Sly sulla Croisette: “Non smettete mai di combattere”

L'attore americano protagonista di un incontro col pubblico. Presto in arrivo "Rambo V"


CANNES -Con i film del concorso agli sgoccioli e molti festivalieri già lontani dalla Croisette, l’evento del giorno, a Cannes, è l’incontro di Sylvester Stallone con il pubblico. In una Sala Debussy stracolma – che il festival ha opportunamente pensato di aprire al posto della troppo piccola sala Buñuel – Sly è stato travolto dall’entusiasmo dei fan. Se l’attore – classe 1946, nato a New York – ha mostrato i muscoli sulla Montée des Marches, in sala ha sfoggiato soprattutto sorrisi. “Yo!”, ha risposto alla folla festante mentre si accomodava per iniziare il suo dialogo con Didier Allouch, preludio alla proiezione, in serata, di alcune immagini del nuovo Rambo, il numero 5, dal titolo Last Blood.

Jeans, stivali e camicia scozzese, Stallone ha parlato diffusamente dei franchise di Rocky e Rambo, ostentando senza esitazioni acciacchi e debolezze. “Quanto è stato importante il mio corpo per la mia carriera? Beh, oggi parliamo di quel che ne resta – ha detto ridendo – Ormai sono bionico, la mattina devo mettere l’olio alle giunture, sono pieno di ferite di battaglia e non cerco di nasconderle”.

Prima di riuscire a mettere in piedi Rocky – tre premi Oscar nel 1976: Miglior Film Regia e Montaggio – Sly racconta di aver preso molti cazzotti. “Sulla carta una storia di boxe con un attore sconosciuto era un fallimento garantito. L’abbiamo girato in 25 giorni con meno di un milione di dollari. Come protagonista non volevano me, anzi avrebbero preso chiunque altro, persino un canguro. Io non sapevo nemmeno bene cosa stessi facendo, ho dovuto imparare la boxe, lavoravamo quasi gratis, i costumi erano i nostri vestiti. E una volta fatto, non volevano distribuirlo, abbiamo dovuto lottare, anche per quello”. Quel film, che ha fatto la storia e dato il via a una saga che ora, dopo sei film, continua con la serie Creed, “Non è un film sulla boxe – ribadisce Sly – il pugilato è solo una metafora del fatto che la vita è una lotta. Nello stesso anno usciva Taxi Driver, un film politico su tempi bui, Rocky invece era un film ottimista che ha trovato le persone pronte per il cambiamento. Oggi di persone isolate come Rocky ce ne sono più che mai. La lotta è sempre più dura”.

Rambo, invece, è un film che ha a che fare con il lato oscuro. “Originariamente Rambo era solo una bella storia sull’alienazione, poi mi sono reso conto del fatto che i veterani del Vietnam erano incredibilmente deteriorati, tra loro c’erano molti suicidi. C’è stata un’interpretazione politica del film ma io all’epoca non avevo mai nemmeno votato, non avevo nulla a che fare con la politica! Ho capito molte cose quando Reagan un giorno mi ha detto che amava molto Rambo… io ho pensato: ma è repubblicano!”. Con un arrivo nelle sale previsto in settembre prossimo, Rambo V: Last Blood mostrerà l’eroe tornato a casa dopo la fine dell’ultimo film. “Ancora in preda al senso di colpa per essere un sopravvissuto, cerca di salvare più persone possibili. Ha un bel ranch ma vive letteralmente sotto terra”.

Oltre 40 anni di carriera, 60 film fatti, di cui 25 scritti e 8 diretti, Sylvester Stallone sente però di essere “chiuso in una scatola”: “Sapevo di essere limitato come attore per il tipo fisico che rappresento, ma è naturale. Probabilmente Dustin Hoffman non potrebbe fare Rambo e io non potrei fare Tootsie. Quando ho fatto Cop Land di James Mangold, però, ho recitato con Harvey Keitel e Robert De Niro, e ho dimostrato che potevo essere credibile anche in ruoli diversi dall’action man”. 

In chiusura dell’incontro Sly riflette, infine, sull’eredità che potrebbe lasciare: “È una cosa che non si può pianificare. Quello che so è che non bisogna mai smettere di lottare”.

24 Maggio 2019

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