Margarethe Von Trotta: “Sorelle, il segreto del mio cinema”

La regista tedesca, protagonista a Bari di una master class, ci parla del suo nuovo film Die abhandene Welt, ispirato a una vicenda autobiografica


BARI – Il fantasma del nazismo, la ribellione degli anni ’70, il femminismo, ma anche l’ossessione della sorellanza. Una presa di posizione umana e ideologica che ha attraversato tutto il cinema di Margarethe Von Trotta e che, adesso lo scopriamo, ha una radice autobiografica profonda portata allo scoperto dall’ultimo film, Die abhandene Welt. Presentato alla Berlinale è in anteprima italiana al Bif&est, in attesa di essere acquistato da un distributore. Barbara Sukowa e Katja Riemann, due attrici a cui la regista tedesca è fortemente legata, si scoprono sorelle segrete per un tortuoso percorso, a partire da una foto in cui una rintraccia una perfetta somiglianza con sua madre, morta da poco. Un viaggio dalla Germania a New York, la comune passione per il canto – una è cantante lirica, l’altra jazz – figure maschili che sanno la verità ma non la vogliono rivelare. Per l’autrice di Sorelle. L’equilibro della felicità, è stato incredibile scoprire, quando era già avanti negli anni, di avere una sorella senza saperlo, perché sua madre, che aveva dovuto darla in adozione molto giovane, non glielo aveva rivelato.

Abbiamo incontrato Margarethe von Trotta al Bif&st dove è stata protagonista di una lezione di cinema partita dal ricordo del primo film della sua vita. “A Düsseldorf, a 16 anni, vidi I bambini ci guardano di Vittorio De Sica, e capii l’importanza della verità e di ciò che diciamo ai giovani”. Ha scelto l’italiano per la sua master class – ed è stato buffo vedere in platea il connazionale Edgar Reitz costretto ad usare le cuffie per ascoltarla – preceduta dalla visione di Anni di piombo, Leone d’Oro a Venezia nel 1981. Tra i suoi maestri ha citato Bergman e Hitchcock, ma anche il neorealismo: “Da bambina non sapevo che i tedeschi fossero responsabili della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. A casa e a scuola, siamo stati cresciuti nel silenzio sul passato: si sono dati molto da fare per tenere una generazione all’oscuro, vivevamo sotto una cappa di piombo. Ma nel film il padre delle due bambine, Christiane e Gudrun Ensslin, un pastore protestante, uomo severo e durissimo, fa vedere Notte e nebbia, il film di Alain Resnais sui campi di concentramento che per molti in Germania fu una rivelazione sulla verità del nazismo. A differenza dei registi italiani che, come ha ricordato Scola, sono stati spinti subito dopo la guerra a darsi da fare perché amavano il loro Paese, noi tedeschi non abbiamo mai amato la Germania, l’abbiamo odiata. I miei ricordi di Berlino erano macerie”.

Attrice per Fassbinder e Schloendorff, ha raccontato quanto sia stato difficile per una donna essere riconosciuta come regista. “Da sempre ho pensato di diventarlo, ma quando ho fatto il mio primo film, L’onore perduto di Katharina Blum, nel 1974, hanno cercato di cancellare il mio contributo, sui manifesti c’era solo il nome di Schloendorff”. E rivela:  “Avrei voluto fare un film con Gian Maria Volontè o Marcello Mastroianni, in Germania è difficile trovare due attori così bravi. Peccato che siano morti perché adesso avrei il coraggio di chiederglielo”.  

Torniamo alla sua infanzia nella Germania del dopoguerra, una Germania rasa al suolo e devastata moralmente dal nazismo che prende coscienza di ciò che è accaduto.
Non ci fu presa di coscienza, è questo il dramma. Nel dopoguerra tutti tentarono di dimenticare. C’era la distruzione, la fame, ma nessuno parlava delle colpe che avevano portato a questo. Noi eravamo responsabili, il popolo tedesco aveva cominciato la guerra. Ma un bambino non sa, si sente solo vittima, capisce molto dopo di essere parte di un popolo che ha commesso questi crimini.

