Daniele Segre e la lunga storia degli ultrà della Juve

Daniele Segre prosegue la sua ricerca sulla tifoserie della Juve con Ragazzi di stadio, quarant'anni dopo proposto al 36° Torino Film Festival, nella sezione Festa Mobile


TORINO – Radiografia degli ultrà. Il documentarista Daniele Segre prosegue la sua ricerca sulla tifoserie della Juve con Ragazzi di stadio, quarant’anni dopo proposto al 36° Torino Film Festival, nella sezione Festa Mobile. Prodotto dalla sua società, I Cammelli, con Rai Cinema, in associazione con i francesi di 13 Productions realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte Piemonte Doc Film Fund e Région SUD Provence Alpes Côte d’Azur, distribuito da I Cammelli S.a.s, il film parte dalle immagini pubblicate nel libro Ragazzi di stadio (Mazzotta, 1980) e da due film precedenti (Il potere deve essere bianconero del 1977 e Ragazzi di stadio del 1980). Fra fumogeni, cori urlati e striscioni rubati alle tifoserie rivali, i ragazzi della curva si raccontano senza filtri lasciando l’amaro in bocca. Gli ultras “gobbi” per la Signora rinunciano a tutto – famiglia, fidanzate, in qualche caso lavoro stabile – la seguono ovunque, in casa o in trasferta, in campionato o nelle Coppe, e trovano in questa fede una casa accogliente, dove si è tutti uguali, oltre a una serie di rituali in cui dar sfogo al proprio istinto, alla rabbia e al desiderio di rivalsa. Ma molto è cambiato dai tempi dei Fighters di Beppe Rossi, liberi e goliardici. I Drughi di oggi (il nome è un omaggio ad Arancia meccanica) sono apparsi per la prima volta nella curva Filadelfia del vecchio stadio comunale di Torino nel 1988 con un loro striscione e da allora si sono sempre più organizzati.

“Sono grato ai Drughi – commenta il regista – per avermi permesso di entrare nel loro mondo, difficile e controverso. Grazie alla loro fiducia ho potuto, dopo quarant’anni, parlare nuovamente degli ultrà e offrire uno spunto per una riflessione necessaria a capire cosa sta succedendo in Italia, al di là della tifoseria calcistica. Attraverso le storie dei protagonisti, si affrontano le trasformazioni sociali e ideologiche che il nostro paese ha vissuto in questi decenni”. Il cambiamento è anche o soprattutto politico, come dimostrano segni e simboli neonazi esibiti dai tifosi di oggi, mentre negli anni ’70 prevalevano le ideologie di sinistra ma anche l’eroina che si è portata via una generazione. “A parlare – prosegue Segre – non sono solo i cinquantenni visti nei miei film precedenti e ora cresciuti, ma studenti, operai, disoccupati che vivono grazie alla comune fede juventina. Oggi come allora unica condizione in cui si sentono protagonisti, si riconoscono in un gruppo, in una fede. Lo stadio, che rimane sullo sfondo, è un luogo simbolico che racconto attraverso le vite di chi lo popola”. 

I Drughi (2° anello curva sud), che magari mal si adattano alle regole sociali in altri campi, rispettano rigorosamente i ruoli attribuiti dal direttivo del gruppo: dal “leader”, al “vice”, organizzatore delle trasferte e interlocutore delle forze dell’ordine pubblico, al “capoguerra”, al “lanciacori”, agli “striscionisti”. “40 anni fa – prosegue Segre – sono partito dalla curiosità per alcune scritte sui muri di Torino e grazie a questa ricerca ho avuto modo di raccontare l’Italia e non solo la curva. Quello che negli anni ’70 sembrava poetico, con questi giovani che si avventuravano e sfidavano il mondo, oggi è virato in organizzazioni paramilitari. Cambia la prospettiva sociale al di là dello stadio e non solo lì”. Grande la fiducia che giovani e meno giovani gli hanno accordato, confessandosi di fronte alla camera. “Alla base – dice il regista – c’è rapporto di reciproca fiducia legato ai due film precedenti, che sono stati il lasciapassare che mi ha permesso di essere accettato. Quelle due esperienze rappresentano un mito nel mondo ultrà, comprese le fotografie che sono state esposte in tante parti d’Europa e anche a Marsiglia, dove ho trovato il coproduttore francese”.  

Interviene appunto Gilles Perez: “I due primi film di Segre per me erano una vera e propria leggenda, perché è stato il primo cineasta a portare la mdp dentro a quel mondo e ci ha fatto capire che il calcio non è solo un gioco, ma lo specchio di una società, in questo caso quella italiana. Daniele ci permette di entrare nella psicologia di un gruppo molto chiuso e ci fa capire anche l’evoluzione in senso commerciale del brand Juventus e di tutto il calcio in generale. Tanto è vero che le porte dello stadio sono rimaste chiuse e non abbiamo potuto riprendere le immagini delle tifoserie durante le partite”. Conferma Segre: “Sia la società che la Lega Nazionale Calcio ci hanno negato il permesso di entrare con la cinepresa allo stadio. Se 40 anni fa il cinema aveva diritto di cronaca ora non è più così, e non lo dico per fare polemica perché forse senza quelle immagini tutto è diventato ancor più poetico”.

Oltre alla visione in tv, il doc potrebbe avere un’uscita in sala. “Spero che possa andare al cinema – dice Segre – tutto dipende dalla reazione della sala torinese, so che potrei anche non uscirne vivo”.

Cristiana Paternò
28 Novembre 2018

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