Open Roads: Tu vuo’ fa’ l’americano

Cinecittà News ha incontrato a New York Duccio Chiarini, Adriano Giannini, Ivano De Matteo e Claudio Santamaria e si è fatta raccontare i loro nuovi progetti


NEW YORK – Come ogni anno, Open Roads: New Italian Cinema offre al pubblico del Lincoln Center di New York una ampia rassegna della nostra produzione cinematografica nazionale. E come ogni anno il Festival fondato dal neo direttore della Festa del Cinema di Roma, Antonio Monda, diventa una interessante occasione per fare il punto sui progetti, in corso e non, dei protagonisti intervenuti. Nel caso di questa edizione: Francesca Archibugi, Duccio Chiarini, Cristina Comencini, Eleonora Danco, Ivano De Matteo, e gli attori Adriano Giannini, Claudio Santamaria e Sara Serraiocco. Li abbiamo visti tutti insieme sul palco del Walter Reade Theater – ospitati dalla Film Society del Lincoln Center, che insieme a Istituto Luce Cinecittà cura le selezioni della kermesse – per la serata inaugurale, affidata all’apprezzatissimo Latin Lover di Cristina Comencini (leggi la nostra intervista).

Ottima introduzione per gli altri film previsti dal programma, che quest’anno comprendeva il collettivo 9×10 novanta, La buca di Daniele Ciprì, Fino a qui tutto bene di Roan Johnson, Il giovane favoloso di Mario Martone, The Lack dei Masbedo, N-Capace di Eleonora Danco, Il nome del figlio di Francesca Archibugi, La trattativa di Sabina Guzzanti, Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, Resistenza naturale di Jonathan Nossiter, Torneranno i prati di Ermanno Olmi, La foresta di ghiaccio di Claudio Noce, Short Skin di Duccio Chiarini, Cloro di Lamberto Sanfelice e I nostri ragazzi di Ivano De Matteo. Proprio gli ultimi tre film saranno distribuiti anche negli States, avendo siglato importanti accordi con tre diverse distribuzioni locali. Ovviamente in circuiti usualmente ricettivi e attenti al nostro cinema – ed europeo in generale – e con uscite ‘limited’. Un dato comunque importante, sia numericamente, sia per la scelta operata, che gratifica le produzioni e soprattutto cineasti meno conosciuti a livello internazionale.

Come Duccio Chiarini, diviso tra progetti radiofonici e documentaristici. Ma che prima di portare oltreoceano il programma fatto a Radio3 sul suo viaggio in treno attraverso gli States o di riuscire a raccontare le storie della sua stessa famiglia – divisa tra partigiani e fascisti, tra Italia e Francia – dovrà occuparsi de I divani degli altri. “Per ora è solo un titolo provvisorio, vedremo se resterà”, dice della storia su cui stava lavorando da prima di Short Skin. Un romanzo di formazione di una giovane coppia in crisi: “Lei forza le cose e rompe la relazione, lui si rende conto che non riesce a ripartire da solo. Un po’ per la situazione economica, un po’ perché non vuole vivere da separato in casa, inizia a chiedere ospitalità sui divani degli amici”. Un film “on the road” nel quale “si esplorano diverse situazioni di vita e di rapporti con altri, dalla coppia sposata con figli che non sa se accettare un lavoro all’estero al single ossessionato dal sesso ma che sogna una relazione e che si danna per cercare una donna con le App sul telefonino”. Dovrebbe essere una coproduzione italo-francese, e ambientato a Roma… “Anche se vorrei trasferirlo a Firenze per raccontarlo meglio”, ammette. Ora lo sta riscrivendo e ancora non ha pensato agli attori; girerà nel 2016. Sempre che non arrivino notizie proprio dagli Stati Uniti, dove degli amici di Los Angeles volevano produrre Short Skin – che sarà distribuito dalla Broken Glass Pictures, theatrical e poi in VoD – e dove il regista toscano sogna di ambientare una vicenda che lo interessa molto. “Vera, di immigrazione, ambientata a Washington DC”, un’altra indagine “psicologica”, che parli “di noi e loro, di fortunati e meno fortunati, ma non di italiani e americani contrapposti” e che dovrebbe raccontare di “una avvocatessa e una ragazza incarcerata per immigrazione clandestina”.

