‘Io Capitano’, ne parlano Jane Campion e Matteo Garrone

Alla vigilia dell’uscita nelle sale USA, in esclusiva su Variety un imperdibile talk tra i due cineasti


Una vera chicca.

Il video che Variety pubblica in esclusiva è pura musica per le orecchie dei cinefili che attendono con ansia la cerimonia di premiazione degli Academy Awards. Semplicemente, una godibile conversazione tra amici, o meglio ‘colleghi’: da un lato il regista di Io Capitano, candidato italiano all’Oscar come miglior lungometraggio internazionale; dall’altro Jane Campion, la grande regista, sceneggiatrice e produttrice neozelandese, già vincitrice della statuetta più ambita del cinema mondiale (Lezioni di piano), che sostiene il film di Matteo Garrone fin dalla primissima ora.

A settembre scorso era stato Guy Lodge, il critico della più prestigiosa testata di spettacolo statunitense, a tessere lodi sperticate nei confronti di Io Capitano, definendoloil film più ‘robusto’ e importante di Garrone dai tempi del suo successo internazionale con Gomorra, 15 anni fa” e “il più forte candidato italiano all’Oscar degli ultimi tempi”: oggi la scelta di pubblicare questo video, un altro riconoscimento più che positivo per il lungometraggio, già pluripremiato, a poche ore dalla sua uscita negli Stati Uniti, il ​​23 febbraio, con Cohen Media Group.

“È un film molto amato, perché chiunque lo veda non può fare a meno di empatizzare con i protagonisti del tuo film”, dice una super sorridente Jane Campion. “In particolare Seydou, il Capitano al centro della tua storia. La sua autenticità, la sua compassione, tutta la sua performance apre il cuore: è bellissima, davvero sorprendente. Ho tante domande su come hai incontrato questi ragazzi: senza di loro, non riesco a immaginare come sarebbe stato il film, sembra tu lo abbia scritto sulle loro spalle”.

“Quando trovi un attore come Seydou è un regalo”, ammette Garrone. “Anche un po’ fortunato, perché lui viene da una famiglia di attori. Sua madre e sua sorella erano attrici in una piccola cittadina vicino a Dakar, ma il suo sogno era diventare un calciatore, quindi non voleva partecipare al casting. Sua madre è andata a prenderlo mentre giocava a calcio per obbligarlo, e finalmente è arrivato. Ed era così puro, così autentico. Così umano. (…) Ho fatto tanti casting anche in Europa: a Parigi, in Italia…”, continua il regista. Ma i ragazzi erano completamente diversi. Era importante per la sceneggiatura che ci fosse qualcuno che non conosceva l’Europa, che sognasse l’Europa come il nostro personaggio (…) Gli attori che ho scelto non erano mai usciti dal Senegal e ho deciso di non dare loro la sceneggiatura. Quindi non sapevano cosa sarebbe successo e non sapevano se sarebbero riusciti ad arrivare in Europa oppure no”.

“Oh mio Dio!”, esclama la cineasta. “Lo hai fatto per attirare ancor più l’attenzione su quel che sarebbe potuto succedere…”

“Non lo sapevano, perché c’era un legame sottile tra il personaggio e la persona”, spiega il regista. “E poi perché ho sempre girato in sequenza (in ordine cronologico, ndr). Quindi, dalla scena 1 fino alla fine, l’attore ha potuto seguire il viaggio del suo personaggio. Ho detto loro cosa sarebbe successo giorno per giorno”.

 

“Da dove è nata l’idea di Io Capitano?”, chiede ancora Campion. “Ciò che mi ha fatto davvero venire voglia di vederlo è stato il fatto che un film sull’immigrazione è molto difficile da realizzare. (…) Poi non viene mai raccontato dal punto di vista delle persone che intendono effettivamente effettuare la traversata. E quello che mi è davvero piaciuto è che non è raccontato come per dire ‘se non se ne vanno, moriranno’, piuttosto come forse potrebbero morire lungo la strada. È una vera e propria storia avventurosa, ma anche horror, con dentro molto cuore: una sorta di odissea”.

“Assolutamente”, replica Garrone. “Mi ci è voluto tempo, anni, per decidere di fare questo film, perché era davvero difficile e anche perché non rientrava nella mia cultura. Quindi avevo paura di entrare in un codice narrativo che non è il mio, di cadere in stereotipi pericolosi. E poi alla fine ho deciso di fare un controcampo rispetto a ciò che siamo abituati a vedere. Ieri nel Mediterraneo sono morte 60 persone. E noi vediamo sempre l’immagine della barca, e sempre dal nostro punto di vista. Ma quello che ci manca è il loro. Il tiro in contropiede. L’altra parte”.

“È vero, non viene dalla tua cultura, ma allo stesso tempo sì, perché queste persone arrivano in Italia”, aggiunge la regista. “Ed è importante conoscere le loro storie”.

“Sì, e anche noi siamo italiani, siamo migranti, quindi è una storia che parla di tutti”, chiosa Garrone. “L’idea di viaggiare per cercare una vita migliore è universale. Un archetipo.”

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22 Febbraio 2024

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