Bojack Horseman, eroe imperfetto ma terribilmente umano

Torna la rubrica dedicata ai grandi personaggi delle serie televisive. Questa volta è il turno di Bojack, un attore in disgrazia con la testa da cavallo, ma non per questo meno umano


Dire che BoJack è imperfetto è una mezza verità. Ma in tempi come questi, in cui la complessità sembra essere diventata il nemico pubblico numero uno, una mezza verità è meglio che niente. E quindi sì, BoJack è imperfetto. Beve, fuma, fa abuso di droghe e non riesce ad avere una relazione seria con nessuno: con gli amici, che non ci sono; con la sua agente, che fa fatica a seguirlo; con la donna che viene incaricata di scrivere un libro su di lui, e con il ragazzo che dorme sul suo divano ogni santa sera.

Il più grande problema di BoJack è che è solo. Intrappolato nella gabbia dorata del successo, non riesce ad andare avanti. Negli anni Novanta, è stato una star della televisione. Ma ora? Campa di rendita, come tanti altri attori. Fa pochissime cose, e quelle poche cose che fa sono terribili. Aspetta il film della vita per tornare alla ribalta, ma non arriva. E intanto sbaglia. Tutto quello che c’è da sbagliare e ogni singola possibilità che gli viene offerta.

Non è un disastro, BoJack. E non è nemmeno sfortunato. È umano. Ecco, ora ci stiamo approcciando pericolosamente alla complessità, quindi vi avvertiamo: andateci piano. Però è vero: BoJack è umano. Troppo umano (“com’è umano lei”, cit.). E lo è anche se ha la testa di un cavallo. È umano perché non sa accontentarsi, perché ha una vita tremenda, una famiglia da dimenticare e un passato che lo tormenta. È umano perché non impara niente dagli errori commette, perché, anzi, continua a commetterli e perché non conosce il limite della decenza.

Non è uno dei cattivi – questa è un’altra semplificazione che potrebbe funzionare, ma no; non vogliamo fermarci qui. E ovviamente non è nemmeno uno dei buoni. Sta a metà. Tra l’alto e il basso, tra la pancia e la testa. Come tutti noi, ci verrebbe da dire. A volte fa cose giuste, altre meno giuste; altre ancora comincia a scavare nel pozzo profondo della vergogna e della stupidità, e sembra incapace di smettere. È un personaggio shakespeariano, pieno di ombre, di rimpianti e di fantasmi che lo perseguitano.

Probabilmente, l’altra mezza verità che c’è da dire sul conto di BoJack è che è un infelice. E nell’infelicità ci può finire qualunque cosa. BoJack fa l’attore, ma non recita. Un po’ come Fran Lebowitz che fa la scrittrice senza scrivere. A BoJack vengono offerte particine, operazioni nostalgia per i fan più accaniti, e spot. E nel frattempo finisce sui giornali, sui tabloid, viene seguito e ridicolizzato. Beve per dimenticare, e dimentica per ricominciare a bere. Un ciclo infinito, perfettamente equilibrato, che punta all’autodistruzione. Però, ecco, c’è spazio per la speranza. O almeno, per un margine di miglioramento. Nessuna assoluzione, né santificazione. BoJack rimane BoJack, uno – perdonate il francesismo – stronzo patentato. Ma anche lui, se si impegna, può cambiare.

La serie animata di Raphael Bob-Waksberg continua a essere uno dei dramedy più riusciti e intelligenti della televisione contemporanea. L’animazione, in questo caso, è un linguaggio che permette di spaziare e che dà a BoJack, il protagonista, la possibilità di essere sé stesso fino in fondo. Non è un cartone per bambini. È qualcos’altro: una storia in cui la scrittura è fondamentale e in cui la regia, proprio grazie all’animazione, può osare. (E vedere dei monologhi, quasi a camera fissa, in una serie animata non è semplicemente un azzardo, è un suicidio: perché ogni secondo di animazione costa).

BoJack Horseman – il titolo completo della serie è questo; la trovate su Netflix – è un ottimo ritratto della Hollywood di oggi e, più in generale, del mondo dello spettacolo. È intriso di satira sociale e di ironia, e di cinismo e sarcasmo. Affronta temi attualissimi, dagli abusi di potere alle molestie, e traccia un profilo coerente, estremamente realistico, del successo. Che non è un bene e non è nemmeno un male. Ma che è una brutta bestia, che va trattata con le pinze e la giusta attenzione. In BoJack Horseman, ci sono vittime e carnefici, ma soprattutto ci sono umani troppo umani, come il protagonista, che sbagliano in continuazione e che se lo fanno, si ripetono, è solamente perché vogliono essere felici (torniamo sempre lì).

Forse, la verità è che non si può essere felici sempre; forse la verità è che bisogna imparare ad apprezzare le piccole cose, giorno dopo giorno. Dopotutto, non ci sono strade più o meno giuste da seguire. E non ci sono neppure libretti per le istruzioni, regole, leggi, maestri di vita. BoJack lo sa, l’ha provato sulla sua pelle e ne porta ancora i segni (tra parentesi: se non l’avete già visto, vi consigliamo di recuperarlo in lingua originale; il lavoro che fa Will Arnett è pazzesco). Ci siamo noi e le scelte che possiamo prendere, e c’è quello che gli altri pensano e gli effetti che i loro giudizi possono avere sulla nostra vita. Dobbiamo procedere consapevolmente, pronti a perdonarci. Ed è proprio questa, se ci pensiamo, la cosa più difficile di tutte.

16 Marzo 2024

Una vita da protagonista

Una vita da protagonista

Le persone non cambiano e nemmeno Dottor House

Tra i medical drama e le serie che parlano di medici e medicina, House continua a essere un unicum

Una vita da protagonista

Nella cucina della grande serialità con Carmy di ‘The Bear’

Alla scoperta del personaggio interpretato da Jeremy Allen White, uno dei principali motivi del successo della pluripremiata serie tv

Una vita da protagonista

L’uomo che ha cambiato la serialità televisiva: Walter White di ‘Breaking Bad’

Ci sono un prima e un dopo Walter White. E non lo diciamo noi; lo dicono i fatti. Walter White è diventato un simbolo, la rappresentazione stessa della dicotomia tra...

Una vita da protagonista

I dottor Jekyll e mister Hyde di ‘The Bad Guy’

Interpretati ambedue da Luigi Lo Cascio, Nino Scotellaro e Balduccio Remora sono le due facce della stessa medaglia della serie di Prime Video


Ultimi aggiornamenti