Mentre a Cloro penserà la UnCork’d, invece, della distribuione de I nostri ragazzi (The Dinner, per il mercato anglofono) si occuperà la più nota Film Movement, per la gioia del romano Ivano De Matteo. “L’hanno acquisito a Venezia, attraverso Rai Com – racconta – sono contento, è il mio primo film che esce negli Stati Uniti, dopo che i miei ultimi tre erano stati distribuiti in Francia”. Si era spaventato quando era circolata la notizia che Cate Blanchett volesse esordire alla regia proprio con un trattamento dello stesso libro di Herman Koch, ma per fortuna aveva già girato il suo film e con le critiche positive di Variety e Hollywood Reporter chissà che non si incontrino sul set. Ma per ora i suoi progetti restano italiani. Si parla di metà ottobre per le riprese torinesi del nuovo film il cui titolo “è passato da “Io e mia madre a Una vita possibile, anche a causa del film di Moretti. Lui avrebbe dovuto chiamarlo Margherita, poi ha cambiato idea. Il film, una storia di sentimenti nella quale si affronta la problematica delle violenze domestiche sulle donne, parte da rapporto madre-figlio, ma si amplia ad osservare il rapporto tra diverse persone, anche di amore.

Molta carne al fuoco per i due protagonisti di Torneranno i prati e La foresta di ghiaccio, Claudio Santamaria e Adriano Giannini, accomunati anche da progetti di regia e contatti con il cinema americano. Il primo parla del progetto legato alla storia di Derek Rocco Barnabei, italo-americano ingiustamente condannato a morte, che Santamaria avrebbe dovuto interpretare in una coproduzione con il Canada per la regia di Ago Panini, “convinto che potessi essere l’attore giusto per la mia passione a imitare gli accenti inglesi”… “I canadesi avevano accettato, ma purtroppo non abbiamo trovato i finanziamenti da parte italiana, peccato”. Il presente invece è tutto di Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. “Lo stanno ultimando, effetti speciali, suono, montaggio… e dovrebbe uscire a ottobre”, anticipa l’attore che così racconta il film: “Una storia di supereroi, ma ambientata a Tor Bella Monaca a Roma. E’ una storia molto nostra, emotivamente ti coinvolge e rende credibile il personaggio”. Santamaria è dovuto ingrassare 20 chili e arrivare a sollevarne 100 in palestra. Il regista “voleva un personaggio piantato per terra, non dinoccolato e leggero come me. Una specie di orso che parla poco, un ladruncolo che sopravvive di scippi e quando – per qualcosa che gli succede all’inizio – si ritrova con questa superforza, continua a ragionare da coatto, da criminale, e va subito a sradicare a cazzotti un bancomat per portarlo a casa. D’altronde è quello che sa fare”. Nonostante gli impegni, non svanisce il desiderio di confrontarsi con l’esperienza di una regia. “Mi piacerebbe, soprattutto perché mi capita spesso di vedere dei film che penso farei meglio io”, confessa, “ma vorrei iniziare con un corto, per capire se mi piace, anche se in realtà ne sono sicuro, vista la passione che ho per fotografia e inquadrature”. Il progetto già c’è, quello di “un noir, molto scuro, una storia che mi piace molto e che ho già scritto a partire da una graphic novel priva di dialoghi”. “Abbiamo già contattato l’editore, che ci darebbe i diritti, e ora devo capire con chi produrlo. In ballo c’è un amico produttore, intenzionato a farlo, ma che deve aspettare l’uscita del proprio film da regista. L’interprete è Massimo De Santis, “perfetto per il protagonista, dato che gli somiglia molto”, ma i personaggi sono vari. Gli echi del Sin City di Frank Miller non sono così campati in aria.

