‘Io Capitano’ dietro le quinte: la colonna sonora originale di Andrea Farri

“La prima volta che Seydou ha ascoltato una bozza di canzone che gli avevo mandato con la sua voce si è commosso, non credeva nemmeno di essere lui a cantare!” L'intervista.


Da musicista e compositore ha già scritto più di 80 colonne sonore tra cinema e tv: con Io Capitano ha vinto il Soundtrack Star Award 2023 dell’80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Non era la sua prima collaborazione con Matteo Garrone, quanto è stata diversa dalle altre?

Inutile dire che Io Capitano è stata un’esperienza meravigliosa, una lavorazione lunga, a volte complicata, ma indimenticabile.

Il precedente lavoro fatto insieme a Garrone era Le Chateau du Tarot, un cortometraggio senza dialoghi che da un punto di vista musicale abbiamo trattato come fosse un’unica sinfonia in cui orchestra, soprano ed elettronica dialogano insieme. Lavorare con Matteo è un privilegio per chiunque ami il cinema e l’arte. È incredibile e magico vedere come il disordine del suo studio sepolto di appunti, disegni, fotografie e racconti venga poi da lui plasmato in un’unica e grandiosa opera d’arte cinematografica.

Da un punto di vista musicale, Garrone vuole che nulla sia mai ovvio o didascalico nei suoi film. Lo stile narrativo di Io Capitano richiedeva che la musica avesse un equilibrio tra moderno e classico. Il film racconta una grande avventura, così era importante che la musica fosse epica. Ma allo stesso tempo è anche una storia di formazione: Seydou (Seydou Sarr, ndr) è Pinocchio ma è anche Ulisse… non potevo utilizzare un approccio musicale troppo classico. Quindi ho pensato di fondere la musica elettronica con degli strumenti acustici solisti.

Moustapha Fall in studio con Andrea Farri. Foto di Valentina D’Agostino

 

Come, quanto e in quanti avete lavorato per mettere insieme tutte le musiche e le sonorità del film? Quando è entrato anche lei a far parte di questo grande viaggio?

Abbiamo iniziato a lavorare alle musiche molto prima che iniziassero le riprese del film, sperimentando vari mondi sonori, diversi generi e lavorato in studio con tanti straordinari musicisti africani: in Senegal, in Marocco, a Roma… E anche molti di loro avevano fatto la traversata di cui parla il film.

Poi, una volta finite le riprese, è stato il film stesso a indicarci la strada da seguire. Allora, come si fa con le sculture, abbiamo tolto la materia in eccesso, abbiamo semplificato, e seguito una strada musicale semplice ma emotiva che accompagnasse il racconto di questa grande Odissea. Per cercare di dare unità alla colonna sonora e questo senso di ‘linea d’ombra’ da superare abbiamo lavorato su un tema principale (Io Capitano) che nel film viene orchestrato e riproposto con arrangiamenti diversi.

Come sonorità, abbiamo basato la colonna sonora originale sui sintetizzatori analogici, ma abbiamo cercato di orchestrarli in modo che ricordassero un’orchestra classica. Così, più tecnicamente, abbiamo lavorato per creare suoni originali e astratti e li abbiamo ‘intrecciati’ con strumenti acustici, come ad esempio la viola (per la scena del marabout), l’arpa (per la scena dell’angelo), il corno (per il viaggio della barca in mare di notte) o la tradizionale kora africana (uno strumento a corda).

I suoni tradizionali africani nella colonna sonora originale sono per lo più echeggiati o rielaborati. Ad esempio, nella scena sul barcone, alcuni timpani elettronici evocano l’incedere delle percussioni africane, o in un altro brano un suono elettronico ripetuto ricorda il suono arpeggiato di una kora.

Seydou Sarr e Moustapha Fall in studio con Andrea Farri. Foto di Valentina D’Agostino

 

Con Garrone avevate preparato alcune canzoni in lingua senegalese che poi avete fatto cantare in studio ai due protagonisti. Come avete fatto, materialmente?

Molto prima delle riprese, mentre stavamo sperimentando varie idee musicali, a Garrone è venuta l’idea che i due protagonisti potessero cantare, e che il loro sogno nel film fosse di venire in Europa per fare i musicisti. Quindi abbiamo iniziato a lavorare in studio, in streaming tra Roma e Dakar, con Seydou e Moussa (Moustapha Fall, ndr), per realizzare una serie di canzoni originali. Matteo voleva che le canzoni nascessero in studio sperimentando insieme ai due ragazzi, per cercare di mantenere un’autenticità di linguaggio e di tematiche. E che fossero moderne, contemporanee, pur tenendo conto delle sonorità africane.

