MICHELE PLACIDO


Girato a fine estate scorsa fra Sicilia e Toscana, Un viaggio chiamato amore sarà distribuito nelle sale da 01 Distribution in primavera. Coprodotto da Cattleya e RaiCinema, il film diretto da Michele Placido ha per protagonisti Laura Morante e Stefano Accorsi, insieme ad Alessandro Haber e Galatea Ranzi.

Torni per la quinta volta alla regia con un film sul rapporto fra gli scrittori Sibilla Aleramo e Dino Campana…
Sì, una storia d’amore molto forte e carnale. E’ Dino che traccia il percorso del film, senza togliere nulla al personaggio della Aleramo, soprattutto per la sua natura. Campana non fu mai allineato perché era talmente spiazzante, non solo per la sua poetica ma anche dal punto di vista del comportamento. Eterno vagabondo, non stava bene da nessuna parte, se non in montagna e nelle campagne, dove riusciva a trovare un minimo di pace e tranquillità. Non voleva essere imprigionato da nessuno schema culturale. Quindi a suo modo questo film, che è una storia d’amore, è anche un manifesto libertario.

Racconti anche la fase finale, quella dello squilibrio mentale?
Non più di tanto. Non rappresentare la follia è anche una forma, non dico di rispetto, ma di pudore nei confronti della persona. E’ chiaro però che verrà fuori, ma spero di farlo nel modo giusto, anzi di mostrare Campana quasi normale e di leggere in quella normalità il suo malessere.

Sei tornato a girare in Sicilia?
Sì, anche se Dino Campana non ha nulla a che vedere con la Sicilia. Molto del film parla della Aleramo ragazzina piemontese andata a vivere nel profondo Sud. Nel suo romanzo Una donna, in verità, si trattava delle Marche, dove si era trasferita al seguito del padre, ingegnere di una fabbrica. Ho voluto però spostare il set in Sicilia, per dare anche un colore diverso rispetto alle campagne toscane e a Firenze, dove si svolge la maggior parte del film.

Come sei arrivato a scegliere Stefano Accorsi per la parte di Campana? In effetti l’ideale sarebbe stato Depardieu, nel senso che fisicamente Campana era un po’ un gigante, un bambinone con una fisicità contadina seppur con un intelletto molto fine. Stefano non ha il fisico, ma secondo me ha tutta la capacità sia attoriale che poetica per affrontare con il cinema questo personaggio non facile.

E gli altri?
C’è un contrasto di voci e di colori con attori presi dalla strada, soprattutto per la parte proletaria dell’epoca in cui lavoravano in queste saline bellissime di Trapani. Per tutta la parte borghese e intellettuale fiorentina ho pensato di usare attori di teatro, soprattutto giovani. Fra questi c’è Galatea Ranzi, un’attrice che lavora con me in teatro, ma che ha avuto poche occasioni cinematografiche, nel ruolo di Leonetta Pieraccini, moglie del letterato Emilio Cecchi, grande amica sia di Campana che di Sibilla Aleramo e testimone di questa storia struggente e travolgente.

08 Gennaio 2002

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