Florian von Donnersmarck: “L’arte ha bisogno di libertà”

Dopo la parentesi americana con The Tourist Florian von Donnersmarck è tornato in patria per girare Werk Ohne Autor, un affresco storico che attraversa il nazismo, la Ddr e la fuga verso l'Occidente


VENEZIA – Dopo la sfortunata parentesi americana con The Tourist Florian Henckel von Donnersmarck è tornato in patria per girare Werk Ohne Autor, un affresco storico che attraversa il nazismo, la Ddr e la fuga da Berlino Est poco prima della costruzione del Muro fino ad arrivare alla Germania occidentale, ma sempre inseguiti dai fantasmi del passato. Un film ambizioso – presentato a Venezia in concorso – che però non raggiunge le vette di Le vite degli altri, la sua pellicola del 2006 che gli regalò l’Oscar per il miglior film straniero e la popolarità internazionale. Ma ha comunque un respiro imponente e un cast molto ispirato in cui spiccano un diabolico Sebastian Koch e la sempre convincente Paula Beer.

Si narra, partendo dall’infanzia, la vita di un artista, ispirato a Gerhard Richter. Si chiama Kurt Barnert (lo interpreta il giovane Tom Schilling) segnato dalla drammatica sparizione della zia, una giovane donna con disturbi psichici vittima della soluzione finale applicata ai disabili dall’eugenetica nazista. Nella decisione di ucciderla è coinvolto un ginecologo (Koch) che Kurt ritroverà anni dopo, padre di Elisabeth (Paula Beer), la ragazza di cui si innamora. Kurt non sa che i suoi destini si sono già incrociati con l’autoritario suocero, che si è rifatto una posizione nella Germania dell’Est e che disapprova le scelte sentimentali della figlia e cerca di controllarne il destino.

“Non sono io che ho scelto questa storia, è la storia che ha scelto me”, spiega Florian von Donnersmarck in conferenza stampa, parlando nel suo italiano piuttosto fluente. Il film – che si ispira come si diceva a figure importanti dell’arte tedesca, tra cui Joseph Beuys – vuole essere un’esplorazione della creatività umana come possibile cura per le ferite inferte all’uomo dalla vita. “Inizialmente avevo pensato di raccontare la vicenda di un compositore, poi ho trovato questa storia di un artista che si era formato in ambiente comunista per poi trovare la sua strada e la sua identità artistica all’Ovest”.

Tra i temi affrontati proprio quello del controllo che la politica impone all’artista, dall’entartete Kunst dei nazisti, l’arte degenerata stigmatizzata e perseguitata proprio per il suo spirito ribelle, al realismo socialista. “Credo nell’arte libera, alcuni pensano che si possa fare grande arte anche sotto una dittatura usando un linguaggio metaforico e simbolico, ma non ne sono convinto, per me quando la politica si intromette, l’arte è finita. Il mio personaggio trova il suo vero talento solo quando si libera da tutti gli schemi”. Anche la schiavitù del politically correct, aggiunge, può essere deleteria perché genera una sorta di autocensura, ma altro è temere per la propria stessa vita. “La libertà di espressione negli USA avrà anche portato al caos e alla sofferenza ma la preferisco mille volte alla censura. L’arte per i nazisti e i comunisti si incentrava sull’abilità tecnica e sul messaggio politico, nella Germania occidentale del dopoguerra si ripartì da zero, liberandosi dalle tradizioni e anche l’abilità tecnica, l’aspetto artigianale, fu spazzata via, producendo a volte cose senza senso. Ecco perché i critici sono importanti, perché possono indicarci la strada in mezzo a questa confusione di mezzi espressivi e di stili”.

Werk Ohne Autor può far pensare ad Heimat per la struttura ad ampio respiro – 188 minuti – che attraversa i decenni seguendo i personaggi nella loro evoluzione, ma su questo il 45enne regista di Colonia si limita a esprimere il suo amore per l’opera di Edgar Reitz. E non manca uno scontro con una giornalista tedesca che lo rimprovera di aver usato musica classica per commentare le immagini delle camere a gas. “Quella scena si riferisce allo sterminio dei disabili da parte dei nazisti, una cosa poco conosciuta e di cui è importante parlare, bisogna guardare le cose anche se sono dolorose. E non voglio rendere facile la visione del mio film per coloro che hanno commesso quei crimini”.

Ma perché Kurt quando presenta alla stampa le sue opere tanto personali, che affondano nel dolore della sua storia privata, si tira indietro di fronte alle domande, come se davvero l’opera non avesse autore? “C’è una necessità di proteggersi dell’artista che si mette a nudo davanti al mondo. Kurt non vuole spiegare e distruggere la mistica dei suoi quadri, ma le persone sensibili vedranno la forza della sua opera anche se non capiranno la piena portata del significato che lui stesso non conosce del tutto perché ha agito per istinto e grazie alla coscienza artistica. La maggior parte degli artisti quando parla con gli storici e con i critici dice cose irrilevanti e persino fuorvianti”.

Coinvolta nella produzione anche Rai Cinema che distribuirà dal 4 ottobre con 01 Distribution.

04 Settembre 2018

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