Sergio Citti


Sergio Citti nella sua Roma. Sarebbe capace di arrivare in ciabatte e vestaglia alla presentazione di Vipera, il suo nuovo film. Dal tono scanzonato e distratto che ha nel rispondere appare chiaro quanto poco voglia prendersi sul serio [“(…)me dicono che so’ ‘n’autore” (…)]. D’altronde quando deve raccontare qualcosa, fa un film: le teorizzazioni, le spiegazioni preferisce lasciarle ai critici e alla gente che spera vada a vedere il film… “… così poi magari qualcuno me lo spiega anche a me… Perché ho fatto ‘sto film, perché faccio il cinema? Potrei farlo come il cantastorie del film, invece lo faccio col cinema perché …mi pagano!”

Perché, come dice il piccolo Fortunato nel finale, “le storie non devono piacere, devono dispiacere”?
Le storie vere non vanno mai a finire bene. Le storie vere sono sempre spiacevoli. Per questo piacciono…

Per questo tra i personaggi, e specie fra quelli maschili (meno quello di Harvey Keitel e il prete intepretato da Goffredo Fofi), non ce n’è nessuno di decente, di positivo?
All’epoca [fra la Seconda Guerra Mondiale e i primi anni ’50, ndr] la gente aveva la chiacchiera “piccola”. Ma viveva per la vita. Può darsi che non siano personaggi decenti, ma trovo molto più indecente certa gente di oggi, senza calore. In fondo ho reso decenti anche i fascisti… Io ero bambino all’epoca, e a me i bombardamenti non facevano paura: le sirene erano per me il segnale che era il momento per poter andare a rubare i fichi della portinaia!

I bambini del suo film sono anche molto cattivi: canzonano Rosetta quando suo padre muore…
Ma i bambini sono sempre così: non sono proprio cattivi, sono innocenti.

Come ha scelto i suoi attori?
Quando scrivo non ho mai l’immagine del personaggio. Poi guardo le facce, e quando un attore mi dice “sono io”, senza bisogno di dirlo, capisco che è quello giusto. Giannini e Keitel sono dei veri professionisti, quegli attori che hanno sempre un certo riguardo per il loro sedere: ma loro sono disponibili, e hanno mostrato un po’ …di sé.

Giancarlo Giannini dà la sua voce anche al personaggio di Keitel…
Sì, perché a me la parola doppiaggio non piace: lui è il doppiatore “meno doppiatore” che io conosca. Ho sentito molte voci, impostate, televisive, pubblicitarie… la sua era la più adatta, tutto qui.

Il film è stato girato in Sicilia, ma i personaggi e gli ambienti non sono veramente caratterizzati…
Parlano chiaro, e non dialetto perché è cinema, è falso. Eppoi parlo di un generico meridione, perché in molte zone d’Italia si è vissuta la Liberazione in modo simile: ricordo quando arrivarono “gli americani”, che erano tutti neri, erano i marocchini che venivano mandati avanti.

Uno dei temi centrali del film sembra essere la sacralità della figura materna. Come vede le donne di oggi?
Come uomo non ho mai capito se sono gli uomini a capire meglio le donne, o le donne stesse. Comunque oggi, alla donna capitano le stesse cose di 50 anni fa. Anche il rapporto madre-figlio è rimasto uguale. Vipera riesce a riscattarsi solo alla fine. Quando, delirante, dice: “voglio partorire il mondo”.

E oltre a quello del rapporto madre-figlio si possono intravedere altri archetipi: la ragazzina portata in riformatorio dai carabinieri assomiglia a Pinocchio, certe atmosfere sono vicine a certo un melò di quegli anni, ai film di Matarazzo per esempio…
Le favole, gli archetipi ci sono sempre: al cinema, e non solo, tutto è già stato raccontato. Ma quella è anche la realtà di quel mondo… insomma: non lo so, se c’è il melò; se c’è, c’è…Manco lo so, che è, il melò …

Dean Buletti
07 Maggio 2001

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