All’inizio è stato un po’ complicato trovare un modus operandi, perché i ragazzi non avevano nessuna esperienza di studio e perché per me non era facile costruire delle canzoni in una lingua che non conosco (i testi delle canzoni dovevano essere in wolof!), poi grazie anche alla preziosa collaborazione di importanti musicisti africani – come il grande cantante Badara Seck, che ha aiutato e preparato vocalmente i ragazzi – siamo riusciti a trovare un metodo per lavorare in studio, e abbiamo costruito una serie di canzoni originali, quattro delle quali sono nel film. La prima volta che Seydou ha ascoltato una bozza di canzone che gli avevo mandato con la sua voce si è commosso, non credeva nemmeno di essere lui a cantare!

Seydou Sarr in studio. Foto di Valentina D’Agostino

 

Il premio che ha vinto a Venezia è stato votato all’unanimità, proprio perché “attraversa le sonorità etniche”… (…) “in una ricerca musicale che recupera la tradizione ma dà al sogno e all’avventura dei due giovani protagonisti anche il ritmo del rap”… esaltando le capacità vocali di Seydou e Moustapha, che anche a Venezia stessa, dopo la premiazione, hanno cantato tutti e due, incantando i presenti.

Una di queste canzoni rap è Baby, quella che scrivono in una scena, ed è anche quella che chiude il film. Rappresenta il loro sogno di venire in Europa e diventare cantanti, la loro ingenuità. Va oltre al discorso di colonna sonora, diventa un dispositivo narrativo che si intreccia nel tessuto del film.

Oltre alle canzoni originali, poi, abbiamo usato la voce di Seydou anche in maniera diversa, astratta, come fosse uno strumento sul tema principale (Io Capitano). Come dice Roberto Benigni “Nella voce di Seydou c’è tutto: mistero, sofferenza, speranza, avventura, tragedia”.

Andrea Farri

 

Suo zio è Paolo Poli, sua mamma sua sorella Lucia, viene da una famiglia di grandi artisti. Da autodidatta ha composto la prima colonna sonora a 25 anni, da giovanissimo. Come e quando nascono il suo amore per la musica e per il cinema? E quando e come si uniscono?

 Come dice Nina Simone “Music is a gift and a burden. The decision was how to make the best use of it”. La musica è una passione che ricordo di avere fin da quando riesco a spingermi indietro nei ricordi d’infanzia. Anche prima di aver iniziato a studiare pianoforte, già suonavo e componevo su almeno tre strumenti diversi. Certo piuttosto malamente, ma il bello della musica è che basta a se stessa, non sempre importa avere un pubblico, in questo senso il culto del palcoscenico che ha primeggiato nella mia famiglia non mi ha mai conquistato.

Ho iniziato ad amare il cinema fin da piccolissimo. Invece di andare a scuola, da bambino andavo in tournée con mia madre Lucia e con mio zio Paolo (che forse amava il cinema anche più del teatro!); cosi a 5 anni mi avevano già fatto vedere tutto Hitchcock, Lubitsch, Wilder, Fellini… molti dei quali Paolo aveva anche avuto la fortuna di conoscere. Poi a 7 anni scoprii da solo John Ford, una di quelle conquiste che si fanno da piccoli e che ti segnano per sempre: impavidi cowboy, musiche epiche, cieli meravigliosi… era quanto di più straordinario un bambino potesse immaginare! Allora capii che lavorare nel cinema sarebbe stato il mio sogno. In realtà poi sono passati un po’ di anni fino a che a 25 ho composto la mia prima colonna sonora per il primo film di Matteo Rovere, l’inizio di una lunga collaborazione e amicizia. Ho cominciato a fare musica per film in maniera del tutto impreparata, ma venivo dal teatro, che è stata la mia scuola e la mia formazione, e avevo quindi la convinzione che la musica dovesse far parte della drammaturgia vera e propria all’interno di un racconto.

Sono nato negli anni 80, cresciuto in un momento storico in cui tutti gli stili convivevano insieme, non esistevano pregiudizi: è stata l’epoca ideale per uno come me che ha sempre ascoltato tutti i generi musicali, e che anche senza volere ne restituisce una sintesi. Infatti non ho mai nemmeno creduto a differenze di “ceti” nella musica, come diceva Nino Rota: “Il termine “musica leggera” si riferisce solo alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi l’ha scritta”.

06 Marzo 2024

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