“Friends non sarebbe stato ‘Friends’ senza Matthew Perry. E non lo sarebbe stata nemmeno, col passare del tempo, la cultura americana”. A scriverlo è Variety con un articolo a caldo sulla scomparsa scioccante e drammatica dell’attore 54enne che nella sit-com più famosa di sempre interpreta Chandler Bing.
È Chandler che oggi ci manca, ancora più dell’uomo che gli dava carne, purtroppo. Sentiamo che qualcosa si è rotto dentro il meccanismo perfetto di quell’amicizia che tutti abbiamo sognato guardando la serie tv simbolo degli anni 90. Una parte della vita di chi è stato giovane insieme ai “friends” della sitcom è morta in quella maledetta vasca idromassaggio insieme a lui.
In coppia con il Joey di Matt LeBlanc come coinquilini (all’inizio dello show), Perry ha fatto penetrare le lame del sarcasmo nel corpo dei dialoghi sempre brillanti, grazie a lui ancora più “vividi” e potenti. Ha esplorato nuovi punti di vista sull’amicizia fraterna, esaltando l’idea che per chi deve trovare una propria strada nel mondo in “solitaria” quel tipo di relazione è la cosa più importante, quando sei giovane.
Nel giro di 10 anni, Friends è diventata una delle serie televisive più popolari della storia. Racconta la vita quotidiana, a volte complicata e sempre divertente, di sei amici stretti da legami fortissimi: Monica, Rachel, Phoebe, Ross, Chandler e Joey che vivono a New York e passano le loro giornate praticamente tra due appartamenti sullo stesso pianerottolo e il Central Perk, un accogliente caffè nei paraggi.
236 episodi che hanno tenuto incollate decine di milioni persone in tutto il mondo dal settembre 1994 e per tutto il decennio successivo. Il finale di Friends, trasmesso nel marzo del 2004, è diventato il quinto finale di serie più visto di tutti i tempi, con 52,5 milioni di spettatori sintonizzati negli Usa. Dietro solo a Seinfeld (76,3 milioni), Il fuggitivo (78 milioni), Cin Cin (80,4 milioni) e MAS*H (106 milioni).
Nota curiosa: incredibilmente, però, non è questo l’episodio più visto in assoluto della serie.
La puntata, divisa in due parti, che ha battuto tutti i record è “The One After the Super Bowl” e appartiene alla seconda stagione.
Calamitò quasi 53 milioni di telespettatori grazie anche alla parata di stelle che parteciparono, nel 1996, a quell’episodio speciale: Julia Roberts, Brooke Shields, Chris Isaak e Jean-Claude Van Damme.
Quando ha debuttato a metà degli anni 90, Friends era ovunque. La sigla era ovunque, il taglio di capelli “alla Rachel” era ovunque. Le battute, i modi di dire, ogni cosa che riguardava la serie diventava (con una parola che all’epoca ancora non era entrata nel vocabolario comune) virale.
Trent’anni dopo, la serie non solo è sopravvissuta, ma si alimenta di nuovi sguardi ammirati, tanto che si parla di guadagni di circa un miliardo di dollari all’anno in diritti d’autore per la Warner Bros.
Nel 2019 insieme a The Office e Grey’s Anatomy, era ancora uno degli show più visti su Netflix, con un totale di 54,3 milioni di ore guardate. La perdurante popolarità della serie non è dovuta solo a una base di fan nostalgici di 30/40enni. È anche merito di una nuova schiera di spettatori della Gen Z sparsi ovunque, che si rivedono nei personaggi e nelle situazioni, anche se Friends è stato trasmesso prima che alcuni di loro nascessero.
Le nevrosi di Monica, la passione di Rachel per la moda, l’affascinante idiozia di Joey, le battute taglienti di Chandler, la vita amorosa di Ross, le canzoni senza tempo di Phoebe come Smelly Cat: ogni personaggio ha le sue qualità uniche. I fan di Friends sono cresciuti con loro, spesso vedendoli come uno specchio puntato sulle loro esistenze, altre volte sognandoli come gli amici perfetti.
