‘The Substance’. Demi Moore letteralmente a nudo per un horror sull’eterna bellezza

Il film di Coralie Fargeat in Concorso, con Margaret Qualley e Dennis Quaid, accanto all’attrice americana che coraggiosamente si mostra al naturale, in un'interpretazione magistrale. Tra i riferimenti Dorian Gray. I Wonder Pictures lo distribuirà in Italia


CANNES – La storia degli Dei lo celebra ma non lo rende ricorrentemente protagonista di primissimo piano, eppure lui, Kronos – essenza del “tempo”, divinità preolimpica della mitologia e della religione greca – mangia tutto, raccoglie la vita e si nutre di questo: ed è proprio con lui, con il concetto che rappresenta, che noi tutti esseri umani dobbiamo fare i conti, che sia un tempo alla rovescia, un tempo di gioia, un tempo che passa, come quello anagrafico, che riflette di conseguenza una trasformazione dell’involucro del corpo, una mutazione della bellezza, qualcosa di puramente esteriore che però – non nascondiamolo – ha una ricaduta psicologica, emotiva, sull’individuo, e chiama in causa la necessità dell’accettazione di sé.

The Substance di Coralie Fargeat, film in Concorso, si definisce di genere horror seppur sia soprattutto splatter, capace di suscitare replicate risate da parte di chi guarda, per gli eccessi tragicomici dello spiattellamento orrorifico, piuttosto che contraccolpi di vera paura (nessuno, infatti).

Il ritratto di Dorian Gray è una delle interpretazioni possibili di questa storia” afferma la regista, stimolata espressamente sul riferimento al romanzo di Wilde. “Il film parla della condizione umana e della sua esperienza. Ho amato l’idea di poter reinterpretare quell’idea. Il film è l’esplosione del corpo e il corpo femminile è davvero specchio della società, riflette una violenza domandata dalla società. Mi sono chiesta perché ci sia questo desiderio, perché si detesti la verità del tempo. Se sia una questione di educazione. C’è qualcosa che continua a chiamare in causa il nostro corpo nella società. La violenza che ci si autoinfligge è riflesso della richiesta della società, che poi si trasforma in una violenza che si elabora all’interno dell’individuo stesso. The Substance è una metafora estrema per parlare di questo”. E, rispetto alla scelta del genere, Fargeat indica come ispirazioni “Shining e molti altri film di genere, anche del passato, film che mi hanno ispirato grande libertà, da cui poi ognuno crea un proprio mondo; io apprezzo i film di genere, la loro energia, e il riflettere la vita quotidiana”.

Nell’epoca delle “punturine” estetiche, delle siringhe per diabetici usate e abusate da chi non soffre della patologia per riacquistare con “un pic” il peso perduto, insomma, nel tempo in cui la chirurgia e la chimica possono fermare il tempo, o quasi, arriva sul mercato The Substance, un kit – siringhe, cannule, sacche – che promette “l’eternità”, ma secondo certi dettami irrevocabili.

La Sostanza genera un altro te, la versione fresca, fanciulla, tonica, luminosa, ormonale: “partorisci” – dalla schiena nel caso del film, e di Demi Moore (Elisabeth Sparkle) – te stesso, un tuo clone di una trentina d’anni meno, con cui sei costretto a dosare e interscambiare la Sostanza, ogni sette giorni, per permettere la reciproca sopravvivenza.

Elisabeth Sparkle è una star del piccolo schermo statunitense, una “Jane Fonda” dell’aerobica del tubo catodico: è sua una prestigiosissima stella sulla Walk of Fame, ma il tempo… è passato e – nonostante un corpo ancora asciutto, un volto grazioso – Harvey (Dennis Quaid) guru che produce il suo programma tv – Pump It Up, un bifolco e bavoso individuo, è ormai chiaro la voglia sostituire.

Non a caso, il film comincia nel giorno del compleanno di Elisabeth, momento che – più che mai – ricorda il trascorrere del tempo: “happy birthday … happy birthday … happy birthday …” si sente ripetere lei da voci e voci in questa giornata in cui l’ansia la mangia, un incidente la inchioda, e finisce così in ospedale: in quello che dovrebbe essere il luogo deputato alla cura della persona, invece – a sua insaputa – s’innesca la trappola della Sostanza.

“Non provo il desiderio di voler tornare indietro nel tempo; mi considero poco una vittima del tempo, e Coralie ha messo in scena il punto di vista idealizzato della femmina”, una femmina che si mette a nudo letteralmente (a 61 anni), questione che Demi Moore commenta spiegando che “era tutto scritto, anche la vulnerabilità; c’è stata grande sensibilità e confronto: ho approcciato le scene partendo da questo e certa che tutto fosse basato sulla confidenza con me stessa e con Margaret Qualley. È stata una situazione assurda, certo, con un disagio finale, però necessario per la comunicazione del tema. Ho pensato il messaggio del film fosse positivo e potesse farmi uscire da una zona di comfort: Coralie ha filmato in modo così estremo che ha permesso mi immergessi davvero nella situazione. Questo personaggio offre un senso di liberazione, nonostante sussista la necessità della perfezione, soprattutto per Margaret. Questo film mi ha fatto un dono intimo”.

