‘I Mostri’, 60 anni di risate

Tutto è stato trattato in questa spietata antologia dei difetti della società italiana firmata Dino Risi


60 anni e ancora fa ridere come fosse uscito ieri.I mostri, uscito nelle sale il 26 ottobre 1963, è senza dubbio una delle più belle satire della società italiana mai raccontate al cinema; declinata in una ventina di sketch con un’attenzione ai dettagli e una micidiale padronanza della macchina cinema raramente eguagliate.

L’anno successivo al sublime Il sorpasso (1962), grande successo al botteghino, Dino Risi dirige un altro pezzo da novanta della commedia italiana, un capolavoro di comicità che si regge interamente sulle spalle di Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, entrambi in stato di grazia.

Due mostri della recitazione

La statura interpretativa dei due attori e la loro capacità camaleontica di rappresentare una favolosa galleria di “villain”, dal macho sciocco al cinico malvagio, consegna loro un posto nel pantheon della recitazione cinematografica. Mettendo in campo una disinvoltura sorprendente e una irresistibile carica eversiva incarnano alla perfezione lo spirito demistificante di Dino Risi.

La premiata ditta Gassman-Tognazzi dà vita a una performance folgorante, in duetto o da soli a seconda degli sketch. È un esercizio di maestria, una sfida (stravinta) dei due attori “mostri” della commedia italiana per allestire un catalogo al contempo realistico e grottesco dell’italiano medio. O sotto la media.

Gassman utilizza il travestimento per inchiodare i personaggi alla croce della loro bruttura. Interpreta un mostruoso poliziotto sdentato (perché questi mostri sono laidi fisicamente quanto moralmente), un avvocato disonesto con la parrucca, uno storpio di guerra che sfrutta un cieco, un prete ipocrita e prezioso che si preoccupa solo del suo aspetto, un vecchio pugile in rimonta e così via.

Mentre Gassman architetta la sua sfolgorante ruota da pavone per abbagliarci, Tognazzi è più discreto, ma anche più complesso. Sembra più un uomo del popolo, che gioca sull’ingenuità, la stupidità, la povertà  per ingannare il pubblico. Alla fine, comunque, i loro personaggi non smettono mai di recitare: alle loro amanti, ai loro amici, alle loro famiglie, ai giornalisti e all’intero paese.

Una firma a forma di zoom

E Dino Risi è lì, sempre. La sua macchina da presa registra tutto. Nulla sfugge all’occhio lucido del regista e per sottolinearlo ricorre a un espediente registico che diventa narrazione: il frequento uso dello zoom. È la firma di Risi sotto la sua dichiarazione d’intenti: scavare la realtà, fino al fondo più limaccioso, sotto la superficie delle apparenze, sradicando la menzogna sin dalla radice.

A partire da un tema “ombrello” – la mostruosità quotidiana e banale – Risi riesce nel miracoloso e virtuoso risultato di dare equilibrio alle tante parti diverse. Ogni sketch ha il suo ritmo, esplodendo di comicità in un breve quadretto o lasciando il tempo all’ironia di sbocciare in uno scenario più sviluppato. A seconda delle esigenze dell’effetto comico, la sua regia gioca sul fuori campo per preservare l’elemento comico il più a lungo possibile, o sulla zoomata per proiettarlo davanti a noi. Sia che Gassman e Tognazzi si diano la battuta a vicenda, sia che occupino lo spazio da soli, lo spettatore ha costantemente la sensazione che lo sketch si stia creando davanti ai suoi occhi, in un movimento totalmente libero e quasi improvvisato.

Risi amaro

Ma chi sono i “mostri” dipinti con acquerelli al vetriolo da Risi e i suoi sceneggiatori Scola, Petri, Scarpelli, Maccari e Incrocci ? Piccole creature malvage, “mostri” di tutti i giorni, quelli che incontriamo più o meno spesso nella nostra vita. O forse in alcuni casi siamo noi stessi, anche se non lo ammetteremmo mai. Politica, religione, cinema, calcio, educazione: tutto viene trattato in questa spietata antologia dei difetti della società italiana.

L’umorismo è corrosivo. La società umana, soprattutto quella maschile, è messa alla berlina, ridotta all’osso delle sue tendenze più vili: egocentrismo, vigliaccheria, corruzione, inettitudine, stupidità.

La combinazione tra le buffonate esilaranti degli attori, le caricature e le caratterizzazioni sopra le righe di questi brutti mostri, e l’esuberanza degli autori nel dare voce a dialoghi gustosi e piccanti, crea un affascinante ritratto della mascolinità negli anni Sessanta, che a ben guardare è sicuramente universale e senza tempo.

I mostri è una boccata d’aria fresca nel già ricco vento di novità della commedia all’italiana, un magnifico pugno nello stomaco, una satira sociale straordinariamente rigorosa. Un film rivoluzionario in questo senso.

Dino Risi è amaro e tenero allo stesso tempo. Riesce alla grande, come solo i migliori cineasti della commedia all’italiana hanno sempre saputo fare, a cogliere con acutezza i vizi e le qualità di noi connazionali, le specificità del contesto socio-economico o la vita politica dell’Italia del dopoguerra e del boom economico. Ma senza rinunciare anche un po’ di umanità che emerge in filigrana dietro l’individuo ritratto.

Che si tratti di un ritratto morale o di un ritratto sociale, non importa, questo film ha lasciato un segno nella sua epoca e nel cinema, e una tale padronanza della parola scritta e della recitazione che dal 1963 non smette mai di stupirci! Una energia, un entusiasmo, una bellezza, una comicità ancor oggi stupefacenti.

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