Quando l’ha capito lei personalmente?
Molto tardi, devo dire. Mia madre era apolitica. Parlava del passato perché era nata a Mosca, ma non del nazismo. A scuola niente. Nessuno mi ha detto la verità. All’inizio degli anni ’60 sono andata a Parigi e ho incontrato degli studenti francesi che mi hanno aggredito in quanto tedesca e io non sapevo neppure cosa rispondere perché non sapevo di cosa parlassero. È lì che è iniziato il mio interesse per il passato. Sono tornata in Germania e a quel punto volevo sapere. Questa negazione della verità ci ha reso ribelli.

Tre anni dopo Visioni, il suo film del 2009 su Hildegard von Bingen, la monaca medievale e grande mistica venne nominata dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI.
Era il momento di farlo, spero che il mio film abbia dato una spinta al papa che si era occupato di Hildegard molti anni prima, quando era giovane aveva scritto su di lei. Ma Hildegard ha dovuto aspettare mille anni per essere nominata dottore della Chiesa, a differenza di tanti uomini.

Cosa l’ha affascinata di Hildegard?
Era una donna credente, come tutti nel Medioevo, che ha capito ciò che le faceva bene e ha trovato la sua strada per realizzarlo, sempre pensando che fosse la voce di Dio che le ordinava di fare le cose, invece era anche la sua voce interiore, la voce del suo inconscio.

A proposito di inconscio, il suo film più recente, Die abhandene Welt, getta una luce retrospettiva su tutta la sua filmografia, finalmente il tema della sorellanza viene spiegato anche dal punto di vista personale.
È vero, vedendo Die abhandene Welt si capisce perché sono così ossessionata dal tema delle sorelle. Sono figlia unica, o meglio, credevo di essere figlia unica. Ho girato film come Sorelle l’equilibrio della felicità, Paura e amore che ho fatto in Italia modernizzando le Tre sorelle di Cechov, poi ancora La sorella, realizzato per la tv, ma naturalmente anche Anni di piombo dove l’argomento è cruciale. Credo di aver sempre saputo di avere una sorella, pur senza saperlo. 

Lei continua a lavorare di film in film con Barbara Sukowa e ora anche con Katja Riemann. Come mai?
Con Barbara abbiamo fatto insieme sette film, abbiamo un rapporto speciale. Lei è la prima a cui presento la sceneggiatura e legge tutto ciò che ho letto io per creare il personaggio. Eppure il nostro rapporto mi è stato a volte addirittura contestato. Anche Fassbinder ha lavorato sempre con Hanna Schygulla o Bergman con Liv Ullmann. Perché solo a me non è permesso? Forse perché sono una  donna e le donne sono sempre più soggette a critiche.

Cosa accomuna Rosa Luxemburg e Hannah Arendt, due donne straordinarie a cui le ha dedicato due opere così intense e riuscite?

Sono due donne che hanno capito il mondo a loro contemporaneo e hanno cercato di cambiarlo. Rosa Luxemburg ha sofferto molto ma non si è tirata indietro, come fanno tanti che soffrono, ha continuato a voler cambiare il mondo e questo atteggiamento lo condivido. Hannah Arendt ha avuto il coraggio di restare se stessa contro le aggressioni e le critiche. Sono abbastanza scoraggiata dalla realtà di oggi, ma non mi ritiro. Lutero ha detto: anche se muoio domani, oggi pianto ancora un albero.

Ereditò il progetto su Rosa Luxemburg da Fassbinder, quando il regista morì.
Accettai solo a condizione che mi fosse permessa una mia strada per descriverla. Su di lei c’erano tanti scritti politici, ma io avevo bisogno della ‘carne’, di capirla come persona umana e allora ho letto per cinque volte le sue 2.500 lettere e alla fine ho deciso di usare ciò che mi era rimasto in testa. Oggi non si scrivono più lettere, ma solo messaggi telegrafici, non so come si potrebbe ricostruire un grande personaggio attraverso gli sms o le email. Le lettere ci danno veramente il ritratto di una persona nelle sue sfaccettature.

