Una città oscura, sporca, dalle fattezze indefinite, fotografata con una grana spessa a metà tra le graphic novel e il neo-noir: qui si muove Walker, detective con le sembianze meste e la voce cupa di Tom Hardy. L’attore candidato all’Oscar è il protagonista di Havoc, il nuovo film di Gareth Evans disponibile su Netflix a partire dal 25 aprile. Dopo la parentesi orrorifica di Apostolo e l’esperienza seriale di Gangs of London, il regista gallese a cui dobbiamo i due action movie cult The Raid porta avanti la sua poetica urbana incentrata sulla criminalità e la corruzione raccontandoci una storia intricata e violenta che ostentata la sua “caoticità” fin dal titolo, Havoc, che significa per l’appunto “devastazione” o meglio “caos”.
La voce affranta di Walker – la più classica delle voice over in stile noir – ci accompagna alla scoperta del caso di uno scambio di droga finito in tragedia dietro il quale si nasconde molto di più. Inizialmente interessato a salvare il figlio del sindaco, malauguratamente coinvolto nel massacro, il detective si troverà invischiato in un conflitto tra una gang mafiosa cinese, un gruppo di poliziotti corrotti e lo stesso sindaco, interpretato da Forest Whitaker. In una città dove nessuno è privo di colpe, neanche Walker è esente da un passato pieno di errori che lo stanno lentamente divorando. Tom Hardy riesce magistralmente a mettere in scena un uomo che sembra avere perso fiducia in se stesso e nelle persone che lo circondano, uno spettro che si muove tra le strade della città, incapace di essere né un poliziotto affidabile, né tantomeno un buon padre. Proprio i temi della genitorialità e del senso di protezione contraddistinguono un film che, una sparatoria dopo l’altra, porterà a un’inevitabile climax dove tutte le forze in gioco detoneranno in un vero e proprio bagno di sangue.
Affiancato dal suo storico direttore della fotografia, Matt Flannery, Evans scrive e dirige un noir contemporaneo che, pur non brillando di certo per originalità, si focalizza molto sul tentativo di restituire una visione della realtà molto definita: in particolare, il regista riesce a utilizzare le scene d’azione e di combattimento, che da sempre hanno caratterizzato il suo cinema, per mettere in scena un mondo in cui ogni legge sembra essersi disgregata. La camera si muove in maniera frenetica in ambienti poco illuminati senza il timore di sballottolare lo spettatore o di confonderlo, anzi provando in un certo senso a disorientarlo. Dall’inseguimento in auto iniziale, passando dalla virtuosistica sparatoria con annesso combattimento all’arma bianca che segna il giro di boa del film, fino alla carneficina finale: la violenza e il caos sembrano le uniche forze capaci di dominare sulle altre. Ma dove regna il male, rappresentato dalla corruzione e dalla ricerca spasmodica di potere, c’è ancora spazio per l’innato amore nei confronti delle persone che abbiamo cresciuto, che ci porta a sacrificare tutto, anche noi stessi, pur di proteggerle. Una piccola fiamma di speranza in un contesto altrimenti privo di vie di fuga.
Nella fabbrica di action comedy ripetitivi e privi di mordente che sono diventate le piattaforme di streaming, Havoc ha il merito di piazzarsi come qualcosa di leggermente diverso. Un prodotto in cui, al netto delle imperfezioni, si riconosce almeno l’impronta di un autore. Gareth Evans, dal canto suo, riesce a portare a casa un’opera che si innesta coerentemente nella sua, ancora breve, filmografia. Fondamentale l’apporto di un fuoriclasse come Tom Hardy che, dopo la parentesi delle trilogia di Venom, torna a dimostrare tutto il suo talento, riuscendo a dare forza e spessore al suo personaggio, anche dove fallisce la sceneggiatura.
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