Adriano Giannini invece un corto da regista l’ha già girato, Il gioco, e lo ricorda con orgoglio. D’altronde il suo passato da operatore sui set di importanti film americani e italiani gli consente di avere una conoscenza delle dinamiche e del lavoro che pochi professionisti hanno. “Mi divertivo a fare l’attore”, risponde quando gli chiediamo perché ha aspettato tanto per mettersi dietro la macchina da presa, “e poi è un lavoro colossale realizzare un corto così, in pellicola, prodotto e girato da solo”. Anche lui non vede l’ora di contraddirsi, visto che sta giusto preparando un altro corto: “ho una idea pazzesca che girerò a luglio”. Una idea trovata quando era in giuria al Premio Solinas e, “tra migliaia di corti girati dentro casa, ne è arrivato uno che si apriva così: Paleolitico Inferiore, 1.800.000 anni fa. Appena la sceneggiatura è uscita dal concorso, ne ho comprato l’idea, l’ho riscritta e vorrei girarla a luglio. Se il trucco da Homo Erectus funziona…”. Da attore invece gli impegni confermati si limitano a una produzione Rai tra agosto e settembre, oltre alla serie The Cosmopolitans per Amazon, ferma al pilota, girata a Parigi per la regia di Whit Stillman. Ci sarebbe anche la miniserie di Rai Fiction su Boris Giuliano diretta da Ricky Tognazzi, ma manca l’ufficialità. Si spera sia solo una formalità e che non gli “ridano in faccia” come quando provava a proporre la storia con la quale sperava di esordire alla regia di un lungometraggio. “Era tratta da un libro, ma non dirò quale”. la storia “di un uomo e un animale, sulle montagne”… “Sei matto a fare una cosa del genere?” gli hanno risposto, ora i diritti li hanno presi negli Stati Uniti e probabilmente loro lo faranno, forse con Sam Mendes. In passato avrebbe dovuto fare To Rome with Love di Woody Allen (“avevo fatto il provino e mi aveva scelto, ma non potevo perché stavo girando Missing, a Praga per la ABC”) ed è stato in lizza per la serie Sense8 dei fratelli Wachowski appena distribuita su Netflix, ma da tempo ha scelto l’Italia per la sua carriera. Da quando, appena uscito dalla scuola di teatro, venne chiamato per fare Travolti dal destino con Madonna. “Nel ruolo di mio padre, al fianco della star dei cui poster avevo tappezzato la mia camera, mi ritrovavo sul set dove ero stato da ragazzino a guardare le riprese della Wertmüller… era tutto paradossale! Cercavano uno simile a mio padre, e mi avevano chiamato per quello senza sapere chi fossi. Mentre stavo andando a Londra per fare il provino con Madonna se ne accorsero e ci ripensarono, perché alla Columbia non volevano legarsi troppo all’originale, ma Guy Ritchie e la stessa Madonna insistettero per prendermi. Se fosse andato bene, negli States avrei avuto automaticamente un contratto e quant’altro, ma sarebbe stato un po’ troppo. Di certo, troppo presto”.

12 Giugno 2015

Open Roads 2015

Open Roads 2015

Cristina Comencini: “Sognando Clara Schumann”

Abbiamo intervistato la regista a New York, dove è ospite della rassegna Open Roads con il suo ultimo film Latin Lover, e ci ha parlato dei suoi prossimi progetti: la versione cinema del suo testo teatrale La scena, che avrà come protagoniste Paola Cortellesi e Micaela Ramazzotti, e un film sulla musicista a cui sta lavorando da tanti anni: "E' un copione scritto con Frederic Raphael, lo sceneggiatore di Kubrick, e Suso Cecchi. Lo devo rimettere a posto, ma è una cosa che mi piacerebbe fare con un'attrice inglese o americana"


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