‘Il cielo brucia’, la minaccia del fuoco e l’arte dell’indolenza per Christian Petzold

Il nuovo film del regista tedesco viene presentato al Torino Film Festival in vista dell'uscita in sala prevista per il 30 novembre. Protagonisti sono Thomas Schubert e Paula Beer


TORINO – Da Berlino a Torino il viaggio è più breve di quanto sembri. Dopo avere vinto l’Orso d’Argento – Gran Premio della Giuria, Il cielo brucia (Afire), di Christian Petzold viene presentato fuori concorso al 41° Torino Film Festival, per permettere al pubblico italiano di scoprire la nuova perla del regista tedesco, poco prima della sua uscita ufficiale nelle sale, prevista per il 30 novembre.

Leon è un giovane scrittore berlinese che, con il suo amico Felix, cerca la serenità in una casa isolata in un bosco nel mar baltico. Ha bisogno di completare il suo secondo romanzo, ma le cose non stanno andando come vorrebbe. Sembra “essere bloccato nel XX secolo”, incapace di reagire, insicuro su tutto, inetto alla vita. Quando incontra la bella Nadja, un’altra ospite della casa, ne rimane folgorato e tutto sembra peggiorare. All’orizzonte si muove la minaccia di un incendio, un pericolo terribile, ma forse anche un’opportunità per rinascere dalle proprie ceneri.

Il cielo brucia è un dramma enigmatico e suggestivo, a tratti inquietante come una fiaba boschiva, che sceglie il fuoco come tema per raccontarci le passioni di un giovane uomo, chiamato a riconoscere le proprie fragilità e, infine, alla sfida più grande: quella del cambiamento. “Il terremoto di Lisbona, che viene citato in una scena chiave, ha radicalmente cambiato tutto il pensiero filosofico europeo, che deve iniziare a organizzarsi senza un Dio. Perché non può esistere un Dio che permette un accadimento così terribile. – spiega il regista – È l’inizio del pensiero illuminista. Il cambiamento climatico non è un fatto casuale, è una conseguenza del comportamento dell’uomo, e questo cambia il nostro punto di vista sulla storia. Forse anche noi abbiamo bisogno di un nuovo modo di raccontare il mondo”.

Tutto ruota intorno al punto di vista di Leon, un personaggio con cui è difficile empatizzare a causa della sua indolenza, ma che ci tocca per la sua incapacità totale di prendere in mano la propria vita, anche quando tutt’intorno ci sono solo persone che vogliono aiutarlo a riuscirci. “Ho sempre cercato di non fare alcun lavoro autobiografico, perché sarebbe noioso. – continua Petzold – Tuttavia, mentre giravamo, gli attori continuavano a chiedermi se per caso anche io avessi avuto esperienze simili a quelle di Leon. Ho capito in quel momento che un elemento autobiografico c’era. Quando ho ripensato a quando stavo facendo il mio secondo film Cuba Libre, e ho visto delle similitudini. Anche Leon è al secondo romanzo, che ha un titolo simile al mio: Club Sandwich. Riconoscere questi elementi è stata una cosa positiva anche per Thomas Schubert, l’attore protagonista, perché sapeva che avevo delle esperienze reali che potevo condividere con lui. Inizialmente avevo un’idea diversa per il suo ruolo. Ma l’attore che avevo scelto era molto bello: quindi sarebbe stato desiderabile, stronzo, pigro da morire, sarebbe stato un personaggio detestabile. Avevo visto un film con Thomas in cui mi era piaciuto il suo sguardo tipico dei viennesi, un po’ truce e contrariato. Per questo ho scelto lui”.

L’oggetto del desiderio di Leon è Nadja, che è tutto quello che lui non riesce ad essere: bella, disinibita e, soprattutto, libera. A interpretarla è Paula Beer, vincitrice del Premio Marcello Mastroianni a Venezia nel 2016 e poi dell’Orso d’Argento nel 2020, proprio il suo ruolo nel precedente film di Petzold, Undine. “Le protagoniste di Vertigo o di Senza un attimo di tregua esistono in virtù delle fantasie e del desiderio maschile, non esisterebbero senza la proiezione maschile. – dichiara il regista – Mi è sempre piaciuta l’idea di rifare questi film senza questo elemento. Per questo i personaggi femminili possono sembrare così eterei, ma è necessario che lo siano perché devono sottrarsi allo sguardo dell’uomo. Nel caso di Paula Beer, ho sempre l’impressione che quando esce dall’inquadratura continua ad avere una sua vita, non ha bisogno di noi. Paula Beer è arrivata al cinema per altre vie e se ne intende davvero. Paula in particolare aveva già visto 30 film di Hitchcock, posso parlare tanto di cinema con lei. È come se lei non si mettesse mai sul palcoscenico, quando recita. Il nostro è quasi un rapporto di produzione e di collaborazione. Sono convinto che prima o poi farà il suo film, ma fino a quel momento la voglio come attrice perché è davvero troppo brava”.

Tra le tante cose, Il cielo brucia è anche un film su una comunità in miniatura, un piccolo gruppo di giovani persone tra le quali esplodono tutte le emozioni più intense, come l’attrazione, la gelosia e un desiderio sessuale che non viene mai mostrato, anzi che viene relegato solo alla parte sonora. Questo elemento sociale è tanto prorompente, con tutte le sue tensioni e i non detti, da convincere l’autore tedesco a cambiare i suoi piani futuri: “Girare questo film mi ha fatto prendere la scelta di non girare affatto una trilogia sugli elementi, come pensavo inizialmente ma di dedicarmi a un progetto completamente diverso. Qui c’è un gruppo di persone che parlano attorno a un tavolo, mentre nei miei film precedenti mi concentravo maggiormente su due figure che stavano una davanti all’altra. Lavorare sui gruppi di persone è molto difficile. Visconti, che è uno dei miei registi preferiti, era bravissimo a farlo. Ho capito che questo potesse essere il mio obiettivo: riprendere la dinamica di gruppo, concentrarsi sui loro sguardi, su ciò che accade sotto il tavolo. L’esperienza di questo film mi ha aiutato a capire il concepimento della prossima trilogia, che riguarderà gruppi che cercano di sopravvivere. Il primo gruppo sarà una famiglia, il secondo un gruppo politico e il terzo un sindacato. In questi tempi di crisi mi piace dedicarmi alle comunità che tentano di sopravvivere”.

Carlo D'Acquisto
27 Novembre 2023

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