Champagne e cambiali, i produttori tra splendori e miserie

Raccontare il cinema italiano attraverso le voci dei produttori. E’ l’idea che guida “Champagne e cambiali”, il volume di Domenico Monetti e Luca Pallanch, uscito in questi giorni in libreria con Minimum Fax in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia


Raccontare il cinema italiano attraverso le voci dei suoi principali produttori. E’ l’idea che guida “Champagne e cambiali”, il secondo volume della saga di Domenico Monetti e Luca Pallanch sul mondo produttivo italiano, uscito in questi giorni in libreria (Minimum Fax in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia) dopo “Per i soldi e per la gloria”. Questa volta i due studiosi si sono dedicati al periodo che va dal dopoguerra fino alla metà degli anni ’80. E come suggerisce il titolo, si tratta di un affresco che ritrae una fase eroica della nostra storia cinematografica, un’epoca fatta di splendori e ristrettezze, di successi e fantasiosa improvvisazione.

Il racconto di Monetti e Pallanch è una carrellata, in forma di intervista, su figure che hanno vissuto in prima persona il periodo in cui la crisi industriale del nostro cinema divenne l’occasione per inventare un nuovo modello produttivo. Molte di loro (Manolo Bolognini, Marcello Lizzani, fratello di Carlo, Vittorio Sindoni, Valerio De Paolis) sono arrivati al ruolo di produttore partendo da una durissima gavetta. Questo rende i loro autoritratti densi di vita e costellati di aneddoti, spesso esilaranti. Alcuni di questi aneddoti sono stati rievocati ieri dai loro stessi protagonisti alla libreria romana Libraccio, in un incontro di presentazione di “Champagne e cambiali”.

Rispolverato il titolo di “principe delle docce” per i suoi 28 film con Edwige Fenech e i 16 con Gloria Guida, Pietro Innocenzi ha ripercorso le varie, avventurose tappe della sua carriera di produttore e il suo culmine: “Vado fiero di film come Palermo-Milano, fatto senza fondi di garanzia”. Come si arriva al successo? “Ho avuto i grandi sceneggiatori, quelli che costavano più della regia”. E dopo essersi battuto per il salvataggio di Ultimo tango a Parigi dalla censura, ha anche sottolineato che oggi, per un curioso capriccio della sorte, è uno dei censori. Perché “anche se molti non lo credono, la censura c’è sempre. E se non c’è il nullaosta non si esce nelle sale”.

Il regista Vittorio Sindoni ha ricordato gli inizi della carriera come assistente volontario, “la favola di un’epoca in cui si facevano anche 350 film all’anno” (“Poteva capitare che un produttore facesse un film perché si era innamorato di un’attrice e magari dopo una settimana i soldi finivano”) ma anche testimoniato la tormentata parabola discendente di Walter Chiari.

Ovidio Assonitis, invece, ha raccontato il “licenziamento” di James Cameron durante le riprese di Piranha II (“Era alla sua prima regia e non fu in grado di garantirmi gli effetti speciali che gli chiedevo”) e insieme annunciato i suoi progetti futuri: “Lavoro a un film su una youtuber minorenne”.

Alla fine dell’incontro, però, è stato intonato una sorta di requiem di quella stagione: oggi le formule produttive siano cambiate, ci sono tax credit, Film commission e combinazioni di vari pacchetti. In altre parole, “il produttore vero di una volta è scomparso”, è stata la conclusione.

Martino Scacciati
23 Aprile 2024

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