La rivoluzione delle donne iraniane sul ‘Tatami’

Dal 4 aprile con BIM arriva 'Tatami' diretto da un regista israeliano (Guy Nattiv) e da un'autrice e attrice iraniana (Zar Amir). Li abbiamo intervistati


Diretto da una regista iraniana e da un regista israeliano (è la prima volta che accade), Tatami è un film speciale e prezioso, soprattutto in un momento di conflitto come questo: “è un tributo a tutti coloro che si battono per superare le barriere dell’odio accecante e della reciproca distruzione”, dicono gli autori. Presentato alla Mostra di Venezia 2023, è frutto della collaborazione tra l’attrice Zar Amir Ebrahimi, vincitrice del Premio per la Migliore Interpretazione a Cannes 2022 con Holy Spider, e il regista Guy Nattiv, Premio Oscar® nel 2019 per il cortometraggio Skin, nonché autore di Golda, biografia della premier Golda Meir.

Girato in un bianco e nero che enfatizza il dramma politico e umano vissuto dalle due protagoniste, Tatami è un film quasi completamente al femminile che si svolge durante i campionati mondiali di judo a Tbilisi, in Georgia. La judoka iraniana Leila (Arienne Mandi) e la sua allenatrice Maryam (Zar Amir) sono determinate a portare a casa un oro, ma il regime islamico teme che la finale possa svolgersi contro l’atleta israeliana, cosa ritenuta inaccettabile. E dunque la coach riceve un ultimatum, dovrà intimare a Leila di fingere un infortunio e ritirarsi. Nonostante la costante minaccia contro di loro e contro le famiglie, rimaste in Iran, e le pressioni di ogni tipo, la decisione non è affatto scontata. Abbiamo incontrato i due autori a Roma, in vista dell’uscita del film, il 4 aprile con BIM. L’Italia è il primo paese dove viene distribuito, mentre a settembre uscirà in America.

Com’è nata la vostra collaborazione?

Guy Nattiv. Durante la pandemia, nel 2020, ho scritto questa sceneggiatura con Elham Erfani. Fin da subito ero consapevole di non poter fare il film da solo, perché sono israeliano e avevo bisogno del punto di vista iraniano. Durante la fase dei provini, il videotape che ci ha inviato Zar mi ha impressionato. Poco tempo dopo l’ho vista in Holy Spider il film che le ha portato il premio per l’interpretazione a Cannes. Mentre era negli Stati Uniti per la promozione, ci siamo incontrati a Los Angeles, dove vivo, e le ho proposto non solo di assumere il ruolo di Maryam, ma anche di condividere la regia e di occuparsi del casting. È stata la decisione migliore che potessi prendere.

Ci sono state reazioni da parte del governo iraniano?

Zar Amir. Per ora no. Hanno cambiato strategia ed evitano di reagire direttamente perché questo attira maggiormente l’attenzione dei media. Comunque il film sarà visto in Iran anche se in forme non ufficiali.

Guy Nattiv. E’ incredibile la reazione dei giovani, dei ventenni e soprattutto delle ragazze. Si identificano con il messaggio del film, si affezionano alla protagonista, scrivono cose bellissime sui social.

La storia è ispirata a diverse vicende accadute nel mondo dello sport. Perché avete scelto proprio il judo?

Guy Nattiv. Il judo è molto popolare sia in Israele che in Iran, ci sono moltissime competizioni, gli atleti si incontrano e spesso diventano amici. E’ uno sport che insegna a onorare e rispettare l’avversario, l’odio non esiste. Anche quando vieni sconfitto, ti devi inchinare e stringere la mano a chi ti ha battuto. Lo sport, come la musica e il cibo, unisce le persone, le riunisce in uno stesso luogo, un palazzetto o uno stadio, è una forma di comunicazione e connessione.

Quali sono le storie che vi hanno ispirato?

Guy Nattiv. Quella della pugile iraniana Sadaf Khadem, prima donna a competere in questo sport sfidando la proibizione iraniana, si è trasferita in Francia e ha un allenatore maschio. Poi c’è Elnaz Rekabi, la scalatrice punita per aver tolto la hijab durante le Olimpiadi di Seoul. Infine Kimia Alizadeh, la prima atleta iraniana a vincere una medaglia alle Olimpiadi, che oggi vive in Germania.

La hijab ha un forte valore simbolico nel film, sia per il personaggio di Maryam, che controlla maniacalmente che sia a posto, che per quello di Leila, che durante un combattimento toglie il velo.

Zar Amir. L’atteggiamento di Maryam, che controlla continuamente il velo, non era scritto nella sceneggiatura ma è nato spontaneo visto che questa coach si sente osservata dal governo e vuole mostrare di essere una brava rappresentante del suo paese e del regime. Per chi combatte, il velo può essere pericoloso, dunque la scena in cui Leila lo toglie è autentica, non segue un cliché. Era scritto che a un certo punto lei togliesse l’hijab, mentre è concentrata nel combattimento ed è molto emozionata. Quella scena si svolge come una danza, senza forzature. Certamente il movimento Donna Vita Libertà era già esploso quando realizzavamo il film e tutti sentivamo nell’aria questo senso di rivoluzione. Leila, in quella scena, non riesce a respirare e dunque toglie il velo. Non era una cosa preparata, neanche il dop se l’aspettava, era dietro di lei e non sapeva nulla, è rimasto spiazzato. In quel momento tutti erano in lacrime. Per il movimento delle donne iraniane è un’immagine simbolica, ma non volevamo che fosse una cosa insistita o plateale.

Non solo le sportive ma anche attrici e scrittrici hanno compiuto la scelta dolorosa dell’esilio.

Zar Amir. E’ un’esperienza profondamente traumatica che io conosco bene, vivo a Parigi da 16 anni. Chi non crede nel regime ha dovuto sopportare questa esperienza. Facendo cinema ed essendo abbastanza famosa, avrei dovuto comportarmi secondo i loro dettami, dicendo le cose che volevano e portando l’hijab. Ho sentito subito Maryam vicina perché ha perso tutto. Ha dovuto smettere di fare sport e le è stato offerto questo lavoro di allenatrice. Ha dovuto mentire tutta la vita. Gli iraniani sono bravi a mentire, siamo un popolo di attori. Ma la nuova generazione non accetta di vivere così, di continuare a recitare e mentire.

Lei è ottimista?

Sì, è già cambiato molto, perché le donne iraniane oggi combattono per i loro diritti e sono consapevoli. Vogliono decidere sul proprio corpo: cosa indossare, come comportarsi, dove andare, cosa mangiare. Queste costrizioni sono legate non solo al regime islamico, ma anche alla tradizione, alla cultura, alla religione. C’è voluto molto tempo per prendere coscienza. Sono cambiati i rapporti tra gli uomini e le donne, le donne hanno cominciato a prendersi i propri diritti. Le leggi e le norme sono ancora contro le donne e molti uomini le usano contro di noi, ma ci sono anche tanti uomini che hanno capito di non dover comandare su di noi. Tutto il sistema deve cambiare. Come dico sempre, ho perso tutto ma non ho perso la speranza.

Cristiana Paternò
25 Marzo 2024

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