Christoph Waltz: il marketing è strategia della menzogna

Abbiamo incontrato a Milano l'attore austriaco,già interprete e premiato con due Oscar in Bastardi senza Gloria e Django di Quentin Tarantino


Dal 1 gennaio sarà nelle sale il nuovo film di Tim Burton Big Eyes, tratto dalla storia vera della pittrice Margaret Keane, famosa negli anni ’50 e ’60 per i suoi soggetti dagli occhi grandi. Il film rivela la storia d’amore tormentata con il marito Walter, pittore scarsissimo, che le rubò i dipinti spacciandoli per suoi. Una storia piuttosto incredibile, che rappresenta un’epoca artisticamente florida ma ancora bigotta, in cui l’uomo pretende la supremazia, anche intellettuale, sulla donna che per insicurezza acconsente soffrendo. Nonostante l’epoca è un film molto attuale.

E’ un personaggio ambiguo quello che lei interpreta in Big Eyes, come se avesse due caratteri opposti: uno è reale e uno fittizio. Come ha lavorato su questa doppiezza?

Ognuno di noi ha più di una personalità, solo le persone noiose ne hanno una e comunque quell’unica personalità ha più di una sfaccettatura. Soltanto un cadavere ha una unicacaratteristica, quella di morto. Il lavoro interessante è trovare l’equilibrio tra i due caratteri. Abbiamo tutti le stesse qualità perché siamo tutti esseri umani, la sfida interessante è capire qualisono le qualità predominanti, quali quelle attive, quali quelle nascoste e comunque attive, quali dormienti. So di una persona che nel diciannovesimo secolo ha tirato fuori una teoria gigantesca su queste cose e ci ha pure costruito su una grossa carriera. Un austriaco.

Walter Keane è un impostore che si spaccia da artista senza esserlo. A cosa si è ispirato?

A una cosa che si potrebbe chiamare marketing. Il marketing è una sorta di strategia della menzogna, ma questo è già un punto di vista sulla storia ed è un giudizio che io non dovrei dare: come farei a interpretare un personaggio che considero un bugiardo? Cerco di non accusare mai qualcuno di essere bugiardo, trovo interessante come si riesca a descrivere in un modo una situazione che io interpreto diversamente. Di solito si inganna per ricavarne un vantaggio, come per esempio con il marketing. Parlare di menzogne è una prospettiva morale e il film è una finzione drammatica, non un melodramma ed è giusto che lo spettatore arrivi a un punto di vista morale;ma dall’altra parte dello schermo cinematografico, dove le persone stanno cercando di dare vita a una relazione, di far prendere piena velocità al dramma, il giudizio morale potrebbe essere un ostacolo.

Cosa sapeva di questa storia, conosceva l’artista Margaret Keane?

Conoscevo i quadri ma non conoscevo la storia e il marketing è un’invenzione di quell’epoca: i metodi usati dai pubblicitari sono di quell’epoca, la propaganda esisteva già da prima. Ma questo non è il tema principale della storia, al centro c’è la relazione tra queste due persone, di cui non sapevo nulla. Avevo già visto quelle figure con gli occhi grandi, ma devo ammettere che non mi importava più di tanto chi li avesse dipinti, né importava a nessun altro, perché furono venduti con ottimi risultati. In pochi conoscevano quella storia, eppure è molto interessante e ambigua. La relazione tra i due coniugi, la dipendenza reciproca, lo sfruttamento quasi consenziente. Erano entrambi parte di una stessa finzione, lei sapeva quello che lui stava facendo eppure quella relazione andò avanti nel corso del tempo. Con il crescere dell’importanza del marketing divenne importante l’apparire in pubblico, l’economia di mercato e l’arte ne fu coinvolta in pieno. Oggi l’arte non ha niente a che fare con l’arte, quello che oggi viene venduto come arte è uno dei beni fittizi che creano capitale.