Ha già un nuovo progetto?
Ho due progetti in mente, ma non voglio parlarne. Nanni Moretti mi ha detto una volta che non bisogna parlare dei film che vuoi fare perché se ne parli non li farai.

Cristiana Paternò
27 Marzo 2015

Bari 2015

Bari 2015

Cinema & Fiction, tv italiana in cerca di innovazione

Al Bif&st il convegno "Cinema & Fiction: convergenze parallele?", un momento di confronto tra protagonisti del settore per capire quale possa e debba essere il ruolo della fiction in Italia, mentre dagli Stati Uniti arrivano i successi di serie tv che vantano attori da Oscar e ascolti strabilianti.
"Il problema dell'Italia è che non ha un'industria culturale degna", dice il direttore di 8 e 1/2 Gianni Canova, mentre Maurizio Sciarra si rivolge alla committenza e dice "La tv è ferma a 20 anni fa, non innova da decenni", mentre sta per arrivare in Italia il ciclone Netflix. Tra gli altri relatori Silvia Napolitano, Matilde Bernabei, Daniele Cesarano, Veridiana Bixio e Luca Milano per Rai Fiction

Bari 2015

Alba Rohrwacher due volte miglior attrice al Bif&st

Il messaggio dell'attrice: "Ringrazio il bellissimo Festival di Bari per questi riconoscimenti che arrivano a due film molto importanti per me, Hungry Hearts e Vergine giurata. Ringrazio il pubblico numerosissimo del festival. Purtroppo non posso essere con voi perché sono a Lisbona al Festival di Cinema Italiano. Ma sono davvero felice. E voglio ringraziare la Giuria dei Critici del Concorso Ufficiale e la Giuria Popolare delle Opere Prime"

Bari 2015

Bif&st: 2016 con Mastroianni e gli attori

73mila spettatori. Ovvero 2.500 in più rispetto allo scorso anno. La conferenza stampa di bilancio del Bif&st numero 6, guidato come sempre da Felice Laudadio, è la cronaca di un trionfo, ma anche un molto simbolico "passaggio di consegne" all'amministrazione locale futura, a cui il direttore e il presidente Ettore Scola chiedono in coro di confermare la fiducia in un progetto culturale che richiama un pubblico numerosissimo e giovane. Con il governatore Nichi Vendola in scadenza di mandato, resta un margine di incertezza per il futuro, che Laudadio cerca di scongiurare annunciando già non solo le date - dal 2 al 9 aprile 2016 - ma persino il programma del settimo Bif&st, che sarà dedicato a Marcello Mastroianni nel 20° anniversario della sua scomparsa, con una retrospettiva in 50 titoli. Al Teatro Petruzzelli la cerimonia di premiazione presentata da Stefania Rocca. Miglior regista Francesco Munzi, migliori attori Elio Germano, Alba Rohrwacher, Anna Foglietta e Carlo Buccirosso

Bari 2015

Nanni Moretti, superstar a Bari, legge il “Caro Diario”

"Manteniamo il mistero". Basterebbe l'ultima battuta della masterclass (riferita alla genesi di Habemus Papam), per riassumere l'incontro di Nanni Moretti con il pubblico del Bif&st, di cui è stato l'ultimo, attesissimo ospite. Dopo la proiezione di Caro diario, il regista ha letto il diario di lavorazione che scrisse per quel film del 1993: in un Teatro Petruzzelli affollatissimo, il regista ha rievocato quei giorni, per poi rispondere alle domande (o piuttosto ai timidi input) del moderatore Jean Gili. Come prevedibile, neanche una parola è stata dedicata a Mia madre, il nuovo film del regista che sarà in sala dal 16 aprile (e poi probabilmente a Cannes) in cui recita accanto a Margherita Buy e John Turturro. Ripercorrendo la sua carriera, ha detto: "Con gli anni sono diventato più esigente, ora il momento della scrittura è quello più difficile, mentre quello più faticoso e angosciante resta quello delle riprese"


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