Giulio Ricciarelli nel labirinto dell’Olocausto

Nato a Milano ma cresciuto in Germania, attore e ora anche regista, ha portato al Festival di Toronto il suo Labyrinth of Lies, sul tema dell'Olocausto


TORONTO – Scoprire un italiano in più al Festival di Toronto è un’occasione da non perdere per vedere come appaiono il nostro Paese e il nostro cinema dall’esterno. E soprattutto per parlare di un film che sembra evidenziare la necessità di fare i conti con un passato che ormai rischia di essere dimenticato. In Italia aveva vinto il Premio per il miglior cortometraggio nel 2006 con Vincent, in Germania l’hanno visto in oltre trenta film per il grande e piccolo schermo, oggi a quasi cinquant’anni Giulio Ricciarelli decide di passare dietro la macchina da presa con un lungometraggio, Labyrinth of Lies, del quale è molto orgoglioso, anche per la responsabilità che si è assunta nella scelta del tema.  

“Si poteva fare un film solo sul processo, o su una vittima in particolare dell’Olocausto, ma la storia del giovane avvocato deciso a svelare i crimini di guerra dei nazisti nella Germania postbellica è interessante ancora oggi”, sostiene Ricciarelli, convinto che “se non fosse stato per il protagonista di questo film quei ‘conti’ non si sarebbero fatti”. E aggiunge: “Tutto quello che mostro nel film è vero, storicamente documentato”, per questo arriva al pubblico, che dopo le proiezioni risponde emozionato, come conferma l’esordiente regista: “In molti mi hanno avvicinato per dimostrarmi gioia e commozione, per condividere i propri ricordi… Argentini, spagnoli, tedeschi, inglesi, turchi, testimonianze da paesi nei quali c’è stato troppo silenzio, anche da parte delle vittime e anche dopo aver superato i momenti più duri”.  

Un tema comunque delicato per il pubblico tedesco, lo accetteranno da un italiano? O lei si sente ormai del tutto tedesco?

Con un padre italiano non sei mai tedesco… in Germania poi sei sempre un bagnino o un gelataio. Mio padre è ingegnere, ma resta un ‘pizzaiolo’. E non mi piace questa idea che continuano ad avere alcuni tedeschi, anche se mi piace continuare ad essere percepito come italiano. Per me l’Italia è un Paese bellissimo, con una cultura profonda. Io stesso in Germania sono l’italiano, mentre in Italia per i miei cugini sono “il tedesco”.  

Anche lavorativamente si percepisce questo doppio registro?

Il film l’ho fatto con i soldi e con un team tedesco, per cui è tedesco. Ma in realtà sin da quando ho realizzato i primi cortometraggi mi sono reso conto che anche il mio modo di fare film non è del tutto tedesco, diciamo al 50%. C’è una certa capacità di emozionarsi, un calore, che devo lottare per riuscire a far emergere. Ci sono delle battute che ho voluto inserire e che in Germania non sarebbero state pronunciate…  

Hai mai pensato o avuto occasione di lavorare in Italia?

Questo è il mio primo film da regista, tutte le esperienze precedenti sono sempre state come attore. Adesso mi sono pentito, sarei dovuto andare in Italia a vent’anni per poter migliorare il mio italiano e poter recitare anche lì, ma lavorando tanto in Germania non avevo ragione di farlo, di lasciare tutto per un anno o più per trasferirmi. Gli ultimi due, tre anni sono stati dedicati completamente al film da regista, era un passo che volevo fare da un po’ di tempo. E’ stato un tunnel che non mi ha lasciato il tempo di scrivere altro. Speriamo che il prossimo venga più facile.  

Ha già qualcosa in cantiere? Magari sull’Italia o in Italia?

Ho alcune cose in via di sviluppo, ma niente a breve scadenza. Mi piacerebbe però. Una delle idee è di sviluppare un tema molto discusso in Italia, quello dei lavoratori stranieri immigrati. Un tema che era anche in Solino di Fatih Akin, dove due attori tedeschi (Barnaby Metschurat e Moritz Bleibtreu) interpretavano i figli di un italiano emigrato negli anni ’70, o in Pane e cioccolata con Nino Manfredi.  

Per Labyrinth of Lies ha stretto un accordo con Universal e Sony Pictures Classic per la distribuzione in Europa e negli Usa. E in Italia?

In Italia è stato venduto alla Good Films. L’interesse è nato già a Cannes, solo grazie al trailer e al copione. 

Potrebbe essere un buon viatico per vederla lavorare anche da noi…

Dipende. Non lo so. Non credo che il cinema italiano aspetti Giulio Ricciarelli. Il cinema oggi è una torta che diventa sempre più piccola, e tutti vogliono mangiare una fetta. Ogni ora passata su facebook, ogni ora spesa a guardare in streaming sono sottratte al cinema. 

A cosa si dedicherà ora?

Ho un’idea da realizzare in Germania, ma anche una per l’Italia. Una storia che ricorda Il Postino tratta dal libro di uno scrittore italiano, ma preferisco non dire nulla. 

19 Settembre 2014

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