Una famiglia di agricoltori, le trasformazioni della società in atto, tre o quattro generazioni a confronto, un respiro semplice, naturale, che ci porta dentro la vita quotidiana, i pensieri, le ansie, le paure, le speranze di persone comuni, umili, come in un film di Ermanno Olmi, ma calato dentro al nostro mondo contemporaneo segnato da cambiamenti così rapidi che gli esseri umani faticano davvero ad uniformarsi e stare al passo.
Carla Simón (classe 1986) ha realizzato con Alcarràs un film che ha il grande pregio di restituirci con delicatezza e precisione una situazione che molti lavoratori della terra stanno vivendo, non solo in quel piccolo villaggio della Catalogna ma in tutto il mondo. Laureato con l’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino, questo gioiello arriva in sala dal 26 maggio con I Wonders.
Protagonista una famiglia che da sempre vive secondo i ritmi dettati dalle stagioni e considera la terra che coltiva, gli alberi da frutto, la casa colonica come proprietà inalienabili. Ma non è così, perché un giorno arriva la brutta notizia: la famiglia Solé dovrà sloggiare o meglio, il proprietario dei terreni ha capito che sarebbe più redditizio montare dei pannelli solari al posto degli alberi di pesche e dunque le ruspe sono in arrivo per sventrare la collina. Per i Solé è in gioco, oltre alla sopravvivenza economica, l’identità stessa e soprattutto per i genitori e per il nonno, che non ha neppure un contratto perché tutto è stato deciso con una stretta di mano, è il crollo di un mondo, un terremoto emotivo che non ammette mediazioni. Il film non dà risposte, ma segue ogni singolo personaggio con una macchina da presa emotiva e partecipe, una luce, calda e avvolgente, di quest’ultima estate prima della fine in cui non mancano i giochi infantili e gli adolescenti che scoprono il sesso, l’amore, la ribellione.
“Gli esseri umani coltivano la terra in gruppi famigliari fin dal Neolitico – afferma l’autrice (leggi l’intervista) – Quello del contadino è il mestiere più antico di tutti i tempi. Ma la storia della famiglia Solé ha luogo in un momento in cui l’agricoltura tradizionale non è più sostenibile. Alcarràs è un omaggio alla resilienza delle ultime famiglie di contadini, ancorate alle antiche tradizioni e sempre più marginalizzate”, ha spiegato la regista che proviene dallo stesso contesto.
“Alcarràs è un piccolo paese dove la mia famiglia coltiva le pesche – racconta infatti -. Quando mio nonno è morto qualche anno fa, i miei zii hanno ereditato la terra e la sua cura. Il dolore per la perdita di mio nonno mi ha spinta a dare valore alla sua eredità e agli alberi che coltivava, consapevole che un giorno avrebbero potuto sparire. È così che è nata l’idea del film: una famiglia di contadini – i Solé – sta per perdere la sua coltivazione di peschi che il proprietario del terreno vuole sostituire con pannelli solari”.
Questa è l’opera seconda per la regista, nata in Catalogna, che nel 2017 con Estate 1993 vinse il premio come migliore opera prima sempre alla Berlinale e ha poi rappresentato la Spagna nella corsa all’Oscar: “Ho scelto di lavorare con attori non professionisti della zona di Alcarràs per conservare un legame profondo con la terra e con la sua lingua. Perché diventassero una vera famiglia, gli attori hanno passato molto tempo insieme, improvvisando per costruire le loro relazioni. Ancora oggi, ad un anno di distanza dalle riprese, continuano a chiamarsi con i nomi del film, sentendo che tutti loro hanno due famiglie: quella reale e quella degli Alcarràs”.
Da segnalare che il film è una coproduzione italiana che coinvolge Kino Produzioni e Giovanni Pompili (leggi la nostra intervista).
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