Via col vento scozzese per Terence Davies

Il regista di Liverpool ha ricevuto il Gran Premio Torino e ha presentato il suo nuovo lavoro, Sunset Song, storia di una ragazza forte nella bufera della guerra


TORINO – Già definito un Via col vento scozzese, Sunset Song, il nuovo film di Terence Davies, ha debuttato al Torino FF dove il settantenne regista di Liverpool è stato festeggiato con il Gran Premio Torino. “E’ l’autore ideale per questo festival – ha commentato Emanuela Martini nel consegnare il riconoscimento – è uno dei maggiori poeti e cineasti europei e unisce al grande rigore dei suoi film una sincera vena popolare”. Cineasta di origini proletarie, autore di un manciata di titoli in trent’anni di carriera (arrivò al cinema dopo aver lavorato come commesso in un’agenzia di spedizioni e come ragioniere in uno studio contabile) tra cui alcuni memorabili come Voci lontane… sempre presenti (Pardo d’oro a Locarno nel 1988) e Il lungo giorno finisce (1992), Davies si è detto felice di ricevere un premio che viene “dal paese della cultura e dove è nata l’80% dell’arte europea, il paese di autori come De Sica e Visconti, di film come Roma città aperta“. Non ha nascosto la grande fatica per portare sullo schermo il romanzo di Lewis Grassic Gibbon Canto del tramonto. “Ci sono voluti 18 anni per realizzare questo film e solo grazie ai produttori, gli stessi di Of Time and the City, che mi sono rimasti a fianco, ho potuto salvare la mia carriera”.  


Sunset Song racconta la storia di Chris Guthrie, una ragazza molto in gamba che vediamo adolescente negli anni immediatamente precedenti alla prima guerra mondiale. Siamo nella campagna della Scozia nordorientale (the Mearns) in una famiglia di allevatori dominata da un padre padrone, uomo ultrareligioso, rigido e spesso brutale che violenta la moglie e la costringe a sfornare un bambino dopo l’altro e applica sui figli, specialmente sul maggiore Will, che osa opporsi alle sue assurde regole, una furia quasi omicida. La tragedia incombe e quando la moglie si toglie la vita, insieme ai due gemellini nati da poco, e Will decide di emigrare prima ad Aberdeen e poi in Argentina, la soave Chris deve abbandonare il suo sogno di diventare una maestra di scuola per governare la casa e accudire il genitore ormai anziano e colpito da un ictus. Ma alla sua morte, per cui non verserà neanche una lacrima, sarà lei a prendere in mano le redini della fattoria e della sua vita scegliendo di restare in campagna. Il film racconta una vicenda classica, che per certi versi davvero ricorda Via col vento, specie per il tema del forte attaccamento alla terra e per l’irrompere della guerra nei destini di una giovane donna forte e indomabile. Protagonista è la bellissima Agyness Deyn, una top model famosa che si è calata molto bene nel ruolo della ragazza di campagna, mentre Peter Mullan è il padre dispotico. 

Non è la prima volta che lei si ispira a un’opera letteraria, Serenata alla luna era tratto da un romanzo di John Kennedy Toole, La casa della gioia da un libro di Edith Wharton, The Deep Blue Sea era la trasposizione dell’omonima opera teatrale di Terence Rattigan. Cosa l’ha attratta in Sunset Song?
Vidi lo sceneggiato prodotto dalla Bbc nel ’71 e me innamorai: attendevo con ansia la domenica per vedere una nuova puntata. All’epoca comprai il libro che mi piacque molto, allora lavoravo come contabile e sarebbe stato impensabile farne un film, eppure l’idea mi passò per la testa.

Perché è stato così complicato realizzarlo? Ci sono voluti 18 anni…

A lungo ho pensato che non sarebbe stato possibile e solo tre anni fa mi sono convinto del contrario. E’ una storia meravigliosa, un’epopea intima. Ma la trasposizione storica richiedeva un grande impegno finanziario.

