Werner Herzog da Elia Kazan ai Simpson

Il regista è stato l'ultimo attesissimo ospite del festival di Locarno, che gli ha consegnato il pardo d'onore Swisscom in occasione di un'affollata masterclass


“I profeti del Cinéma vérité e del documentario contemporaneo ci dicono che il regista oggi deve essere come una mosca sul muro, che riprende senza farsi vedere, senza interferire. Invece nel mio mestiere, come nella vita, bisogna saper essere dei calabroni, non delle mosche, bisogna saper pungere, provocare, sennò il cinema non serve a nulla. Siamo registi, non telecamere di sorveglianza di una banca!”. È in questi termini che Werner Herzog, ultimo attesissimo ospite del Festival di Locarno (a cui è andato il pardo d’onore Swisscom) ha risposto a chi gli chiedeva di raccontare il suo rapporto con la settima arte in generale e con il documentario in particolare.

Nel grande spazio del cinema La Sala, circondato da una folla da stadio che ha atteso pazientemente sotto il sole di poter assistere alla masterclass, il cineasta tedesco si è generosamente speso per due lunghe ore in favore del suo pubblico, il più composito che si potesse immaginare. Tra gli esperti che conoscono a menadito tutti i suoi lavori c’era infatti chi per la prima volta aveva visto i quattro episodi della seconda serie di Death Row proiettati al festival,  chi lo segue dagli anni Settanta semplicemente “perché è bravo e commuove”, semplici curiosi che avevano visto solo qualche film, e tanti studenti, quelli che più di tutti hanno preso il microfono per interrogarlo, per sentirsi raccontare tutti i segreti di un cinema che ancora oggi è rimasto inincasellabile, e che portandosi dietro la grande libertà conquistata insieme agli altri registi del nuovo cinema tedesco ancora stupisce e sconvolge, arrivando, con la sua macchina da presa, non solo agli estremi del mondo (da La Soufrière a Encounters at the End of the World) ma anche nelle zone più recondite dell’animo umano.

E infatti quel che conta per  Herzog sono i protagonisti, il vero punto di contatto tra i suoi film di finzione e il documentario: “che si tratti di fiction o di storie vere quello che è importante è il casting – afferma – Nel documentario credo di avere sviluppato un sesto senso che mi permette capire subito le persone adatte a comparire nel film – piccoli dettagli che mi permettono di scegliere chi mi darà di più. Invece per le storie di finzione ci sono tanti modi di costruire e presentare il protagonista. Un modello per me resterà per sempre il film Viva Zapata! di Elia Kazan: il modo il cui Marlon Brando viene introdotto nella storia è veramente unico”. Herzog spiega inoltre che il segreto per portare le persone vere che intervista a svelarsi è saper attendere, saper filmare i silenzi, “attorcigliarsi come un serpente intorno a loro, farli parlare, e poi, al momento giusto, fare la domanda che li farà essere autentici. E per fare questo non bisogna mai spegnere la macchina. Io sto sempre su di loro e non mi servo di quell’orribile invenzione che è il video assist, per cui tutti possono guardare quello che stai facendo e che invece deve rimanere fra te e l’intervistato”.

Ed effettivamente il regista parla di un cinema fatto anche di silenzi e in cui, anzi, “talvolta il silenzio è essenziale” e in cui però esiste anche un’etica, “un confine che ti fa dire no, questo non deve essere mostrato”. Come per Grizzly Man: “In quel film il produttore voleva assolutamente che mettessimo le urla del protagonista e della sua fidanzata che venivano sbranati dagli orsi. Io mi sono opposto in tutti i modi e quello che ho concesso agli spettatori è stato solo di vedere me stesso che ascoltavo con le cuffie quella registrazione. Un’esperienza che non ripeterei per niente al mondo e che mi ha convinto ancora di più che nessuno avrebbe dovuto mai sentire quell’orrore”. Parlando ancora di metodo c’è poi quello tutto particolare del cineasta di scrivere le sceneggiature, che gli costano al massimo dieci giorni di lavoro (sia per i documentari che per i film) “perché il film io ce l’ho in testa, si presenta davanti a te mentre giri, e la carta su cui scrivi quello che farai è solo una rassicurazione per i produttori”. Herzog ha quindi raccontato nel dettaglio la costruzione di Rintocchi dal profondo, di My Son, My Son, What Have Ye Done e di Fitzcarraldo. Di quest’ultimo ha riportato soprattutto le difficoltà. Il film è stato infatti girato nella giungla amazzonica e Jason Robards, inizialmente scelto come protagonista del film, dovette lasciare il set perché gravemente ammalato. Ma per Herzog questo è il cinema vero, quello che non solo ti coinvolge ma ti “travolge”. Un cinema che Herzog ama frequentare come regista, sceneggiatore, montatore, operatore, in una scoperta continua che infatti non gli ha impedito di fare esperienze sia come attore nel ruolo del cattivo di Jack Reacher, sia come doppiatore della famosa serie televisiva animata americana I Simpson, che lui ha creduto per vent’anni essere solamente una striscia a fumetti: “Quando me l’hanno proposto – ha detto Herzog – credevo fosse uno scherzo , poi ho capito che I Simspon in tv esistevano davvero. Mi sono reso conto che erano evidentemente molti anni che non guardavo la televisione. Mi sono buttato, come sempre, e mi sono divertito moltissimo!”.

21 Agosto 2013

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