Attore, comico, scrittore e sceneggiatore. Tante facce per un unico grande interprete del piccolo e del grande schermo italiano. Così era Paolo Villaggio, scomparso oggi a Roma all’età di 84 anni, dai primi di giugno era ricoverato nella clinica privata Paideia. “Ciao papà – ha scritto sua figlia Elisabetta su Facebook, dandogli l’addio con una foto del padre giovanissimo – ora sei di nuovo libero di volare”. Sarà allestita probabilmente mercoledì mattina in Campidoglio la camera ardente, a dirlo sono stati i figli, spiegando che in queste ore si stanno stabilendo i dettagli. A seguire dovrebbe esserci una cerimonia laica, nel pomeriggio o la sera, alla Casa del Cinema di Roma.
Nato a Genova il 30 dicembre 1932, dall’adolescenza di Villaggio emergono i ricordi di una giovinezza matta e spensieratissima, tra sbadati studi in legge, incursioni nel cabaret e nel teatro amatoriale, lunghe vacanze con gli amici, primo fra tutti con Fabrizio De André che lo spinse anche a suonare e cantare. Del resto il suo esordio nel mondo dello spettacolo coincide con il testo della ballata “Re Carlo tornava dalla guerra” che fece notare De André anche per l’accusa di turpiloquio scagliata da un procuratore siciliano.
All’inizio degli anni ’60 Villaggio va a lavorare in fabbrica (una delle maggiori aziende europee di impiantistica), ma qui capiscono in fretta il soggetto e lo mettono a organizzare le feste aziendali. Intanto ha fatto il suo tirocinio da palcoscenico con la compagnia goliardica Baistrocchi in cui si esibisce in esilaranti numeri da cabaret che gli serviranno da modello per le sue maschere diventate poi celebri: il travet timido, l’imbonitore aggressivo, l’eterno sconfitto.
Da qui alla notorietà il salto alla fine si rivelerà breve, sia grazie alle buone compagnie frequentate al “Derby” di Milano, sia per merito di Maurizio Costanzo che lo porta a Roma, lo fa debuttare a teatro, lo impone alla radio.
Da lì, complice il desiderio di rinnovamento della tv di stato, Villaggio scala in fretta i gradini della celebrità: “Quelli della domenica” (1968), dove debuttano il Professor Kranz e il nevrotico Fracchia, “Canzonissima”, “Gran Varietà” alla radio. Sono gli ultimi momenti degli anni ’60 che Villaggio fa suoi insieme ad ormai buoni compagni di strada come Enrico Vaime, Cochi e Renato, Gianni Agus, Ric e Gian
Al cinema Villaggio inizia con un insuccesso, Eat it, scritto e diretto da Francesco Casaretti nel 1968, seguito l’anno dopo da I quattro del pater noster di Ruggero Deodato, dove gli altri tre erano Lino Toffolo, Enrico Montesano e Oreste Lionello, poi ci sono Il terribile ispettore, regia di Mario Amendola (1969) e nello stesso anno Pensando a te, di Aldo Grimaldi, ma soprattutto Brancaleone alle Crociate (1970) di Mario Monicelli nel quale è l”alemanno’ Thorz, personaggio che sembra ricalcato sul professor Kranz.
La svolta professionale arriva nel 1971 quando la casa editrice Rizzoli pubblica i suoi racconti sul ragionier Fantozzi, già usciti sulla rivista “l’Europeo”: il successo fu immediato e poi arrivò il primo di una fortunata serie di film. Fantozzi (1975) venne diretto da Luciano Salce. Saranno alla fine 10 i capitoli della saga che porteranno il Ragioniere fino in Paradiso e oltre. Nel frattempo Villaggio è diventato un “nome” cinematografico alternando incursioni d’autore (con Monicelli per Brancaleone alla crociate, con Gassman che ne fa la sua spalla preferita, con Pupi Avati all’esordio, e con Nanni Loy) e grandi successi di cassetta che si ripeteranno per tutto il decennio successivo, quasi sempre con la complicità di Salce, Sergio Corbucci, Neri Parenti. La sua comicità mischia ironia surreale e satira reale in un costante passare da Cechov alle comiche del muto, dall’osservazione sociale al teatro dell’assurdo. Se ne accorgeranno tardivamente i critici, ma non saranno in ritardo Federico Fellini che gli dedicherà il suo ultimo film, La voce della luna in coppia con Benigni, Giorgio Strehler che lo porta a teatro con “L’avaro”, Ermanno Olmi (La leggenda del bosco vecchio da Buzzati), Lina Wertmuller (Io speriamo che me la cavo), il veterano Monicelli (Cari fottutissimi amici), Gabriele Salvatores (Denti).
Sono per Villaggio gli anni ’90, intristiti dai problemi fisici e da una delusione per l’Italia e l’utopia socialista infranta che lo porterà fino a uno sconsolato endorsement a Beppe Grillo (“un conterraneo per cui ho provato vera invidia”). Dimenticato dal cinema, Villaggio si rifugia nella pubblicistica, sempre accompagnata da buon successo di vendite, nel teatro e nella critica pubblica in cui mantiene sguardo acuto sulla società che cambia.
