In corteo con i divi egiziani


Nuovo festival, nuova destinazione, nuova corrispondenza. Beh, è vero, il film è sempre lo stesso, Quale amore, però continuano a chiamarlo da tante parti del mondo, lui vuole andarci, ed io lo seguo. Questa volta destinazione del nostro viaggio è Rabat, Marocco. Il volo è breve ‘soltanto’ 3 ore, ma quello che mi aspetta all’arrivo a Casablanca sono due ore di pulmino nell’autostrada che porta verso la capitale, che si trasforma quasi subito in coda estenuante per un paio di incidenti.

Nel pulmino c’è anche il primo compagno di viaggio, Ibrahim Letaief, regista tunisino in concorso con il film Cinecitta, così senza accento. Mi dice che il suo film è “solo una commedia”. L’avessero detto a Billy Wilder. Già in viaggio si comincia a parlare, già in viaggio l’imbarazzante domanda che da sempre si pone agli italiani: “Ma voi ce l’avete il Centro Nazionale di Cinematografia?” con conseguente occhi sgranati alla risposta imbarazzata: “Beh, veramente, non ancora, però ci stiamo lavorando”…

 

Il tè alla menta ritrovato

Il sabato è la giornata dell’inaugurazione, ci hanno fatto venire il giorno prima per essere riposati. Ed io lo sono. Ma non sono pronto a quello che mi aspetta. Alla Biblioteca Nazionale la prima cerimonia d’apertura. Breve, stringata, sintetica. Ci guardiamo in faccia, e diciamo che se è così si è finalmente trovata la soluzione alla noia di tutte le inaugurazioni dei festival. Segue rinfresco, che non è la parola giusta perché si muore di caldo, ma i dolci marocchini sono squisiti e finalmente reincontro il tè alla menta.

Si fanno le prime amicizie. Incontro Andrè Ceuterick, Festival di Mons, persona squisita, lui mi presenta Jean Pierre Garcia, Festival di Amiens, che tradisce passati on the road anni ’70. Poi conosco Abbas Fahdel, regista iracheno, e uno dei membri della giuria, Tanvir Mokammel, regista del Bangladesh, scortato dal suo gentilissimo e diplomaticissimo ambasciatore, che distribuisce biglietti da visita e sorrisi a tutti.

Vi ho presentato il pacchetto di mischia del mio festival. Alcuni rimarranno fino alla fine, altri partiranno, altri li conoscerò in seguito. Però il clima sembra favorevole ad incontri simpatici. Ma il bello sta per venire.

 

La versione egiziana della Ferilli

Dopo il tè alla menta, il programma prevede l’apertura ufficiale del festival, con il film di apertura medesimo, l’egiziano Doukkan Shehata di Khaled Youssef. E’ qui che scatta la sorpresa. Le vere star del festival sono gli egiziani perché mi spiegano che i film ‘commerciali’ del nord Africa sono egiziani, e che oramai tutti, autori e ancora di più attori, vogliono fare film egiziani per essere famosi.

E difatti scoppia il tripudio popolare quando si avvia un insolito corteo. Macchine d’epoca, parcheggiate davanti alla biblioteca, accolgono registi ed attori presenti alla cerimonia, e li portano verso il teatro ‘Mohammed V’, scortati da poliziotti in motocicletta, tra cittadini che si sbracciano per cercare di stringere la mano agli attori egiziani che occupano la prima macchina decappottabile, una Crysler di prima del fallimento.

Io ho scelto per riconoscenza verso il marchio, una Citroen DS, ancora una delle macchine più belle. Ho un belga e un francese con me, quindi tutto torna. Siamo subito dietro alla macchina dei divi e ci godiamo un successo che non è il nostro. Una specie di Omar Sharif con i capelli tinti accanto al regista e alla versione egiziana di una Ferilli prima maniera agitano le chiome al vento (beati loro!!!) sorridendo accattivanti. Banda ad accoglierci, fotografi tenuti a freno da possenti body guard. tutto secondo programma.