Un altro aspetto che non si può trascurare per spiegare la sua longevità sono le lezioni di vita che impartisce nonostante il tono scanzonato, anzi proprio nella leggerezza c’è la potenza e l’efficacia del messaggio. Per i suoi fan, Friends è una serie piena di speranza, in cui la quotidianità è molto più spensierata di quanto non lo sia ora o lo fosse allora. Si svolge in un universo completamente isolato dagli orrori dell’oscuro mondo esterno, una rarità per una serie televisiva di questi tempi.
Joey, Rachel, Phoebe, Chandler, Monica e Ross non hanno dovuto vivere l’11 settembre (lo show accennava solo all’attacco terroristico) e la guerra in Iraq, così come la politica non entrava mai nei loro discorsi. Potevano permettersi grandi appartamenti a New York praticamente senza lavorare e avevano una gran quantità di tempo per stare insieme.
Ogni episodio di Friends si conclude essenzialmente con qualcosa da portarsi a casa e aiuta forse anche a capirsi meglio. Ad essere esaltato ovviamente più di ogni altro è il valore dell’amicizia: contare sempre su chi è vicino, senza preoccuparsi eccessivamente delle opinioni altrui. Tuttavia, la lezione di vita più importante è arrivata da Ross, che ha fatto capire agli spettatori che non bisogna MAI indossare pantaloni di pelle al primo appuntamento.
Sebbene Friends sia stato certamente criticato all’epoca per la sua rappresentazione di una New York esclusivamente bianca, nel tempo anche altri aspetti dello show, come la questione sul sovrappeso di Monica vissuta come uno stigma e le battute transfobiche sul padre di Chandler, sono diventati problematici per una sensibilità contemporanea molto recettiva e attenta sulle tematiche dell’inclusione.
Ma gli spettatori sembrano in grado di perdonare queste tendenze anacronistiche della serie, in cambio del pionieristico modo nel definire i vent’anni, spesso caratterizzarti da vaghezza e incertezza, come una fase ben precisa della propria vita, in cui le amicizie platoniche possono fornire quella solidità di relazioni che manca alle storie d’amore o alle vite in carriera, tipiche di un’età più adulta.
Sicuramente è stata tra le prime serie a ritrarre in modo realistico i veri problemi quotidiana degli “young adult”: come vagare tutto il giorno per un lavoro, fare stage, ordinare solo insalate nei caffè a causa di crisi economiche, la gioia di essere promossi in un’azienda o in un lavoro, tante relazioni fallite, ricevere un rifiuto, l’insicurezza di non sposarsi mai e rimanere soli, divorzi e problemi pratici con la famiglia.
In questo senso la sigla dei The Rembrandts, scritta apposta per Friends e composta da Allee Willis, cattura perfettamente l’essenza della serie, riconoscendo che la vita non va sempre come ci si aspetta. Una volta eravamo giovani e pieni di sogni, immaginando un futuro con piani chiari per il successo e la felicità. Tuttavia, la realtà della vita adulta porta con sé sfide e ostacoli imprevisti.
In definitiva Friends ha conquistato il mondo e continua a farlo perché parla semplicemente di un legame fortissimo che tutti desideriamo. Questi sei personaggi hanno un rapporto così puro e indistruttibile che raramente possiamo trovare nel mondo reale. Anche se ognuno di loro è completamente diverso, con diversi background, diversi interessi e passioni, diversi lavori e diverse classi sociali, ma senza alcun giudizio, rimangono l’uno accanto all’altro in ogni momento di difficoltà o di gioia (cosa ancora più rara).
Friends è un antidoto alla solitudine sociale. Quella degli anni ’90 e quella di oggi, ancor più inasprita dalla schizofrenia della vita quotidiana e dall’onnipresenza degli smartphone.
La morte di Matthew Perry è una crepa in un quadro d’amicizia che si pensava, si sperava, si desiderava durasse in eterno.
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