Quasi tutte le sue interpretazioni, dai film di Quentin Tarantino Django e Bastardi senza gloria, a Carnage di Roman Polanski fino a Big Eyes di Tim Burton, pur essendo di personaggi negativi hanno sempre come filo conduttore l’ironia. Quanto è importante l’ironia nel suo lavoro?

Anche il personaggio di Walter Keane ha un certo senso per l’ironia. Io provengo dalla cultura diVienna, molto ironica e dialettica. L’ironia ha a che fare con la dialettica, con l’altro punto di vista, èun indicare da una parte per andare dall’altra. Da dove vengo io si fa un grande uso dell’ironia. Poi ci sono altre culture, per esempio quella del paese confinante a quello da dove vengo io, dovel’ironia non viene capita; e pensare che storicamente hanno avuto una grande tradizione didialettica, ma non nel loro comunicare quotidiano. Spesso mi rendo conto che altri non capiscano di cosa stia parlando; devo tradurre me stesso da una cultura all’altra per riuscire a farmi capire,devo prosciugare l’ironia. Voglio dire che secondo me all’inizio Walter Keane non si prende tanto sul serio, sta fingendo, ed è per questo che applicare la prospettiva morale sarebbeun’esagerazione dannosa, perché lui stava giocando, fino ad oltrepassare i confini del suo sensoper l’ironia e pur continuando a fingere, gli altri cominciarono a prenderlo sul serio. Non ci avevo mai pensato, ma è una prospettiva ottima da cui guardare la storia: non è stato solo frainteso, è l’ironia che è andata persa perché nessuno l’ha colta.

Ci racconta qualcosa sul contesto e la ricostruzione dei luoghi e dell’epoca di Big Eyes, San Francisco a partire dalla fine degli anni ’50?

Durante tutta la lavorazione del film a San Francisco non abbiamo passato solo cinque giorni ea San Francisco ci siamo andati nel 2013, quindi niente a che vedere con quella del 1953, ma sisente ancora qualcosa nell’aria: c’è la baia, ci sono le reminiscenze, tutti i locali famosi, che ora sono diventati trappole per turisti. Ma il mondo va così e voi dovreste saperlo visto che negli ultimiduecento anni l’Italia intera è stata trasformata in una trappola per turisti. La cosa che trovo più interessante di San Francisco è Berkeley. Il mondo e l’epoca sono cambiati in modo drastico, la Silicon Valley ha piantato su San Francisco i suoi artigli orrendi e quella piccola isola di resistenza intellettuale a Berkeley per me sarebbe stata molto interessante da esplorare, ma eravamo lì soloper fare le riprese e non ne ho avuto il tempo. San Francisco è la città dove si trova la Keane Gallery e il proprietario era eccitatissimo all’idea del film, pensava che grazie ad esso ci sarebbestato un rinascimento dell’opera di Keane ed è buffo perché in qualche modo è analogo all’argomento del film: vendere vendere vendere.

Qualcuno ha già detto che questo film ha uno stile poco “alla Burton”. Anche se, già la scelta delsoggetto se vogliamo è molto in stile Burton. Cosa ne pensa?

Com’è un film tipicamente “burtoniano”? Io ero lì tutti i giorni e potrei dimostrare che il film lo ha diretto lui. Per me è un film nello stile di Tim Burton, è vero che non ci sono sequenze di animazione ed è vero che gli effetti speciali sono pressoché assenti, non c’è neanche un estetica gotica, ma stiamo per caso dicendo che l’opera di Tim Burton è riducibile ad animazione, effettispeciali ed estetica gotica?

Lei ha vinto due Oscar, quanto hanno cambiato la sua vita professionale e quotidiana premi così importanti?

È cambiato tutto in maniera profonda, ma non so se sia per gli Oscar in sé o se è per il lavoro che mi ha portato agli Oscar: mi piace illudere me stesso e pensare che sia la seconda, che sia stato il lavoro fatto.L’Oscar è un riconoscimento immenso, ma mi piace pensare che questo premio simbolizzi il cammino che ha portato a quel cambiamento, invece che il cambiamento in sé.

30 Dicembre 2014

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