Richard e i senzatetto della Comunità di Sant’Egidio

Alla mensa per i poveri a Trastevere, l'attore ha presentato Gli invisibili, da lui interpretato, ai senzatetto cui è dedicato. “Mi scalda il cuore vedere le facce di questi fratelli e sorelle"


Da Villa Taverna, sede dell’ambasciata americana a Roma, alla mensa per i poveri della Comunità di Sant’Egidio a Trastevere. Richard Gere ha voluto mostrare il suo ultimo film sui senzatetto, Gli invisibili di Oren Moverman, da lui interpretato e coprodotto, a coloro cui è dedicato. “Mi scalda il cuore vedere le facce di tutti questi fratelli e sorelle, perché solo le persone curano le persone. Non i soldi, non la politica, non i governi, ma gli esseri umani che si guardano negli occhi e sanno ascoltare le storie degli altri. Ecco questo è l’inizio di qualsiasi processo di guarigione”, esordisce il famoso attore in una sala affollatissima e calorosa.
E’ sorridente, disponibile, rassicurante, saluta e abbraccia alcuni degli ospiti della Comunità. Cita Papa Francesco e il Dalai Lama come esempio di compassione e misericordia nei confronti degli emarginati, dei rifugiati, dei migranti. “Entrambi , benché persone importanti, non vedono le differenze, abbracciano tutti allo stesso modo”.
Vorrebbe cambiare la Costituzione americana per consentire a Barak Obama un terzo mandato come presidente. Alle presidenziali Usa non fa certo il tifo per Donald Trump:”non dovrebbero avere paura solo gli homeless, se vincesse lui, ma anche le donne, i giornalisti e tutti i liberi pensatori. E anche, certamente, i musulmani”. Quanto a Hillary Clinton è “una persona responsabile e solida, ma non troppo brava a vendersi”.

Poi parla del suo film che passerà l’11 giugno al Festival di Taormina di cui l’attore è presidente onorario (al Teatro Antico sono attesi 300 senzatetto e ikl ricavato della serata andrà  a favore della fio.PSD) e uscirà per Lucky Red il 15 dello stesso mese. Accanto a lui ci sono: Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, che ricorda le 7mila persone che a Roma vivono per strada, 50mila in Italia; e Andrea Occhipinti di Lucky Red, “questo film mi spinge a essere meno indifferente verso quei senza casa che incrociamo ogni giorno”.
Gere ricorda l’iniziale scetticismo del distributore italiano di altri suoi film, una certa resistenza comprensibile per un imprenditore. “Ho allora ricordato a Andrea che il profitto si misura in termini di bene che possiamo fare al mondo e non in termini di denaro… così è diventato la prima compagnia socialista di distribuzione”.
Gere è George, un uomo senza casa, lavoro e famiglia che vaga per le strade di una New York indifferente, fatta di rumori e frammenti di discorsi. George che ha perso tutto, trova rifugio nel più grande centro di accoglienza di Manhattan. E’ un ambiente non facile, colmo di storie di sofferenza e solitudine, eppure George riesce a fare amicizia con un veterano del centro (Ben Vereen). Lentamente riacquista la speranza che la sua vita possa tornare ad essere normale. 


Gere, prima di girare il film, era rimasto in contatto per molto tempo con un’organizzazione di homeless di New York, città dove vivono 60mila senza tetto, a fronte di una cifra statunitense che oscilla tra i 600mila e un milione di senza casa. “E’ ormai un fenomeno della società contemporanea che non possiamo rimuovere. Dobbiamo occuparci di queste persone”. dice l’attore.
Mentre Gere era impegnato nella lavorazione del film, era stata pubblicato “Land f the Lost Souls” di Cadillac Man, pseudonimo di un senzatetto che raccontava la sua esperienza, senza essere uno scrittore di professione. “E’ stato toccante e illuminante leggere questo libro, mi ha fatto capire come avremmo dovuto costruire il film. Anche perché non ci siamo basati sullo schema drammaturgico, ma sul resoconto della realtà, della vita di tutti i giorni di queste persone, evitando le scene lacrimevoli”.

Cadillac Man ha fatto un po’ da supervisore durante tutta la lavorazione del film che ha chiesto molto impegno. Soltanto durante le riprese per le strade di New York, Gere ha avuto la percezione di come ci si possa sentire quando si è ‘invisibili’, quando si è perso qualsiasi contatto con gli amici, la famiglia, la società. “Ho avuto una consapevolezza profonda del margine esiguo che passa tra l’essere una persona integrata e una persona che perde tutto. Ho compreso l’estrema vulnerabilità di tutti noi”.
Gere ha affrontato questo film come tutti gli altri, pensando a un viaggio di cui non si vuole conoscere in anticipo che cosa ci accadrà lungo la strada. “Quello che mi ha spinto a fare questo film è stata la consapevolezza di quanto sia fondamentale la ricerca di una casa piena di amore e compassione, di un posto in cui siamo e dal quale veniamo”.

Credibile in questo ruolo di senza tetto? “E’ una domanda che mi sono posto, e del resto è naturale che un attore se la ponga. Ricordo il primo giorno che abbiamo girato l’ultima scena, quella dell’elemosina, per le strade di New York. E’ durata 45 minuti e nessuno mi ha guardato o riconosciuto, così ho capito di essere sulla strada giusta”.

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