Quella tragica primavera al velodromo d’inverno

Quella tragica primavera al velodromo d’inverno


“Ci sono molti film francesi sul nazismo e la deportazione degli ebrei, ma nessuno sul collaborazionismo e sulla retata del Vélo d’Hiver. E’ un avvenimento di cui si parla pochissimo, se pensiamo che per 14.000 ebrei deportati da Parigi e un totale di 75.000 morti nei campi, nei libri di storia si spendono poco più di tre righe…”

E’ così che la regista Rose Bosch racconta come è nata in lei l’esigenza di realizzare il film Vento di primavera, che esce giovedì 27 gennaio, in concomitanza con il Giorno della Memoria, distribuito da Videa C.D.E., in circa 80 copie. Il film, che vanta la partecipazione di Sylvie Testud e di un intenso Jean Reno – “gli ho detto: basta ammazzare gente, ora ti faccio soffrire un po’”, scherza la regista – è inoltre in programma al BiF&st, Bari International Film Fest.

La storia, basata su fatti realmente avvenuti nel luglio del 1942, ruota attorno al piccolo Joseph, che vive assieme alla sua famiglia nella Parigi occupata dalle truppe tedesche. Si riparano nel quartiere di Montmartre dove, con l’appoggio di buoni cittadini che li coprono, riescono a sfuggire ai rastrellamenti. Ma una mattina, tutti gli ebrei della città vengono presi di forza e ammassati al Vélodrome D’Hiver e da lì condotti al campo di concentramento di Beaune-La-Rolande.

“Con il produttore Alan Goldman (La vie en rose) ci chiedevamo perfino se fosse possibile realizzare un film su questo argomento, anche perché volevamo che fosse il più realistico possibile – continua la regista – Non esistono nemmeno delle immagini: solo una foto dei camion vuoti davanti al Vel’ d’Hiv, e questo mi sconvolgeva. Abbiamo aspettato tanto, ma poi mi sono resa conto che dovevo farlo in fretta perché volevo che ci fossero superstiti ancora vivi quando il film sarebbe uscito. Uno dei bambini coinvolti ora ha 80 anni, stiamo per passare dalla Memoria alla Storia. E io sapevo che avevo bisogno di testimonianze, perché mi avrebbero accusata di aver esagerato”.

Il film fa capire chiaramente perché dell’episodio si è parlato così poco: tra gli ufficiali che si occupano della retata, le divise francesi sono in numero pari o forse superiore a quelle tedesche: “Solo ora si comincia a studiare ed elaborare il collaborazionismo – commenta Bosch – I francesi hanno vissuto per molto tempo in una sorta di ‘zona d’ombra’, non sapevano se considerarsi resistenti o collaborazionisti. Proprio per far luce su questi aspetti ho voluto spiegare bene i meccanismi politici che intercorrevano tra Berlino e Vichy. Era la polizia francese a dar la caccia ai giudei, ma quando il film è uscito, ho scoperto che molti giovani non lo sapevano, o non lo avevano focalizzato. Così come in pochissimi sanno della presenza di 200 campi di concentramento in Francia, perfetta copia di quelli tedeschi o polacchi. Per questo il grande successo del film ci ha stupiti: lo abbiamo fatto per questioni personali, per la memoria, e ci dicevamo: ‘se facciamo un milione è un miracolo’. Ne abbiamo fatti tre. E anche in DVD è stato venduto molto bene, meglio che sul video on demand, il che significa che la gente vuole acquistarlo per tenerselo e rivederlo, e questo mi fa un grande piacere”.

Il film mostra anche un Adolf Hitler mostruosamente “normale” – l’attore Udo Schenk – intento a trascorrere delle tranquille vacanze in terrazza, circondato dai suoi affetti: “Non volevo mostrare lo stratega chino sulle carte, né dargli un alone misterioso e oscuro, magari riprendendolo di spalle, di quinta o in silhouette. Volevo proprio mostrare la ‘banalità del male’, far vedere che la mostruosità ha un viso mediocre, borghese. E’ vegetariano, ma non si fa problemi a mandare gli ebrei al massacro, ama i bambini degli altri, ma dà disposizioni perché quelli giudei vengano bruciati. Ho fatto ricerche per tre anni, e intendo dire a tempo pieno: dalle otto di mattina fin quando i miei figli non tornavano da scuola. Potrei dire di che colore fosse la biancheria intima del führer. E devo dire che, almeno in un primo momento, non ho trovato particolare reticenza. Le vittime e i loro parenti ovviamente mi aprivano gli archivi, così come il corpo dei pompieri, anche perché in questa storia sono associati a gesta eroiche. Anche le autorità politiche francesi mi hanno aiutato, organizzando dibattiti. Chirac, chi lo avrebbe mai detto, ha scritto perfino una critica sul film. Qualche noia l’ho avuta per il personaggio dell’infermiera Annette (nel film interpretata da Mélanie Laurent): chiedevo informazioni e loro trovavano delle scuse. Prima c’era stato un incendio, poi un’inondazione. Comunque i veri problemi sono iniziati quando il film ha cominciato ad avere successo, perché in Francia c’è una grossa confusione tra quello che successo allora e il conflitto israelo palestinese di oggi. E’ come se si dicesse ‘piangere i bambini ebrei vittime dell’Olocausto giustifica in qualche modo l’esistenza si Israele'”.

Durante la conferenza la regista trova anche il modo di dire la sua sull’espulsione dei Rom in Francia: “Io sono immigrata di seconda generazione, mia madre era abruzzese e mio padre di Barcellona, tra l’altro rifugiato, perché repubblicano durante la dittatura franchista. Quel che hanno fatto è una disgrazia. La scusa è che alcune di queste persone infrangerebbero la legge, ma allora perché far spostare con loro le loro mogli, i loro figli? Eppure, penso che siamo arrivati a un punto in cui emigrare non è la soluzione. Se potessi, direi oggi ai miei genitori di non farlo. Non abbiamo nulla da offrire a chi viene da noi, a parte I-phone e I-pad vari: sono più utili nel loro paese d’origine piuttosto che qui da noi, magari maltrattati. Anche perché spesso, quelli che emigrano sono sì poveri, ma rappresentano l’élite: sono i più forti, i più coraggiosi, quelli che hanno voglia di lavorare e le capacità per farlo”.

Presente anche Stefano Valabrega, presidente della comunità ebraica di Roma, che sottolinea il valore educativo della pellicola, citando la recentemente scomparsa Tullia Zevi: “Ricordare chi non c’è per difendere chi c’è. Il film dovrebbe andare nelle scuole, perché per la prima volta, affrontando il tema del collaborazionismo, non si parla solo di nazisti cattivi. Ma finalmente si fa capire che c’erano bravi italiani e cattivi italiani, bravi francesi e cattivi francesi”.

“Quel che mi interessa sottolineare – conclude Bosch – è che non ho voluto spingervi alla lacrima né manipolarvi. Se vi viene da piangere durante il film, è perché c’è un reale motivo di piangere. Non ho mai esagerato i fatti. E’ tutto vero: il bambino che corre nel viale in mezzo alle baracche, la bambina che raccoglie i fiori convinta che presto rivedrà la mamma, l’infermiera che trova per terra il giocattolo, il piccolo che grida ‘voglio scendere’ prima della partenza del treno. Sono tutte immagini frutto di testimonianze, racconti, disegni. E’ andato tutto veramente così. La mia personale emozione la si coglie solo dalla colonna sonora”.

24 Gennaio 2011

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