Tsai Ming-liang: “Fellini, picco europeo della realizzazione cinematografica”

​L’autore, nato malese e taiwanese di adozione, protagonista di un panel sul futuro del cinema; attesi l’inaugurazione di una mostra con sue opere sperimentali, e la consegna del Pardo alla Carriera


LOCARNO – Un maestro di minimalismo e carnalità, nato artisticamente con la seconda ondata del nuovo cinema di Taiwan: lui è Tsai Ming-liang, protagonista “uno e trino” a Locarno, con la consegna del Pardo alla Carriera (6 agosto), l’inaugurazione di una mostra con sue opere sperimentali (5 agosto, galleria Il Rivellino) – una selezione di produzioni come Transformation (2012), Ni de lian (Your Face, 2018) e la performance The Tree (2021) – e, prima in ordine di tempo, la presenza al centro di un panel dedicato al futuro del cinema, “On the Future of Cinema”, tema toccato dall’autore in un più ampio discorso sull’autenticità dell’esistenza e sulla necessità di costruzione dell’immagine in libertà.

Il suo cinema viene riconosciuto capace di catturare le vibrazioni delle connessioni tra le persone, come accade anche nel più recente Days (Rizi, 2020), film abile bel recepire e anticipare l’avvenire sociale, che parla della condizione dell’isolamento e della solitudine, temi dell’adesso.

Per Tsai Ming-liang “Locarno è interessante: c’è uno spirito differente, vieni considerato, più che un regista, proprio un artista”, riflessione non secondaria per una persona che crea immagini non solo cinematografiche e riconosciuto nel cinema tanto quanto nel mondo dell’arte. “Io spero che il mio lavoro possa sempre avere un doppio spazio, che l’interesse del pubblico riguardi le immagini in senso assoluto. Lo spazio del museo dà libertà, e tutti gli artisti vogliono sentirsi così; le persone penetrano lo spazio museale, ma tutto dipende dalle immagini. La VR è uno spazio in cui si viene trasportati: io amo la composizione dell’immagine e in VR non si può comporre; preferisco poter avere un approccio con un viso o un oggetto, ho passato due mesi a fare casting di volti a Taipei, perché ogni volto ha una propria luce, un viso è come un paesaggio, è composto”.

Ma restando sul cinema puro, Tsai Ming-liang, pensando al futuro – per cui c’è chi lo connette alla tecnologia e all’AI, ma altrettante persone hanno dubbi in merito – dice che “un film è come un libro: lo puoi leggere e rileggere, declinare in mille modi”, insomma è un oggetto artistico senza scadenza e continuamente rinnovabile, quindi sempre attuale.

Certo, “la realizzazione di un film è complessa, ancor di più lo è fare un buon film: è davvero difficile, è un lavoro di squadra, il lavoro con le altre persone permette una creazione collettiva” e in questo passaggio l’autore ricorda il suo primo film – Rebels of the Neon God (Qīngshàonián Nézhā, 1992) – e quando si domandava come avrebbe potuto fare del cinema la sua vita: “c’era inesperienza e poter realizzare un film è stato un dono dal cielo, sì un dono dal cielo”.

Si parla di passato ma il tema dell’incontro è il futuro, questione ostica, per cui Tsai Ming-liang constata: “è davvero difficile trovare l’equilibrio; non saprei come spiegare ma per vivere c’è bisogno di fare compromessi. L’industria subisce i cambiamenti della società: nel mondo attuale non sappiamo dove andrà la creatività ma penso che i festival principali continueranno a lavorare per trovare il talento. Il mondo è certamente più tecnologico: il cambiamento culturale e l’espressione umana hanno un profilo più commerciale, ma penso che non tutti i film siano simili, ma altrettanto i film riflettono le persone. Penso che in Europa il picco della realizzazione cinematografica sia stato con Fellini: un momento di creazione autentica, come con la Nouvelle Vague”.

E ancora, il regista ribadisce che “la posizione dei festival è importante, lì il senso del film può trovare forza: Locarno in questo è coraggioso, include diverse espressioni artistiche. I film sono espressione di scoperta e novità”.

In ordine di tempo, l’opera cinematografica più recente di Tsai Ming-liang è appunto la storia di Kang e Non: il primo vive in una grande casa, da solo; il secondo vive in un piccolo appartamento. Si incontrano, poi si lasciano, e le loro esistenze tornano sempre ad essere come prima: “amo molto Days”, dice il maestro, “è un film di cui sono molto orgoglioso: è espressione di autenticità dell’esistenza; abbiamo catturato tutti i momenti possibili, praticamente ripreso sempre, e così il film è una lettura della vita. Alla fine, mi son detto: il cinema dà davvero delle opportunità. Ci sono esperienze cinematografiche con limiti industriali, ci sono produzioni che sono sottoposte al rispetto di convenzioni produttive, invece io ho potuto catturare immagini di vita”.

Nicole Bianchi
03 Agosto 2023

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