TORINO – “Ci sembra di essere clandestini in questo festival di cinema” ammette con modestia il regista Agostino Ferrente, presentando il suo cortometraggio Coupon – ll film della felicità, fuori concorso al 41° Torino Film Festival. Il suo, in effetti, più di un vero e proprio cortometraggio, è un video musicale allungato fino a raggiungere la durata di circa 20 minuti, un tributo cinematografico alla canzone Coupon del cantautore Andrea Satta, che figura anche come protagonista. “Il nostro è un videoclip, uno spot per vendere un prodotto – continua il regista – lo scopo era di far parlare di queste persone. Andrea Satta non è Fedez, ed è difficile superare il mainstream musicale”.
Coupon racconta l’avventura picaresca di uno stralunato personaggio in una Roma fuori dal tempo e dello spazio, caratteristica enfatizzata dalla fotografia in bianco e nero. L’uomo colleziona scatolette di tonno in offerta 3×2 che gli permetteranno di vincere il misterioso “Coupon della felicità” offerto da una catena di supermercati, ma un giorno si ritrova improvvisamente inseguito dalla polizia e sarà costretto a fuggire in un susseguirsi di eventi ed incontri sempre più surreali. “Una delle cose che mi piaceva era di raccontare Andrea come un novello Buster Keaton, ma con la licenza di potere sorridere. – spiega Ferrente – C’è anche una citazione di lui dietro le sbarre, come in una famosa foto. L’idea era di creare un personaggio che vivesse la sua vita come in un film in bianco e nero, in perenne contrasto con la quotidianità che lo assedia. Non riesce ad adeguarsi alle regole imposte dagli algoritmi, dal marketing. Nei supermercati c’è la famiglia ideale, si usano parole retoriche come amore, felicità, famiglia. Se c’è un luogo dove la famiglia è perfetta è nel supermercato perché è lì che devi comprare le cose che determinano l’icona della famiglia felice”.
Co-protagonisti di questa vicenda sono la grande attrice Milena Vukotic, nei panni di una signora che fa la spesa e che dà il via all’inseguimento scontrandosi con Satta, e , all’esordio nei panni di attore. Il popolare politico interpreta diversi ruoli, quasi tutti muti, fino a chiudere il corto con il personaggio più grottesco: quello di uno sfortunato rider. “Come dice mia moglie, Milena Vukotic è la Audrey Hepburn italiana. – racconta Andrea Satta – Le abbiamo chiesto di partecipare dopo un suo spettacolo teatrale. Era novembre e ci ha detto che sarebbe stata libera a maggio: ci siamo subito detti che l’avremmo aspettata. Per coinvolgere Pier Luigi Bersani abbiamo contattato Sergio Staino, che ci adorava e ci adorerà anche dal regno degli atei dove adesso sta. Bersani si è innamorato dell’idea e io trovo bellissimo che lui non faccia il politico nel corto, ma l’uomo di tutti i giorni, il lavoratore, e che lui lo abbia voluto fare. È bello avere posto l’attenzione su quella condizione, troppo trascurata, che ci fa sentire ricchi e benestanti anche se abbiamo un piccolo stipendio, ovvero quello di mangiarci una pizza a casa mentre un disperato ce la porta con la bicicletta, nel freddo, sotto l’acqua. E magari noi siamo anche un po’ scontenti che la pizza sia gommosa, come è scontento il proprietario della pizzeria che ci ha messo cinque minuti in più. Bersani che si mette lo zaino da rider e dice che ha rischiato di essere investito da un suv è una lettura concreta della condizione del lavoro oggi, quella della precarietà”.
A dare una direzione precisa verso la critica esplicita al capitalismo e consumismo sfrenato di questo film, è l’inserimento di alcuni contributi d’archivio, che impostano subito un tono quasi distopico a questa vicenda: “Abbiamo beccato negli Archivi Luce due cinegiornali che fanno venire i brividi. – racconta Ferrente – Uno del 1956, in cui al Palazzo delle Esposizioni di Roma si presenta il supermercato all’americana dal titolo molo emblematico: Novità per le massaie. Lo speaker annuncia questa novità in cui le massaie possono, pensa te, prendere in prodotti direttamente dallo scaffale come si farebbe in una biblioteca, ma – si scherza – in questo modo le donne potranno rovinarsi con le proprie mani. È il concetto del carrello, che prima non c’era. Mentre il secondo è del 1957 e fa ancora di più venire i brividi perché dice: chissà, in futuro lontano la cena si potrà ordinare da casa. 70 anni fa avevano previsto i delivery food. Abbiamo usato nel look anche un mood distopico perché l’impressione è che fosse già tutto scritto. Bisognerebbe avere sette vite per immergersi nei materiali d’archivio, inebriarsi di tutte le meraviglie che trovi. In un momento in cui siamo assediati da una bulimia di immagini, lavorare di sottrazione e recuperare quelle che già sono state fatte e scoprire che hanno già detto tutto in maniera evocativa, forse sarebbe un buon lavoro per ogni giovane regista”.
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