“You can’t escape from yourself” (Non puoi scappare da te stesso) si legge nelle istruzioni della Sostanza, che si ottiene in maniera losca: solo contatti telefonici con una voce asettica, ritiro presso un magazzino apparentemente abbandonato; tu sei un numero, lei il 503, con cui vieni identificato, con cui accedi alla tua cassetta di sicurezza, a cui torni, torni e ancora ritorni, per prendere le provviste dell’eterna giovinezza.

Un’eterna giovinezza che s’è fatta persona – nel film – dopo una truculenta sequenza di squarciamento di una porzione del corpo di Elisabeth, da cui è emersa Sue (Margaret Qualley): non sono due identità, sono la stessa persona, infatti – come un mantra – nel film una voce inquietante ricorda sempre, a entrambe, “remember, you are one (ricorda, tu sei una)”. Una dipende dall’altra, si sfama dell’altra, le inietta e le preleva sieri, a settimane alterna; quando una vive la vita, l’altra giace come esanime a terra, prettamente sull’algido pavimento dell’asettico bagno dell’appartamento di Sparkle.

La Sostanza crea dipendenza, seppur tra le regole ci sia l’opportunità di dire “stop”: ma quanto si è lucidi, forti, determinati, per fermare questo circolo vizioso?

Demi Moore si mette coraggiosamente e platealmente in gioco, senza controfigure si lascia riprendere completamente nuda, o in primissimo piano, non nascondendo un naturale rilassamento del proprio corpo, o mostrando i fisiologici segni sul volto: altrettanto, fa un arco di trasformazione estetica strabiliante, naturalmente con l’apporto del trucco e degli effetti speciali, che la modificano fino a mostrarla prima estremamente vecchia – perché Sue le ha succhiato allo stremo tutta la sua essenza, creando un precocissimo invecchiamento -, poi raggiungendo un aspetto quasi terminale e, infine, una forma mostruosa (che ha comportato 7 ore di trucco). Con questo ruolo, Demi Moore pone se stessa e la sua interpretazione su un piano apicale.

Nella troppo prolungata sequenza che conduce all’epilogo, in cui le due versioni della donna sono presenti contestualmente, la regista francese mette in scena un violentissimo confronto fisico, sanguinario, mortificante e mortale, un compiacimento per lo splatter che disturba, non tanto per la visione raccapricciante, palesemente finzionale e dunque ridicola, ma per l’infierire al limite del gratuito di una creatura contro un’altra, seppur – certo – la vicenda possa incentivare la furia.

È la notte di Capodanno, la splendente Sue – ormai starlette bramata dallo star system a stelle e strisce – è stata battezzata dal lascivo Harvey come prima donna della grande soirée televisiva, ma è qui che si compie l’ascesa all’orrore e passa il messaggio del film: la ricerca ossessiva dell’eternità, la non accettazione di sé, possono condurre, più che a un benessere eterno, a una condanna di obbrobrio immortale, il tutto con la scelta di appoggiare parte delle ultime sequenze sulla melodia di Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, mutuata naturalmente da 2001: Odissea nello spazio.

Per Quaid “Coralie è una regista con la capacità della verità. La sensazione è stata di girare un film con qualcuno che possiede una verità della visione. Credo il pubblico potrà apprezzare il suo coraggio”, e poi, addentrandosi più nel tema del film, riflette che “il tempo che passa è difficile soprattutto per le donne: ci sono degli stereotipi, per cui servono soggetti come questi. Bisogna rompere le righe, cominciando dall’infanzia, dall’insegnamento della bellezza e dal concetto di sensualità. Bisogna parlare di questo esplicitamente, come ha fatto Coralie. Questo film è ispiratore per la gente e tocca l’interiorità”.

Elisabeth Sparkle, dunque, da stella dell’Olimpo mediatico americano, a stella precipitosamente caduta e schiantata nei fondi più bassi dell’esistenza, in cui l’unico astro a sopravvivere è quello di cemento sulla Walk of Fame, calpestato, però, da chiunque, con indifferenza, le passi sopra.

Il film sarà distribuito in Italia da I Wonder Pictures, per cui Andrea Romeo, fondatore e direttore editoriale dichiara: “Io sono notoriamente un fifone, ma sono lieto di aver avuto il coraggio di vedere questo film, scoprendo, tra mille risate e grandi invenzioni visive, una storia capace di parlare a tutti rivelando con semplicità cristallina quanto ciascuno di noi rubi al proprio tempo e al proprio benessere per seguire le proprie ossessioni. Ormai consapevoli di questo, in I Wonder Pictures non abbiamo potuto che accogliere questo cult naturale come nuova nostra ossessione, accettando un’altra grande sfida che – dopo Everything Everywhere All at OnceThe Whale e La zona d’interesse – ci ingaggerà a portare questo film al pubblico italiano”.

 

 

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