La Shoah raccontata agli adolescenti

Come tramandare la memoria del genocidio degli ebrei ai ragazzi? Ci prova Marie‐Castille Mention-Schaar con Una volta nella vita, in sala con Parthénos il 27 gennaio giorno della memoria


Come raccontare la Shoah ai ragazzi, come tramandare la memoria del genocidio degli ebrei agli adolescenti di tutto il mondo? Ci prova Marie‐Castille Mention-Schaar con Una volta nella vita, in sala con Parthénos il prossimo 27 gennaio giorno della memoria, ambientato nel Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi. Il film è tratto dalla storia vera del giovane francese musulmano Ahmed Dramé, tra gli attori, nonché autore sia della sceneggiatura insieme alla regista, sia del libro omonimo pubblicato in Italia da Vallardi.
Protagonisti del film, con le musiche di Ludovico Einaudi, sono una classe multietnica e di varie confessioni religiose, in prevalenza musulmana, una classe problematica dallo scarso rendimento scolastico. E personaggio centrale è un’insegnante di storia e geografia, interpretata da Ariane Ascaride, che per risollevare le sorti della classe decide di coinvolgere in prima persona gli allievi in un progetto collettivo: un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione.
La pazienza, l’autorevolezza e l’affetto della professoressa per questi ragazzi saranno determinanti a convincerli a partecipare alla competizione, a credere nelle loro capacità vincendo l’apatia, il disinteresse e l’indifferenza.

Ma decisivo per portare a termine il progetto comune è l’incontro, autentico, con un sopravvissuto al campo di sterminio. Léon Ziguel, da poco scomparso, aveva l’età di questi ragazzi quando venne deportato. E a loro Ziguel passa il testimone: “Vi ringrazio dell’energia che mi avete regalato e vi chiedo una cosa sola. Non dite mai ‘sporco ebreo, sporco negro, sporco arabo’, altrimenti tutto quello che io ho vissuto non sarà servito a niente”.
La classe della banlieue parigina vincerà il concorso, superando quelle barriere autocostruite e sfuggendo a un destino di marginalità apparentemente segnato. E soprattutto saranno gli eredi – è il titolo originale del film –  della memoria della Shoah.

Il film nasce da uno dei ragazzi, Ahmed Dramé, che sulla spinta di quel concorso vinto esordisce come attore accanto a Eddy Mitchell. Dramé ci prende gusto e si chiede perché non scrivere un suo film. “Avevo notato che tutte le persone che vengono dalla periferia e sfondano si lanciano nella commedia. Un giovane della banlieue non è per forza un comico! Per me era importante scrivere qualcosa di serio”. S’intitola ‘La vera lotta’ la storia scritta e inviata via mail a Marie‐Castille Mention-Schaar e racconta di un concorso di lettere all’ultimo anno del liceo Pasteur con una professoressa di lettere figlia di immigrati. La regista dopo il primo incontro con Dramé decide di realizzare il film puntando tutto sull’improvvisazione degli adolescenti: “Abbiamo filmato con tre macchine da presa, quindi ci siamo ritrovati con chilometri di girato e costruire il film al montaggio è stata una sfida molto impegnativa. Sul set e soprattutto in sala montaggio ho scoperto che era importante che non lasciassi mai la classe. Era l’atomo del film e appena ci allontanavamo da quel luogo io perdevo il filo. È per questo motivo che abbiamo tagliato la maggior parte delle scene in cui si vede Madame Gueguen e i suoi alunni fuori dal liceo”.

A chi ritiene che il film sia ottimista nell’affrontare la realtà scolastica, in particolare quella francese, la cineasta risponde che è una storia vera che testimonia quanto sia possibile “appassionare anche i ragazzi più reticenti, a condizione che vengano messi al centro del percorso didattico”. Ed è forse per controbilanciare questo ottimismo che il film si apre con una sequenza che dà l’atmosfera che si respira in una scuola multietnica e di periferia. Si tratta del diverbio tra una ragazza musulmana, che ha concluso gli studi e si presenta al liceo a ritirare il suo certificato di maturità, e la consigliera e il preside del liceo che le negano l’accesso perché indossa il velo che copre capelli e corpo. “L’alterco mostra il limite del dialogo attorno a due principi altrettanto forti: la libertà di espressione e il principio della laicità – spiega la regista -Durante tutto il suo iter scolastico, la ragazza ha osservato la legge che impone di togliersi il foulard prima di entrare nelle scuole. Quella sequenza per me identifica i termini del dibattito. Non è detto che siano per forza le leggi a proteggere la scuola laica. È necessario pensare ad altri schemi”.
Del resto per bilanciare una visione forse troppo ottimista su come la classe reagisce agli stimoli e alle provocazioni della loro insegnante la regista inserisce la figura di un ragazzo integralista musulmano che si chiamerà fuori dal lavoro di gruppo. Episodio che peraltro rimarrà marginale e che forse avrebbe avuto bisogno di non rimanere sullo sfondo.

13 Gennaio 2016

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