incallito’. Ne avete tenuto conto?

Io sono stato incaricato a dare visione alla poetica di Erri e ho cercato di rendere in immagini il suo bisogno di raccontare la sua storia. In questa sua dichiarazione ci vedevo la sua necessità di parlare degli alberi, con cui si sentiva in debito, perchè diventano la carta su cui lui scrive e comunica al mondo le sue parole. Per questo compare come uno dei protagonisti, sia come voce narrante che come attore di se stesso.

02 Dicembre 2014

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