Cà Foscari Short Film Festival, il mondo di Philippe Le Guay

Il celebre regista francese protagonista della seconda giornata della kermesse. Nel concorso internazionale amori, famiglie e relazioni, e come diventare ‘donne futuriste’


“Parigino, regista e sceneggiatore ma non attore, precisa lui stesso correggendo un’inesattezza della sua pagina Wikipedia”: la seconda giornata Cà Foscari Short ha visto il celebre regista francese Philippe Le Guay, intervistato da Marie Christine Jamet e Gabrielle Gamberini, in quella che è stata, come da titolo dell’incontro, una vera e propria “immersione nel suo mondo”, cioè in un’opera che ha toccato le corde della commedia e del dramma e alla cui origine c’è la vorace passione giovanile per il cinema.

Si tratta di uno dei registi più eclettici del panorama francese contemporaneo: un uomo che ha raccontato il proprio sogno, fare cinema, e che vuole portare sullo schermo personaggi forgiati sì nella leggerezza, ma caratterizzati da un animo sensibile e intraprendente. Il pubblico ha avuto modo di conoscere Le Guay tramite sei estratti da altrettanti lungometraggi, soffermandosi specialmente sui grandi successi: Molière in bicicletta (2013), uno tra i più noti del regista, omaggio alla pièce Il misantropo del grande drammaturgo francese, nato dalla “fascinazione reciproca” con il protagonista e suo attore feticcio, Fabrice Luchini, Normandia nuda (2018) e il capolavoro Le donne del 6° piano (2011). Le Guay ha descritto le colonne portanti del suo mondo, fatto di colore, spazialità e personalità che ama nonostante la propria opinione. La sua ricerca, infatti, parte proprio dalla psicologia dei personaggi, che viene poi districata in scenari che tolgono il fiato. Ecco perché il successo e la meraviglia di questo mondo, che non ha posti limitati e che lascia sognare un pubblico che vorrebbe, anche solo per una sera, essere un borghese parigino che “salendo di appena dieci metri scopre che la felicità esiste per davvero”.

A seguire, sono stati mostrati al pubblico ben dodici cortometraggi del Concorso internazionale. Attesissimo il secondo film italiano in gara, We should all be futurists, diretto da Angela Norelli. La regista, utilizzando la tecnica del montaggio, ha saputo regalare al pubblico un’opera magistrale, che ruota attorno ad un piacere femminile, libero dalle catene della mascolinità e che trova pieno sfogo nelle teorie di Marinetti. Con un titolo di richiamo la regista del Centro Sperimentale di Cinematografia dà forma (partendo da una trentina di diversi film muti) a questo collage ironico su come due donne tra gli anni ’10 e ’20 riescano a ribaltare le imposizioni dei loro mariti diventando anch’esse ‘futuriste’.

Durante la giornata, proiezioni di opere accomunate da due tematiche principali: da un lato le relazioni in tutte le loro sfaccettature; dall’altro, la famiglia, gli affetti e le difficoltà di convivere tra rimproveri e limitazioni. Apnea, della regista messicana Natalia Bermúdez, indaga con saggia eleganza stilistica sulla spinosa questione dei rapporti sessuali nei contesti educativi, mentre Closer, della lituana Augustė Gerikaitė, ha emozionato il pubblico con una anomala, dolceamara rom-com, la storia di un amore sbiadito, ma che può tornare ad ardere più che mai.

La sfera dei rapporti familiari è stata invece approfondita in tre cortometraggi: Devotions, animazione di Jessica Goh, originaria di Singapore, Memory rambler, documentario del tailandese Sira Buranasri e Dielli, del regista kossovaro Dritero Mehmetaj. Nel primo caso la famiglia assume le caratteristiche di scudo di fronte ad un avvenimento terribile, mentre i corti successivi hanno tematizzato rispettivamente la relazione difficile del protagonista con la madre e i dissapori tra un padre ed un figlio che si rincorrono nonostante bugie e false speranze.

Il tema dell’amore, poi, costituisce il nucleo intimo di Romeo, diretto da Tynystan Temirzhan, regista chirghiso che mette in scena un rimorso della sua giovinezza: come in un’opera drammatica, egli avrebbe voluto saper comunicare il proprio amore, preferendo il duello al silenzio. Il caos ritmico della musica, in seguito, viene presentato come cura per la sofferenza nell’opera di Ido Gotlib, regista israeliano ora residente in Germania. Il suo Fragments of us ha illustrato i pericoli dell’incrocio tra emozioni e tecnologia in mano ad un protagonista troppo umano.

La serata è continuata con il lavoro del collettivo francese composto da Hadrein Maton, Quentin Wittevrongel, Arnaud Mege, Coline Thelliez e William Defrance. L’opera d’animazione Stabat mater, nata dall’ascolto dell’omonima melodia del Pergolesi, ha portato alla riflessione su un dilemma insolvibile, chiedendosi se un artista possa morire e al contempo sopravvivere grazie al suo operato.

Non sono mancati, inoltre, cortometraggi segnati dai colpi di scena. Il primo esempio è stato Sasha, della regista russa Maria Viktorova, che ha narrato di un viaggio in treno che non arriva che alla stazione del destino, sconvolgendo le certezze di una vita. Similmente Off the page, realizzato dagli spagnoli Joan Oliver Nadal e Diego Gomez Tejedor, ha presentato una storia fuori dalla storia, basata su una sceneggiatura modernista che ha consegnato le sorti del racconto nelle mani del suo personaggio.

La serata si è poi conclusa con la visione di Alvida – The last goodbye, della regista indiana Dilu Maliackal, che utilizza una fotografia tagliente per raccontare a sua volta di un viaggio, che apre gli occhi ad una donna sulla sua condizione di impotenza: la rivincita, tuttavia, arriva proprio dalla resilienza di chi non si lascia abbattere.

La giornata è stata inoltre arricchita da molteplici eventi: di rilievo il programma curato da Cecilia Cossio che ha visto la partecipazione dell’artista indiano Faraz Arif Ansari, da sempre impegnato nella lotta in difesa delle diversità. L’Auditorium ha inoltre ospitato le proiezioni del VideoConcorso Francesco Pasinetti e il programma dedicato alla celebre Mika Ninagawa.

 

redazione
22 Marzo 2024

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