‘The Holdovers’, Paul Giamatti maestro di Storia e di vita

ll nuovo film del regista e sceneggiatore due volte premio Oscar Alexander Payne è stato presentato fuori concorso al 41° Torino Film Festival e in arrivo nelle sale italiane il 18 gennaio


TORINO – Sono gli ultimi giorni del 1970 alla Barton Academy, storico collegio (fittizio) del New England non troppo distante da Boston. Mentre i giovani americani più poveri muoiono in Vietnam, i futuri rampolli dell’alta società americana pensano alle vacanze natalizie sfoggiando il loro lunghi capelli alla moda. Tutti, tranne cinque studenti di diverse età, impossibilitati per vari motivi a tornare a casa a festeggiare il Natale. Come di consueto, essendo minorenni, un docente resterà con loro per tutto il periodo con la responsabilità di prendersene cura. Viene scelto – diciamo costretto – Paul Hunham, burbero docente di Storia antica, odiato indistintamente da corpo docenti e studenti per il suo aspetto (è strabico e “puzzolente”) e, soprattutto, per i suoi modi sgradevoli.

È questo il prologo di The Holdovers – Lezioni di vita, nuovo film del regista e sceneggiatore due volte premio Oscar Alexander Payne, presentato fuori concorso al 41° Torino Film Festival e in arrivo nelle sale italiane il 18 gennaio. Dopo la parentesi da commedia fantascientifica di Downsizing – Vivere alla grande, l’autore statunitense torna a firmare un’opera più in linea con la sua pluripremiata filmografia: una commedia drammatica scritta finemente e, soprattutto, incentrata sui caratteri.

Il principale è ovviamente quello del professor Hunham, interpretato dall’attore candidato all’Oscar Paul Giamatti, al suo fianco il giovane e allampanato Dominic Sessa, nel ruolo di Angus Tully, il più talentuoso ma indisciplinato dei suoi studenti. Tutto il film è incentrato sul rapporto tra questi due personaggi così conflittuali, soprattutto perché ben presto, quando gli altri quattro studenti riusciranno ad andare via in una settimana bianca offerta dal più ricco di loro, resteranno da soli a condividere forzatamente le poche stanze abitabili del campus. Una condizione che sa di prigionia in cui carcerato e carceriere soffrono della stessa pena. Con loro la cuoca afro-americana Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), in lutto per la morte del figlio ventenne sul campo da battaglia e ritrovatasi a fare da madre putativa (il suo nome dovrebbe già essere rivelatorio) in questa nuova improvvisata famiglia composta da tre elementi, esattamente come quella del presepe.

The Holdovers non è un film di difficile lettura, anzi la sua direzione è abbastanza chiara fin dall’inizio. Non è di certo sorprendente, ma al contempo, non è mai didascalico. Possiede, anzi, quella precisione nella scrittura e nella regia, che sa tanto di cinema del secolo scorso, quasi come fosse stato girato nel periodo in cui è ambientato. La fotografia, le scelte di montaggio (con squisite transizioni demodé), la costruzione dei personaggi e del conflitto, ma soprattutto il punto di vista autoriale, che non giudica i fatti con una prospettiva contemporanea, ci danno l’impressione di stare gustando una pellicola d’altri tempi, ma invecchiata stupendamente.

È chiaro che la direzione del film porterà a rinsaldare questo improbabile rapporto padre-figlio, a rendere più indulgente e libero dalle sue paure il vecchio professore e più capace di affrontare la vita il giovane studente. Ma è il percorso che rende tutto assolutamente gustoso. Payne scrive una commedia con battute pungenti e con un’ironia pervasiva, lasciando aperto quello spiraglio che lascia entrare nei personaggi una grande e complessa umanità, che sa esplodere nelle scene più drammatiche. Fondamentale il ruolo dei tre interpreti, scelti con cura per i loro ruoli e i cui nomi probabilmente sentiremo nella stagione dei premi ormai alle porte. Paul Giamatti è una garanzia: anche con gli occhi disallineati, il suo sguardo racconta sempre qualcosa oltre le parole che sta dicendo e la situazione in cui si trova. Il giovane Dominic Sessa dimostra di avere un registro recitativo ampio e una presenza scenica notevole. Da’Vine Joy Randolph ci regala alcuni dei momenti più toccanti, permettendoci di entrare a contatto umanamente con quelle tematiche sociali che il regista ama inserire più o meno velatamente nei suoi film.

Un film dallo spirito anti-natalizio che riesce, però, a riportarci a contatto con il sentimento più puro di cosa vuol dire famiglia e casa. Una commedia sulla ricerca della felicità, anche quando sembra impossibile, anche fuori tempo massimo, anche se questa vuol dire lasciare tutto e ricominciare d’accapo.

Carlo D'Acquisto
01 Dicembre 2023

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