Come ha scelto Agyness Deyn, che al cinema aveva avuto un piccolo ruolo in Scontro tra titani, ma è celebre soprattutto come modella? 

Al provino non sapevo che fosse una modella, l’ho trovata innocente, aperta, e anche brava come attrice. Era la persona giusta per interpretare quel ruolo. E durante la lavorazione si è rivelata straordinaria. Io ai miei attori chiedo di non recitare, di essere semplicemente. Altrimenti succede come nel cinema inglese contemporaneo dove tutti recitano e che è noioso proprio per questo.

Cosa ama di questa storia di evoluzione femminile verso l’indipendenza?
Alle origini di tutto c’è il romanzo che è rimasto sempre dentro di me, come Jane Eyre che ho letto a 15 anni. In comune hanno l’epos, il fatto di mostrare un’umanità forte. Chris è una ragazza di 14 anni che ama leggere e studiare, la vediamo fino ai 21 anni e in questi sette anni cambia moltissimo: muore suo padre, sposa il vicino di casa Ewan, ha un figlio, resta vedova… diventa il simbolo della Scozia. Il romanzo, attraverso la sua figura, parla del potere e della crudeltà della famiglia e della natura, dell’importanza della terra e del coraggio di superare le prove della vita. 

Che approccio ha avuto con la ricostruzione dell’epoca?
I costumi devono sembrare dell’epoca ma essere usati, stropicciati, non impeccabili, bisogna dare l’idea di qualcosa di autentico.

Anche con la musica, sempre molto importante nel suo cinema, sembra scaturire direttamente dalle situazioni, sono i personaggi a cantare e suonare.
La musica è presente in maniera naturale, come è giusto che sia. Ci troviamo tra contadini scozzesi nel 1910, all’epoca si cantava e si suonava in occasioni particolari, come i matrimoni o i battesimi. Bisogna stare attenti quando si lavora con la musica: approfondire le emozioni insite nella scena ma non provocarle apposta, a parte Psycho. Spesso la musica viene usata in modo superfluo. Tra l’altro se non c’è colonna sonora, quando le persone si mettono a cantare, come accade spesso nel mio cinema, il risultato è molto potente. Quando alla fine cantano Flower of the Forest in scozzese è una cosa molto intensa e anche se non si capiscono le parole va bene lo stesso, anch’io ascolto i lieder di Schubert pur non parlando il tedesco.

Sunset Song crea nello spettatore un senso di minaccia, di ansia, che culmina nello scoppio della guerra con le conseguenze che ha sui personaggi e in particolare su Ewan, che torna dal fronte completamente stravolto.
Sunset Song non è un film sulla guerra, ma trasmette in senso della tragicità della guerra per la Gran Bretagna: ci sono state tante vittime, tanti villaggi distrutti. Il film però parla dello stoicismo e dell’importanza del perdono. Chris capisce di dover perdonare per essere libera. Nel corso della guerra, nei villaggi di campagna non si sapeva cosa stesse succedendo. Chris non capiva cosa volesse dire andare in Francia per Ewan, cosa avesse sperimentato. Duranti la prima guerra mondiale ci sono state battaglie in cui in un solo giorno sono morti 53mila soldati britannici, in totale le vittime dai due schieramenti sono state un milione. Ewan è terrorizzato da quello che ha visto al fronte, quando torna a casa è profondamente cambiato. Ma la sua redenzione sta nel pensare a Chris mentre viene ucciso come disertore.

Cosa ha portato un attore come Peter Mullan al ruolo del padre padrone?
La figura del padre ricorda quella di un altro padre violento, quello di Voci lontane… Mullan ha aggiunto calore al personaggio rispetto alla mia sceneggiatura dove era più duro, gli ha dato un lato più tenero. E’ un uomo che diventa brutale quando non viene ubbidito, una cosa che succedeva spesso nelle famiglie working class. Anche mio padre era così. 

27 Novembre 2015

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