 

Il medico appassionato dei film con Maciste

E qui riparte il format di tutti i festival. Presentazioni, piccoli filmati, saluti ed omaggi. Sì, tutte le inaugurazioni sono uguali, noiose e ripetitive. Ma il film egiziano che segue supera ancora una volta ogni immaginazione. Fumettone? Melò? Musical? Fotoromanzo in movimento? La mia conoscenza del cinema popolare egiziano lo confesso è pari allo zero, ma il primo impatto mi lascia senza parole. I miei amici sono più filoarabi di me, o meglio ancora sono del tutto arabi, e sapevano bene a cosa andavamo incontro. Segue cena marocchina, con divi egiziani in delirio di onnipotenza che reclamano carne a gran voce, in spregio alle usanze locali che vogliono i dolci per l’apertura della cena.

Mi si siede accanto un medico che mi tampinerà per tutto il festival. “Cinema italiano?”, mi aspetto la solita sequenza di Fellini Antonioni Zavattini, ma invece comincia: “Castellari, Tomas Milian, Marilù Tolo, Sal Borgese – quello che non parlava mai perché faceva lo stunt – tutti gli attori che hanno fatto Maciste, Folco Lulli”. Un mito!!

Ogni incontro è un elenco dettagliato della ‘terza fila’ del cinema degli anni ’60/’70, tutti ricondotti ai film che hanno fatto.

 

I gay e le lesbiche di Fatima

Ma il festival prevede anche le tavole rotonde, e io vado subito, a quella che al mio paese si chiama la ‘controra’, ore 14.30, alla prima organizzata dall’Università di Rabat. Il tema è: ‘Cinema, Identity and Space’. In inglese. Penso al dibattito che non mi appassiona ma bisogna subire: ‘C’è una identità del cinema italiano?’ e vado a sentire cosa ne pensano gli studiosi marocchini. Apre il docente della facoltà, dà la parola al professore e cineasta Mohammed Abbazi, che è stato anche aiuto regista di Giuliano Montaldo e Franco Zeffirelli, che parla del suo ritorno dagli Usa al Marocco per raccontare il suo paese. E fin qui, ci sta tutto

Ma a sorprendermi è la giovane studiosa Fatima Zahara Blila, che ha lavorato in un programma di pace internazionale all’università del Connecticut. Inizia, in un perfetto inglese con colto accento americano, dicendo che il problema vero è quello dell’identità sessuale del cinema marocchino. Che posto hanno gay, lesbiche e transgender nel cinema marocchino? La domanda mi getta nello sconcerto più totale. Mai posta la questione! E poi, se non viene rappresentata la diversità sessuale, c’è posto per una identità nazionale?

Ma il mio sconcerto non è della (piccola) comunità che ascolta, anzi cominciano domande per approfondire il tema. Io devo lasciare la sala per andare ad una proiezione, e mi lascio dietro queste domande inquietanti. però sono subito certo che ho fatto parte, senza saperlo, di una delle più riuscite scene del prossimo film di Nanni Moretti.

 

Abbas, l’amico iracheno

Racconterò tutto ai miei amici, e quando alla seconda cena ufficiale, ristorante sulla spiaggia, ci troveremo io e Andrè seduti proprio a fianco alla giovane studiosa e al regista marocchino, dopo la risata di Andrè, dovrò raccontargli tutto. Facciamo la figura degli europei estrosi, ma il rapporto è salvato!

Il film iracheno Alba del mondo mi rivela l’anima del mio nuovo amico Abbas. Un film molto da festival, piani lunghi e lenti, recitazione rarefatta. Ma il dramma del suo popolo, la guerra che rompe rapporti personali ed affetti, la paura della morte, e l’animo di un regista in esilio vengono fuori con tutta la forza. E’ un gioco piacevole quello di vedere se i film corrispondono alla persone, certe volte si fanno brutte scoperte, questa volta no.

Domani il film tunisino, dopodomani il mio. Ho capito che la logistica non è proprio la prima specialità dei marocchini e mi comincio a preoccupare. E ad attivare per far andare tutto al meglio.

26 Giugno 2009

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