Il creatore di cult: Michael McDowell da Beetlejuice a Blackwater

Lo sceneggiatore di Beetlejuice, cult diretto da Tim Burton, è anche il protagonista di un caso editoriale di grande rilevanza, quello della saga di Blackwater: raccontiamo questa connessione tra aned


Tim Burton ha fatto Beetlejuice, ma si può dire anche il contrario. Beetlejuice ha creato Tim Burton.

Ovvero lo ha reso quello che è oggi. Beetlejuice fu il suo secondo film e all’epoca dell’uscita (il 30 marzo 1988: cioè 35 anni fa!) poteva vantare come unica regia Pee-wee’s Big Adventure.

Ed è proprio il film con il bio-esorcista “porcello” che ha lanciato Burton verso il successo mainstream e ha spalancato le porte ad alcuni dei suoi film più iconici della fine degli anni ’80 e ’90, come Batman (1989), Edward mani di forbice (1990) e Sleepy Hollow (1999).

Ma soprattutto, Beetlejuice ha stabilito il tono di ciò che oggi associamo a Tim Burton. Il film non si risparmia in quanto a stile gotico e da cartoon che è diventato sinonimo di burtonesco.

Uno sguardo nel buio

L’inclinazione di Burton per il bizzarro e l’inquietante non era ancora esplosa a quei tempi. Beetlejuice fu il primo sguardo alle zone più oscure della sua mente. Dal gessato del famigerato vestito del bio-esorcista Betelgeus, alle spaventose immagini carnevalesche, dal trucco grottesco ed esilarante di Geena Davis e Alec Baldwin fino all’incubo dei vermi del deserto, i limiti dell’immaginazione di Burton si sono estesi fin dove il budget di produzione lo permetteva.

Il tutto esaltato dalla colonna sonora di Danny Elfman, un compositore così in sintonia con Burton da far pensare che siano stati separati alla nascita, forse da genitori che lavoravano nel circo. Il tema di apertura rimane una delle migliori canzoni da film mai realizzate negli anni ’80, inquietante e allegra allo stesso tempo, proprio come il cuore della narrazione burtoniana.

Da Blackwater a Beetlejuice e viceversa

Esattamente 35 anni fa Beetlejuice sconvolse le aspettative cinematografiche degli spettatori, lasciando inizialmente perplessi produttori e attori (lo stesso Micheal Keaton non era convinto di voler interpretare lo spiritello porcello salvo poi indicarlo a posteriori come il personaggio a cui è rimasto più affezionato nella sua intera carriera), ma aprendo definitivamente la strada ad altri film capaci di spaventare la gente, strappando al contempo un sorriso dalle labbra. Quando gli capitò tra le mani la sceneggiatura di Beetlejuice, Tim Burton ne rimase folgorato. Disse poco tempo dopo: “Era l’esatto contrario di tutto quello che avevo letto fino a quel momento”.

Fu amore a prima vista col macabro concept della storia. Ma di chi era questo script così esorbitante e fuori dai canoni?Forse non tutti lo sanno: dietro Beetlejuice c’è un autore di cui si fa un gran parlare in questo periodo, specialmente nel nostro Paese. Uno scrittore, così sfortunato (è morto non ancora cinquantenne nel 1999) da non poter godere del successo enorme che ha avuto nel tempo la sua saga folk horror e che ora in Italia è esplosa con grande deflagrazione. Lui è Micheal McDowell e il caso editoriale di cui stiamo parlando è ‘Blackwater’ (edito nella collana Beat di Neri Pozza) che dal gennaio di quest’anno si è imposto come uno dei romanzi, in serie, più letti in assoluto. Una storia diventata già cult e in costante ascesa. La saga di Blackwater, ambientata nella città di Perdido, in Alabama, racconta le vicende di una dinastia di imprenditori del legname, i Caskey, in un arco temporale che va tra il 1919 e il 1970. Una saga familiare difficile da etichettare con un solo genere e che affonda le radici nel folklore dell’Alabama, tra drammi, amori e soprattutto la presenza del soprannaturale e dell’orrore rappresentato dallo splendido personaggio di Elinor Dammert.

I sei libri della serie, usciti nel 1983 in America con cadenza mensile, conquistarono anche il re del Brivido: Stephen King che definì McDowell il “più grande scrittore di tascabili originali degli Stati Uniti.”

Fu proprio in quegli anni che il prolifico scrittore di romanzi horror stava provando ad entrare nel mondo del cinema. Sulla scia dei blockbuster come Poltergeist e Ghostbusters, sperava di scrivere la sua sceneggiatura dal tono comico-soprannaturale.

