Liliana Cavani: “Il nostro paese non conosce la storia”

Con ironia e intelligenza Liliana Cavani ha ricevuto il Premio Bresson da Nunzio Galantino, segretario generale CEI, e Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo


VENEZIA – “Un monsignore che raccomanda di vedere Portiere di notte è un gran cambiamento”. Con ironia e intelligenza Liliana Cavani ha ricevuto il Premio Bresson da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale CEI, e monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo. La motivazione del premio, che esiste dal ’99 e non era mai andato a una donna, sottolinea la radicalità e la libertà espressiva della regista di Carpi: “Autrice refrattaria alle mode, radicale e felicemente provocatoria, la sua opera assorbe e restituisce con notevole forza espressiva la tensione intimamente cattolica tra la vocazione alla santità e la legge di gravità del peccato. Un conflitto talvolta aperto (come nella trilogia su Francesco o nei documentari sulla vita consacrata non secolare: Gesù mio fratello e Clarisse) e altre volte camuffato in storie di uomini e donne in faticosa ricerca, attraverso percorsi di sperimentazione continua, tra smarrimenti, consapevolezze e bagliori”.

Per la regista è stata l’occasione di spaziare a ruota libera tra la sua storia personale e quella del nostro paese, un paese dove “oggi la protesta contro il governo finisce per essere ignorante quanto il governo stesso, è uno scambio di ignoranza avvilente”, come ha detto, invitando la Chiesa a impegnarsi per un riforma della scuola che riporti la cultura in primo piano. Secondo la cineasta uno dei problemi principali dell’epoca che viviamo è “la poca attenzione alla storia. Non si impara niente da quello che è accaduto, e anche a scuola se ne fa poca. Spesso al liceo non si insegna quella del XX secolo ed è gravissimo. Per questo ci portiamo dietro dei residuati, anche nell’attualità politica”.

Laureata in Lettere antiche e da subito appassionata al documentario sui grandi temi del Novecento, dal nazismo alla Resistenza, Cavani ha spiegato che una delle sue fortune è stata crescere “circondata da persone straordinarie, che mi hanno aiutata a sentirmi libera e a essere me stessa. La mia era una famiglia di anarchici, socialisti e antifascisti, quindi ho avuto un’istruzione globale fin da ragazzina, poi ho incontrato una donna cattolica, Romana Zelotti, che è stata fondamentale nel passaggio dall’adolescenza alla giovinezza”. E continua: “Non ho mai accettato le etichette, sia i comunisti che i cattolici si chiedevano cosa fosse il mio cinema”. In particolare proprio il film che qui a Venezia viene presentato nella versione restaurata a cura di Luce Cinecittà e Centro Sperimentale di Cinematografia Cineteca Nazionale, Portiere di notte (1974), incontrò l’incomprensione di molti in Italia. “Uscì a Parigi e fu un successo strepitoso, i francesi capirono che era il ‘portiere della notte’ e non un semplice portiere d’albergo, capirono che era un film sui nazisti che rifiutavano le proprie colpe così come facevano i tedeschi in generale. In Italia invece venne censurato perché la donna stava sopra l’uomo. Io dissi ai censori: ‘Capita’. Ma non era quello il senso del film, si concentrarono solo sugli aspetti sessuali, senza vedere il resto”.

Si sofferma quindi sulla trilogia dedicata a Francesco d’Assisi. “Il primo lo girai come se fossi un cronista della sua epoca. C’era Lou Castel nel ruolo di Francesco che poco dopo avrebbe fatto I pugni in tasca e questo allarmò tantissimo, tanto che non lo volevano mandare in onda. Venni a Venezia, nel ’66, e mi intervistavano sempre con Rossellini perché entrambi avevamo fatto film con uno stile povero ma intenso, lui La prise du pouvoir. Nel ’79 rifeci Franceso con Mickey Rourke che avevo visto ne L’anno del Dragone e che è un grande attore anche se molti pensavano fosse un pugile. Anche lui, come Castel, è uno che quello che guadagna lo dà a chi ha bisogno”.

Dopo aver curato alla Scala di Milano la regia di Alì Baba e i 40 ladroni di Luigi Cherubini, sta preparando un ritorno al cinema: “Ho pronta la sceneggiatura di un progetto classico, ma per ora non voglio dire di più, non lo faccio mai”. Infine uno spunto di riflessione sul gender gap: “Le donne, se hanno la possibilità di accesso alle professioni, danno il meglio: accade, per esempio, nelle scienze fisiche e nella medicina, ma non al cinema”. 

04 Settembre 2018

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