Da Impacciatore a Mastroianni: le star italiane ai late show

L'intervista di Impacciatore da Jimmy Kimmel è stata accolta come un evento, ma non è stata la prima


L’intervista di Sabrina Impacciatore al Jimmy Kimmel Live!, uno dei più importanti late night negli Stati Uniti, è stata accolta come un piccolo grande evento nel mondo cinematografico italiano. E a ragione, vista la rarità dell’avvenimento. Non capita praticamente mai che un attore o un’attrice italiana vengano ospitati nei salotti dello showbiz statunitense. La causa non è poi così difficile da trovare e sta nel fatto che da decenni il cinema italiano non produce star internazionali. Ciò non significa che in Italia non ci siano grandi attori – tutt’altro – ma lo status di star è qualcosa che ha a che fare col sistema cinema oltre che con l’individuo in sé: Mastroianni aveva certamente tutte le carte in regola per essere una star, ma l’aver lavorato con registi come Fellini, Antonioni, Visconti e Scola ha fatto il resto. 

Sabrina Impacciatore non è una star, ma ha saputo sfruttare al massimo un’enorme opportunità che le si è presentata, dando una caratterizzazione e una profondità tali al personaggio di Valentina nella serie tv HBO White Lotus 2 da spiccare decisamente in mezzo a un cast molto ampio. L‘interpretazione le è valsa l’invito da Kimmel (non un host come gli altri: a marzo presenterà la cerimonia degli Oscar) e un’enorme visibilità che, chissà, non le possa portare altro di buono. 

Impacciatore mostra un inglese molto fluente (corredato da alcuni “allora” che, ci scuserà, suonano un po’ posticci) ed è stata un fulgido esempio del tipo di attore italiano a cui è possibile che l’America guardi, ora: qualcuno che sappia molto bene l’inglese in modo da poter stare su un set americano senza problemi, e che comunque mantenga quell’esotico tocco italiano. Era stato così anche per Matilda De Angelis in The Undoing e Alessandro Borghi in Diavoli
Se si guarda ai grandi ospiti italiani nei late show del passato, però, si nota una differenza netta. Con un inglese a malapena masticato, personaggi come Benigni, Mastroianni e Loren (che però aveva un inglese pressoché perfetto) si imponevano come vere star, qualcuno che potesse permettersi di andare lì e, addirittura, prendere un po’ in giro gli americani. È forse superfluo aggiungere che l’Italia era già la periferia culturale degli Stati Uniti, ma il cinema italiano e le sue celebrità avevano una centralità oggi del tutto sconosciuta. 

Prendiamo Roberto Benigni, per esempio, che nel 1986 andava a pubblicizzare il film Daunbailò da David Letterman (e Letterman nell’86 era IL presentatore) portando nello studio newyorkese quell’anarchia che era solito creare nei nostrani studi Rai con Pippo Baudo o Raffaella Carrà. Benigni dice a Letterman di venire da Zurigo, una piccola città nelle campagne italiane, e quando Letterman gli chiede se per caso fosse la stessa Zurigo della Svizzera, gli risponde: “Pensavo non conoscessi la geografia dell’Europa!”. Sembra una battuta innocua ma, di fatto, in un contesto come quello statunitense che sembra incapace di parlare dell’Italia senza ricorrere allo stereotipo, Benigni si presenta usando a sua volta uno stereotipo, quello degli americani perennemente egoriferiti che ignorano ciò che sta fuori gli States. 

 

 

Solo un anno dopo, nell’87, un sessantatreenne Marcello Mastroianni veniva ospitato sempre da Letterman. Oci Ciornie di Nikita Sergeevič Michalkov avrebbe aperto il New York Film Festival e Mastroianni, che per il suo Romano Patroni aveva vinto il premio per il miglior attore a Cannes, era l’ospite attesissimo. Sebbene gli stili di Mastroianni e Benigni siano molto diversi, è possibile trovare una matrice comune: ambedue sembrano in controllo dello show, e non viceversa. Mastroianni dice di amare gli Stati Uniti e in particolar modo New York, ma non Los Angeles perché non ne capisce l’architettura e, soprattutto, non ci sono “merde” per strada. Mastroianni dice di non aver apprezzato la grande pulizia delle strade e, probabilmente facendo il verso all’immaginario neorealista dell’Italia sporca e dissestata che gli americani conservano ancora (figuriamoci nell’87), afferma che in Italia per strada ci sono molte “merde”, ma anche pomodori, peperoni e cavoli. Ma freschi!, aggiunge. Poi Marcello gioca anche sullo stereotipo che riguarda l’uomo italiano in generale, e lui nello specifico: il latin lover. Mastroianni dice di essere alla ricerca di una ragazza di 25-26 anni, ma che gli andrebbe bene anche una di 32 o 33 ma, perché no, anche una di 40, e aggiunge di conoscere molti uomini in Italia che sono nella sua stessa situazione. 

 

 

 

Facendo un salto indietro di dieci anni, nel 1977, troviamo al Dick Cavett Show una delle interviste più iconiche di sempre per quanto riguarda il cinema italiano: Sophia Loren e Marcello Mastroianni insieme da Cavett. La chimica tra i due è semplicemente unica, sembra che viaggino a un livello superiore e rendono pressoché inutile il presentatore, che non può che limitarsi a fare da contorno, a fare da spalla alla coppia perfetta. Loren fa la parte dell’attrice attenta e ben consapevole della prassi televisiva statunitense, di ciò che si può o non si può dire, Mastroianni è invece una sorta di garbato cattivo ragazzo e afferma che, a dispetto di quanto si dica di lui, non è un “tremendous fucker”. “A love machine”, lo corregge Loren, e Mastroianni; “la mia macchina non lavora così, non è (con fare sincopato ndr) un ta-ta-ta-ta, è più un: Tac, e poi domani si vedrà”.

 

20 Dicembre 2022

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