Nella vita artistica non gli sono però mancati gli onori: Gillo Pontecorvo gli conferì nel 1992 un inatteso e rivoluzionario Leone d’oro alla carriera (il primo mai dato a un comico); due anni prima Fellini gli aveva fatto vincere il David di Donatello come miglior attore (ne avrebbe vinto un secondo alla carriera nel 2009); infine ecco il Pardo d’oro di Locarno nel 2000.
L’attore aveva da poco finito di girare La voce di Fantozzi di Mario Sesti, prodotto da Daniele Liburdi e Massimo Mescia.
“Autore e attore straordinario e poliedrico – dichiara il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini – Paolo Villaggio ha attraversato con verve, ironia e profonda intelligenza numerose stagioni del cinema italiano, a partire dall’invenzione letteraria del ragionier Ugo Fantozzi e alla sua trasposizione cinematografica per arrivare all’autorialità di Federico Fellini. Dai testi teatrali a quelli per De André, la sua creatività e la sua inventiva si sono espresse senza limiti e confini. Oggi con lui scompare un grande italiano, un interprete capace di restituirci con la sua comicità surreale e la sua satira irridente un’immagine del Paese in cui tutti, in diverse misure, ci siamo riconosciuti”.
“Ricordo #PaoloVillaggio Talento comico straordinario ha insegnato a generazioni di italiani a riconoscere i propri tic”. Lo scrive su Twitter il premier Paolo Gentiloni.
“Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa di Paolo Villaggio, attore di talento che ha saputo raccontare con acume ed efficacia vizi e virtù degli italiani”. Lo rende noto un comunicato del Quirinale.
“Addio a Paolo Villaggio e ai suoi personaggi, maschere amare di un certo costume italiano entrato nel nostro lessico e nella nostra memoria”, lo afferma Laura Boldrini, presidente della Camera.
“Ci ha fatto ridere del peggio di noi stessi, smascherandolo e trasformando in comico il lato ‘tragico’ della vita. Addio a Paolo Villaggio che ha saputo, con il suo talento, farci sentire meno soli nei piccoli e grandi guai della quotidianità”. Lo scrive, in un post su facebook, il presidente del Senato Pietro Grasso.
“E’ stato il re della risata, un grande – ha dichiarato l’attore e regista Ricky Tognazzi, lasciando la clinica di Collina Fleming – Per il cinema italiano ha rappresentato un modello di rottura della canonica commedia all’italiana. Riusciva a raccontare le cose vere in modo molto sardonico e sincero”. Ricky Tognazzi ha poi ricordato il forte legame che Paolo Villaggio aveva con il padre: “E’ stato il migliore amico di papà si volevano molto bene”.
“Se ne va via un pezzo di vita”, dice commosso Maurizio Costanzo, che ha avuto un ruolo centrale nel lanciare l’attore negli anni ’60 in teatro e in tv. Il primo incontro, folgorante, a Genova: “Un giorno – racconta Costanzo – il regista Luigi Squarzina, condirettore dello Stabile con Ivo Chiesa, mi disse: ‘Se hai tempo, vai a vedere al teatrino di via Marsala, in scena c’è un impiegato dell’Italsider, mi sembra interessante’. Io andai, e impazzii. Con Villaggio ci vedemmo a cena e lui firmò su un tovagliolo un contratto per il cabaret che stavo lanciando in quel periodo a Roma, Sette per Otto, in una traversa di corso Garibaldi. Venne e fece il botto: il botteghino apriva alle 17, alle 17,20 era già esaurito”.
Di lì alla tv il passo fu breve: “Gli alti dirigenti della Rai videro Paolo e lo portarono a Milano, nel 1968, per ‘Quelli della domenica’, alla quale lavoravo come autore, con Cochi e Renato e Lara Saint Paul”. L’anno dopo “nacque Fracchia: c’erano Enrico Simonetti, Gianni Agus capoufficio pronto a sbeffeggiare il povero dipendente e Villaggio sulla celebre poltrona sacco”.
“È morta anche la mia giovinezza. Fantozzi è stato l’unico uomo che mi abbia veramente amato”. Così Anna Mazzamauro sulla sua pagina Facebook e a Villaggio dedicherà domani il Premio CineCiak d’oro che riceverà a Riccione”.
“Un cartoon che ha raccontato tante maschere come Fantozzi e Fracchia, personaggi che non moriranno mai perché i lecchini ci saranno sempre – è il commento di Lino Banfi – Tra i film che ho fatto con lui c’è stato Fracchia la bestia umana in cui sono diventato, grazie alla sua generosità, un vero e proprio coprotagonista. Era infatti molto generoso sul set”. “Grazie Paolo per avermi fatto entrare nel tuo immaginario, ti ho voluto e ti voglio bene”. Questo l’ultimo messaggio di Milena Vukotic, alias Pina moglie storica del ragionier Fantozzi. “Gli sono grata e sono orgogliosa di avermi fatto far parte dei suoi film e soprattutto di avermi dato con grande umanità la sua amicizia e questo al di là del nostro lavoro che facevamo sulla scena”.
“La notizia mi ha avvolto il cuore di tristezza. E’ stato il più grande clown della sua generazione. Un bambino spietato, rivoluzionario e liberatorio. Fantozzi ci rappresenta tutti, ci umilia e ci corregge, con lui tutte le persone anonime hanno trovato il loro Signore. E’ stato la persona più imprevedibile e pura che abbia mai conosciuto. Grazie caro Paolo, ti siamo debitori di una gioia immensa”, è il commento di Roberto Benigni.
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