Tutto inizia con i vicini

Un giorno, nella loro casa di Medford, in Massachusetts, l’autore e il suo partner, l’accademico Laurence Senelick, stavano facendo brainstorming su qualche idea da mettere su carta. A quel tempo, le famiglie che vivevano nelle vicinanze spesso li infastidivano. Però la loro inciviltà e la loro turbolenza servirono a McDowell da ispirazione.I film di paura di solito presentano spiriti maligni che predano gli ignari esseri umani. Ma “Cosa succederebbe se ci fossero dei fantasmi buoni?”, ricorda di aver chiesto Senelick a McDowell.

“E se fossero le persone che si sono trasferite nella casa a essere malvagie?”.

Con questo concept in mente, McDowell ideò un bio-esorcista professionista per spaventare gli insopportabili occupanti. È così che prese forma la trama di base di uno dei film più divertenti e spaventosi dei favolosi anni 80. Anche se bisogna dire che la storia originale era molto più sinistra, soprattutto per quanto riguarda il ruolo principale. Betelgeuse era sicuramente più scabroso: avrebbe dovuto essere un demone omicida, i Maitland (la coppia di sposi che diventano fantasmi) sarebbero deceduti di una morte davvero raccapricciante e i Deetz avrebbero avuto un’altra figlia oltre Lydia (interpretata poi da Wynona Ryder che diverrà icona del look definito “goth”).

McDowell era innamorato della morte. Per lui era qualcosa da esplorare e finanche da riderne, non da temere o evitare. “La mia filosofia, se ne ho una”, disse alla rivista cult americana Fangoria nel 1984, “è che l’universo è uno scherzo e noi siamo il bersaglio di quello scherzo”. Quando McDowell e il co-autore Wilson finirono di scriverla e la fecero leggere a un dirigente della Universal, questi rimase disgustato dallo sceneggiatura che definì una “schifezza” che può stroncare una carriera.

Per fortuna la previsione si è rivelata del tutto infondata. E fu la nascita di un altro cult. Si vede che McDowell aveva davvero un talento per crearne, basti pensare che ha scritto un altro film di culto come Nightmare before Christmas adattando una poesia dello stesso Burton.

Oltre il soprannaturale

Nonostante gli stravaganti elementi da commedia horror, la posta in gioco di Beetlejuice è meno soprannaturale di quanto si possa ricordare. Se si superano i non morti, il bio-esorcista, i mostri nascosti nella sabbia nel fuori campo dell’aldilà, la storia è più concreta della bara di Beetlejuice stesso. I Maitland sono una coppia sposata che non riesce ad avere figli propri, cosa resa più complicata dalla loro morte. Grazie a Lydia, i due trovano una seconda vita come genitori surrogati nella loro famiglia allargata con i Deetz.

Forse non si tratta della metafora più approfondita e raffinata della storia, ma in un film pieno di vermi e di paranormale, un po’ di realismo fa la differenza.

Beetlejuice va alle Hawaii 

35 anni dopo, un sequel è prossimo alla produzione, con Keaton e Ryder a bordo e voci di corridoio che parlano dell’ingresso di Jenna Ortega (alias Mercoledì Addams) nel ruolo della figlia di Lydia. Burton ha cercato per qualche tempo di far decollare questo film, ma senza successo.Nel 1990 è stato proposto un secondo film che avrebbe visto Beetlejuice alle prese con il fantasma di un antico capo hawaiano. Quel film non ha mai preso piede, ma se vedremo Beetlejuice surfare nel nuovo film, saprete da dove è venuta l’idea.

15 Aprile 2023

Editoria

Editoria

Champagne e cambiali, i produttori tra splendori e miserie

Raccontare il cinema italiano attraverso le voci dei produttori. E’ l’idea che guida “Champagne e cambiali”, il volume di Domenico Monetti e Luca Pallanch, uscito in questi giorni in libreria con Minimum Fax in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia

Il Pasolini borghese
Editoria

A Roma, presentazione del libro ‘Il Pasolini borghese’

L'autore Gianfranco Tomei insegna Psicologia Generale, Sociale e della Comunicazione presso la Sapienza di Roma. E' esperto di linguaggi audiovisivi e multimedialità e autore di romanzi, cortometraggi e documentari

La copertina del saggio
Editoria

Alla Casa del Cinema una conferenza sul mestiere dell’audiodescrizione

Il termine ‘audiodescrizione’ non è ancora registrato nei vocabolari e nelle enciclopedie. Nell’editor di testo di un computer viene sottolineato in rosso, come un errore. Una parola che non esiste, un mare inesplorato. Di questo e di tanto altro si è parlato alla presentazione del libro di Laura Giordani e Valerio Ailo Baronti dal titolo “Audiodescrizione. Il Signore degli Anelli. La compagnia dell’AD” (edito da Hoppy) che si è tenuta ieri alla Casa del Cinema di Roma

Editoria

In un libro Ettore Scola ‘enciclopedista’

Ettore Scola l’ultimo enciclopedista è il titolo del volume del critico Vittorio Giacci edito da Bulzoni


Ultimi aggiornamenti