Luigi Lo Cascio: il pubblico non vuole solo commedie


BARI- Dopo essere stato presentato alla Settimana della Critica alla Mostra di Venezia e aver girato diversi festival tra cui il recente Bif&st, La città ideale, film che segna il debutto alla regia di Luigi Lo Cascio, esce in sala l’11 aprile con Luce Cinecittà . “Dite pure che è una commedia – scherza serio il regista e protagonista siciliano – Ormai sembra il termine passepartout per far uscire le persone di casa. Eppure il cinema non dovrebbe essere solo luogo di disimpegno, ma motivo di confronto e comprensione del reale”.

 

Quanta difficoltà incontrano film come il suo, un film personale, autoriale, lontano dalle logiche di mercato?
Il mio è un bilancio positivo, La città ideale ha circolato molto, sia in Italia che all’estero. Certo, oggi film come questo partono con più difficoltà per via della diffidenza su quella che può essere la riuscita al botteghino: c’è una maggiore prudenza che fa sì che magari ci siano slittamenti di tempi. Il mio film per fortuna non ha corso questo rischio: mi fa piacere che esca l’11 aprile, a volte escono dieci film italiani tutti insieme e si rischia di non vederli. E mi sembra giusta anche la scelta di non farlo uscire in un numero spropositato di copie.

 

Bisserà l’esperienza da regista?
Non appena troverò una storia che mi sta a cuore e mi appassiona altrettanto, molto volentieri. Anche perché rispetto a quello che mi proponevo e al risultato ottenuto è stata un’esperienza positiva. Pur essendo un’opera prima, sono stato libero di realizzarla come volevo. E’ chiaro, ho girato il film in sette settimane e spero di poterne avere dieci per il prossimo, ma ho avuto tutti i mezzi e il sostegno necessari. E poi mi sono divertito.

 

Ha già in mente come potrebbe essere il suo prossimo film? Magari una pellicola di impegno civile e sociale o di denuncia politica?
Leggevo che c’è il desiderio di parlare di Fellini come autore fortemente politico: io sono d’accordo, credo che anche un film di soggetto e approfondimento sul nuovo possa avere una rilevanza politica e sociale. La città ideale, ad esempio, mostra che quando ci chiudiamo in certezze, cioè ideali ribaditi in maniera assoluta senza considerare l’ascolto reale dell’altro, diventiamo una cittadella fortificata senza porte, ma confinata nelle nostre mura. Rischiamo che queste mura crollino perché non siamo capaci di trovare la parola nuova che può risolvere la questione a cui non siamo abituati.

Le piacerebbe proseguire lungo lo stesso percorso, sulla narrazione dell’identità?
E’ un tema che ho affrontato e continuo ad affrontare spesso a teatro. Mi piace poterlo esplorare anche al cinema, soprattutto ora che trovo ci sia una censura più sottile del potere. Più invisibile, vigliacca e scoraggiante: quella che ti impone di rincorrere ciò che sembra essere il gusto del momento. Come se esistesse “il gusto del pubblico”, come se certi argomenti potessero davvero essere non interessanti. Oggi il clichè che funzionano solo le commedie rischia di omogenizzare anche le proposte.

 

Ipotetiche soluzioni?
Sarebbe ora di proporre opere nuove e personali, nate dall’urgenza vera di raccontare una storia, sperando così di stimolare anche il pubblico. Altrimenti si rischia l’appiattimento e l’anestesia del gusto stesso.

 

Quali progetti ha in arrivo da attore?
Un film girato in Sicilia quest’estate, ovvero Salvo di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Poi Marina di Stijn Coninx, una coproduzione italo-belga, che mi vede sul set con Donatella Finocchiaro: il film racconta la storia di Rocco Granata, il compositore della canzone ‘Marina’, figlio di calabresi. Ecco, io e Donatella interpretiamo i suoi genitori, in particolare sarò un padre minatore.

25 Marzo 2013

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