Werner Herzog: “Ecco perché disprezzo Günter Grass”

Premio alla carriera al Festival Visions du Réel per il cineasta bavarese che ha incontrato il pubblico di Nyon e proposto il suo più recente documentario Meeting Gorbachev


NYON – Dal 2014 il Festival Visions du Réel assegna un premio alla carriera a registi particolarmente affermati nel campo del documentario ma non solo, spesso sottolineando quanto i cineasti in questione abbiano esplorato i confini tra realtà e finzione. Nel corso delle varie edizioni della kermesse, il riconoscimento è stato conferito a Richard Dindo, Barbet Schroeder, Peter Greenaway, Alain Cavalier e Claire Simon. Per l’edizione 2019, quella del cinquantenario, la direttrice artistica Emilie Bujés ha scelto di omaggiare un autentico gigante della settima arte, Werner Herzog, in collaborazione con la scuola di cinema losannese ECAL e la Cineteca svizzera, che per tutto il mese di aprile propone un’ampia retrospettiva dell’opera del regista tedesco.

Il cineasta teutonico (anzi, bavarese, come lui stesso ama ribadire) è stato protagonista di un lungo incontro con il pubblico, quasi tre ore di dialogo a partire da Meeting Gorbachev, il suo ultimo documentario, presentato in concomitanza con la consegna del premio Maître du Réel. È un lavoro atipico per Herzog: “Mi sono attenuto agli stilemi più classici del documentario in questo caso, perché tutto era dettato da Gorbaciov e dal suo stato di salute. Erano previsti solo due incontri con lui, con poco tempo a disposizione perché lo portavano direttamente dall’ospedale. Alla fine ne abbiamo fatto un terzo, nel suo ufficio, perché l’ha voluto lui”.

Nel film è palese l’ammirazione che il regista, cresciuto in una Germania divisa, prova per colui che contribuì allo scioglimento dell’Unione Sovietica. “Fu una figura fondamentale per la riunificazione del mio paese – spiega Herzog – Altri miei connazionali si opposero all’idea. Tra questi ci fu Günter Grass, che disprezzerò fino alla fine dei miei giorni”.

Accettando il premio, il regista dice che il suo lavoro è un misto di reale e irreale: “Anche nei documentari ci sono cose inventate, per arrivare a una verità più profonda”. Nel suo cinema del reale esistono logiche da fiction, come quella del casting: “In un film di finzione ci vogliono gli attori giusti, ma lo stesso vale per i documentari. Spesso mi propongono di intervistare una certa persona perché è esperta in materia, poi però quando parla è una noia mortale”. L’equilibrio tra realtà e finzione si estende anche al rapporto che il cineasta instaura con le persone: “Non mento mai agli intervistati, ci vuole il rapporto di fiducia, soprattutto se non ci sarà una seconda possibilità di parlare con loro, come quando ho girato i documentari sulla pena di morte negli Stati Uniti. Con i burocrati invece sono spesso stato disonesto, e ho girato in luoghi dove non era permesso, con autorizzazioni che mi ero fatto da solo. Dico sempre che la scuola di cinema non serve a nulla, bisogna imparare a falsificare i documenti e usare i grimaldelli, perché la burocrazia è l’ostacolo più grande in campo artistico”.

Ci sono anche delle menzogne nei titoli di testa di alcuni film di Herzog: “A volte sono menzionati direttori della fotografia abbastanza famosi, ma in realtà il lavoro lo feci io e poi mi feci prestare il nome dai professionisti in questione, che sono amici miei, per evitare che io stesso fossi menzionato troppo spesso nei titoli, siccome ero già regista, sceneggiatore e produttore. Loro sono sempre stati al gioco, l’unica preoccupazione era che il loro nome fosse associato a un brutto film. I miei sono tutti eccezionali”. In un secondo momento, però, ammette di non ritenersi infallibile: “Voglio bene a tutti i miei film, ma nessuno di loro è privo di difetti”.

Il rapporto tra reale e irreale fa parte anche della percezione pubblica del regista: “Su Facebook trovate una trentina di Werner Herzog, ma sono tutti impostori, e in rete circolano video in cui la gente imita la mia voce. Per quanto riguarda la mia reputazione, io nella vita sono molto gentile, quindi quando mi si chiede di recitare nei progetti degli altri, come quando ho fatto il cattivo in Jack Reacher, scelgo ruoli che non corrispondono a chi sono veramente”.

Alla rete si ricollega la questione della pirateria, a cui accenna uno spettatore proveniente dall’Ucraina, dove la reperibilità legale dei film di Herzog è quasi nulla. “Inutile negarlo, la pirateria è la modalità di distribuzione più diffusa – afferma il regista – Io per principio non la approvo, perché con i miei film dovrei anche guadagnare qualcosa, ma se vivete in zone dove le opzioni legali scarseggiano avete la mia benedizione”. 

10 Aprile 2019

Visions du Réel 2019

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