Agathe Riedinger: “Wild Diamond, ritratto di ragazza ribelle”

'Wild Diamond', in sala prossimamente con Academy Two dopo l'esordio in concorso a Cannes, è il ritratto di una Rosetta 2.0. Ne abbiamo parlato con la regista esordiente Agathe Riedinger, ospite del Festival Rendez-Vous


Liane si chiama come Liane de Puogy, celebre cocotte parigina, ha 19 anni, e uno scopo ben definito nella vita, quello di diventare “qualcuno” partecipando a un reality tv. Vive con sua madre e con la sorellina a Fréjus, nella Francia meridionale, proprio al confine con l’Italia. Ha anche un ragazzo, Dino, che un po’ trascura, tra extension, selfie e unghie a stiletto. La sua giornata è una battaglia inarrestabile – come quella della coetanea Rosetta dei Dardenne, un quarto di secolo dopo – che ha come posta in gioco la bellezza e la perfezione in un mondo decisamente brutto e imperfetto. Ma un miracolo potrebbe accadere, forse parteciperà alla trasmissione Miracle Island. Forse la sua impresa di manipolazione del corpo avrà successo.

Wild Diamond, opera prima della regista francese, originaria dell’Alsazia, Agathe Riedinger, è passata in concorso a Cannes e sarà prossimamente in sala con Academy Two. Il film si regge sulla straordinaria Malou Khebizi, attrice esordiente che presta generosamente il suo corpo alla macchina da presa e che era già stata interprete di J’attends Jupiter, il cortometraggio della regista. Che abbiamo incontrato al Festival Rendez-Vous.

Volevo approfondire il parallelismo tra le influencer di oggi e le cocotte dei primi del Novecento, sottolineato anche dal nome della protagonista. Un parallelismo molto forte e audace. 

La regista Agathe Reidinger

Ho visto tantissimi reality show, perché ero attratta dalle ragazze che vogliono partecipare. Sono delle specie di guerriere, ma contemporaneamente mi suscitava repulsione la violenza che c’è dietro i reality. Un giorno ho visto un documentario sulle cocotte e sono rimasta veramente colpita dal fatto che erano molto simili a queste teen agers. Cento anni fa c’era già il percorso di queste donne, quasi tutte di classe modesta, che utilizzavano la loro bellezza e il loro corpo per elevarsi nella scala sociale e per cambiare la loro vita. All’epoca si era agli inizi della fotografia e loro utilizzavano la fotografia e il teatro come fanno oggi le influencer con la tv e i social network. Poi c’è un altro aspetto, che riguarda l’eleganza o il cattivo gusto, anche le cocotte erano giudicate per come si vestivano, erano considerate volgari così come oggi queste ragazze vengono disprezzate. Sì, c’erano dei parallelismi molto forti anche in questa sensazione di decadenza, il dono di sé e della propria carne. La cocotte lo fa per davvero, le ragazze di oggi lo fanno in senso simbolico. Inoltre, in entrambi i casi, c’è un legame con la famiglia e un aspetto religioso. È divertente vedere come il tempo passa, ma le donne continuano a utilizzare la loro bellezza, il loro corpo per rivendicare un posto nella società.

Alla base del progetto c’è un suo cortometraggio del 2017, J’attends Jupiter.

Sì, il cortometraggio è un po’ la premessa del film e sicuramente quando l’ho realizzato già sapevo che avrei voluto poi successivamente farne un lungometraggio. Ho lavorato guardando tantissimi reality, come dicevo, quindi ho osservato da vicino i candidati, è stato quasi uno studio antropologico. Ho cercato di avere degli scambi con alcuni di loro, però erano sempre un po’ diffidenti. Poi mi sono ispirata alla figura di varie cocotte, tipo la Bella Otéro o appunto Liane de Pougy. Non mi ha ispirata nessun personaggio televisivo in particolare perché volevo innanzitutto liberare queste ragazze dai cliché che vengono affibbiati loro, legati a questa iper sessualizzazione.

In che senso?

Nel film vediamo che lei vuole sembrare super sexy, ma in realtà non cerca mai di sedurre nessuno, non è questo il suo obiettivo. Volevo anche mettere fine ai pregiudizi che considerano queste ragazze come delle stupide superficiali che pensano solo alla bellezza quando invece sono delle persone anche molto profonde e dotate di una grande spiritualità. Per me la cosa importante non era il momento in cui arrivano in televisione, ma come ci arrivano, che cos’è che fa nascere il desiderio di essere lì, di diventare una star, questa volontà di omologazione.

Come ha costruito il personaggio insieme all’interprete, Malou Khebizi, molto coraggiosa nel mostrare il suo corpo millimetro dopo millimetro, a distanza ravvicinata?

Dal punto di vista fisico volevo mostrare che Liane vuole piacere, ma non vuole mai sedurre, vuole solo essere ammirata. E rifugge i dettami dell’educazione, l’essere una brava ragazza. Lei si vuole liberare di tutto questo. Volevo sviluppare l’empatia da parte del pubblico, perché Liane non è solo la sua corazza, ma anche molto altro. Ho voluto mostrare il suo corpo molto da vicino con tutte le sue imperfezioni, la sua vulnerabilità. Sappiamo che lei vuole essere bella a tutti i costi e che ha assorbito questo concetto che per essere bella bisogna soffrire. Vediamo per esempio che si fa un tatuaggio da sola e si fa molto male. Vediamo la differenza che c’è fra l’immagine di perfezione che vuole trasmettere alla televisione o nei reel che realizza e quella che è veramente la sua realtà. Ha le extension messe male, le etichette dei vestiti che escono fuori, la pelle sudata, le vesciche ai piedi… Volevo mostrare la parte organica del personaggio e le sofferenze che lei si auto infligge per arrivare a questo ideale di bellezza.

Qual è la difficoltà di esordire nel lungometraggio in Francia?

Innanzitutto, non provenendo da nessuna scuola di cinema, non avevo una rete di protezione, ero proprio estranea all’ambiente. Non avevo studiato, non avevo un metodo di scrittura; quindi, sono arrivata un po’ da dilettante. Ho imparato a mano a mano e non posso dire, in generale, quanto sia difficile debuttare. Sicuramente so benissimo che in Francia siamo fortunati ad avere il sostegno delle istituzioni come il CNC e partner privati delle reti di distribuzione, che proteggono la creatività e sono aperti a sostenere le nuove voci del cinema. E’ difficile accedere a questi fondi però esiste un sistema di produzione che protegge gli esordi. Ma anche così fare un primo film resta sempre un’impresa abbastanza complicata e bisogna avere parecchia fede.

Come mai ha scelto la Passacaglia della vita, un brano barocco usato anche dai fratelli D’Innocenzo in Favolacce?

La storia è ambientata a Frejus che è vicina all’Italia e io amo molto l’Italia anche se non parlo una parola d’italiano. Mi piaceva che ci fosse un po’ d’Italia nel film e inoltre volevo che Liane avesse in testa una figura di un adulto che l’avesse aiutata in passato. Questa figura è la vicina di casa italiana, Sandra, che probabilmente ha avuto un ruolo nell’educazione di Liane quando lei era in una casa-famiglia. A un certo punto avevo bisogno di una musica che fosse tenera e poetica con un ritornello facile da ripetere, un po’ sognante, insomma che ricordasse l’infanzia. Un giorno la produttrice esecutiva mi ha fatto ascoltare una versione moderna di questo brano e ho pensato subito che fosse giusto, ma temevo di non poter comprare i diritti; invece, poiché è un brano scritto nel Rinascimento, non c’è più nessuna questione di diritti. Questa canzone è perfetta perché crea questo legame fra il momento attuale della sua vita e la sua infanzia, e rispecchia anche un po’ il cammino che lei sta facendo insieme al suo ragazzo, Dino. Ho scoperto che il testo è tristissimo ma ho pensato che la ragazza la cantasse senza capire esattamente le parole, come spesso succede con le canzoni straniere.

Da cosa nasce la sua passione per l’Italia?

Forse da una vita precedente. Ho sempre amato l’arte e la storia dell’arte da quando ero piccola e sicuramente sono sempre stata affascinata dal Rinascimento e dei grandi maestri della pittura italiana. Per me l’Italia è sinonimo di bellezza nell’arte, nel cibo, in tutto.

Come ha lavorato con la splendida interprete Malou Khebizi?

C’è stata immediatamente fiducia reciproca, ci siamo lasciate andare, lei ha aperto il suo cervello e il suo cuore per cercare di capire chi era Liane, anche perché fisicamente sono proprio l’opposto, però Malou condivide tante cose del suo carattere, questo senso di determinazione, di giustizia, la rabbia che ha in corpo. E’ arrivata subito a capire le motivazioni del personaggio. È anche riuscita a non farsi rovinare dalle riprese che sono state molto intense perché lei è in ogni singola inquadratura. Lei non era un’attrice, quindi, ha fatto un’esperienza totalmente nuova e ha cercato di proteggersi per non uscirne con le ossa rotte. Abbiamo lavorato molto sul corpo e sul fatto che lei si dovesse sbarazzare di qualunque gesto educato. Lei è una ragazza che è mossa da un’urgenza viscerale e quindi ha un lato più animalesco. Abbiamo usato delle figure di animali come il gorilla, il toro e l’ariete per capirci al volo. Per esempio, io dicevo “cammina come un gorilla”, e lei capiva come muoversi, fare rumore, essere sgraziata. Si è sbarazzata di tutti quei gesti che spesso le ragazze fanno per essere seducenti, come piegare la testa di lato o intrecciare le mani in un certo modo grazioso. Liane deve affermare la sua presenza, ti guarda dritto negli occhi. Oggi Malou è diventata un’attrice e anche molto richiesta.

 

 

autore
08 Aprile 2025

Rendez-Vous 2025

Rendez-Vous 2025

Valeria Bruni Tedeschi: “Mi sento femminista, ma mi sento anche un po’ uomo”

L’attrice ospite di Rendez-Vous a Roma per accompagnare L’attachement di Carine Tardieu. “Il moralismo che c'è oggi in Francia lo trovo molto pericoloso per l'arte

Rendez-Vous 2025

‘Sotto le foglie’, Ludivine Sagnier, tra Ozon e Sorrentino

In uscita il 10 aprile con BIM il nuovo film di Ozon, Sotto le foglie. Così l'attrice francese: "Ho grandi ricordi di quando girai a Cinecittà The Young Pope, tornerei a lavorare con Paolo Sorrentino"

Rendez-Vous 2025

Rendez-Vous 2025, ‘L’attachement’ con Valeria Bruni Tedeschi in apertura

L'attrice presenterà il film in apertura della XV edizione del festival al fianco della regista Carine Tardieu


Ultimi aggiornamenti