Quante sono le Cinecittà?


La frase più ricorrente a proposito di Cinecittà in questi giorni è “salviamo la fabbrica dei sogni”.
E’ ovviamente una frase ad effetto che fa presagire oscure intenzioni di chiudere il luogo dove Fellini, ma anche la Cleopatra di Liz Taylor hanno creato immagini ed emozioni che fanno parte del DNA mondiale.

Ma di quale Cinecittà si parla? Non è colpa del lettore o di chi non si occupa di cinema leggere Cinecittà e pensare agli Studios della Tucolana: quella “misteriosa” zona recintata, voluta da Mussolini e ancora lì a custodire segreti e atmosfere raccontati nel film di Fellini Intervista.
Dalla fine degli anni 90 è stata fondata una società privata che si chiama appunto Cinecittà Studios, con molti soci prestigiosi fa cui Luigi Abete, Diego e Andrea Della Valle, la famiglia Haggiag, presieduta dallo stesso Luigi Abete, che gestisce i teatri di posa e la postproduzione. Questa società paga un affitto per l’uso di questi spazi a quella che oggi si chiama Cinecittà Luce s.p.a., vero oggetto della riforma contenuta nel decreto Tremonti. Cinecittà Studios (che nessuno ha intenzione di chiudere) ha la funzione di continuare a produrre sogni. Per conservarli basta un Museo, che peraltro è tra i progetti futuri. Ed è questo che la società sta, nelle difficoltà del momento, continuando a fare.

Nel maggio 2009 al termine di una fusione fra Istituto Luce e Cinecittà Holding (che aveva già incorporato Filmitalia, l’agenzia per la promozione del cinema italiano all’estero) è nata Cinecittà Luce s.p.a., il cui azionista è il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che agisce per conto del Ministero del Tesoro. Questa società vive dell’affitto dei terreni e dei teatri a Cinecittà Studios, della concessione alla stessa società dell’uso del marchio “Cinecittà” e del contributo erogato sul Fondo Unico dello Spettacolo. Le tre attività principali svolte da Cinecittà Luce s.p.a. sono: conservazione e commercializzazione dell’Archivio Storico dell’Istituto Luce e conseguente produzione di documentari che utilizzano il materiale d’archivio, distribuzione nelle sale cinematografiche di opere prime e seconde, promozione del cinema classico e contemporaneo all’estero. Il finanziamento totale percepito fino a qualche anno fa dalle tre società fuse in Cinecittà Luce era di circa 34 Milioni di Euro con un organico fra personale e dirigenti di circa 150 persone. Oggi il contributo è di circa 13 Milioni di Euro e le persone che ci lavorano sono 124.

Se non si parte da questi dati non si capisce cosa ci sia dietro al famoso decreto di riforma, che non è stato concepito dal Ministro Tremonti ma dal Ministro Galan.
I compiti di Cinecittà Luce sono definiti da un atto di indirizzo del Ministro per i Beni e le Attività Culturali e oltre a quelle già citate ci sono alcune attività di supporto ai produttori che si svolgono presso la Direzione Generale del Cinema, come il Tax Credit.
Chi amministra questa società dal 2009 intende Cinecittà Luce come una struttura di servizio all’industria cinematografica, utile alla attività di produzione (la promozione all’estero che crei un terreno favorevole alla vendita dei diritti dei nostri film) e alla distribuzione facendo circolare opere prime e seconde, serbatoio indispensabile per l’individuazione di nuovi talenti, sempre più difficili da trovare nei listini delle distribuzioni più importanti. Alcuni titoli recentemente distribuiti da Cinecittà Luce: Venti Sigarette, Into Paradiso, Corpo Celeste.

Una stretta collaborazione con ANICA (l’associazione dei produttori) ha dato risultati molto soddisfacienti sul piano delle iniziative di divulgazione dei nuovi sistemi di agevolazione fiscale (tax credit), del supporto alla presenza dei nostri film nei principali festival, nelle rassegne autoprodotte (New York, Los Angeles, Tokyo, Madrid, Londra, Istanbul…) e nella continuità di rapporti con i distributori esteri. Dati recenti dimostrano un aumento non solo della presenza italiana nei festival ma anche delle vendite. Insomma un sistema che avvalendosi di un reale coordinamento fra tutte le forze interessate (compreso il Ministero dello Sviluppo Economico) punti a rafforzare un’industria finora carente di strutture stabili e lasciata un po’ alla iniziativa dei singoli.

La riforma quindi nasce dalla necessità di mantenere ed anzi aumentare l’efficacia dell’azione di Cinecittà Luce, adeguando le risorse umane alle mansioni di interesse generale stabilite dall’atto di indirizzo. Gli obiettivi condivisi dalla società e ribaditi anche dal sindacato sono stati pienamente recepiti e confermati dal Ministro Galan nella audizione presso la Commissione Cultura del Senato. Si tratta di salvaguardare la società mantenendo il patrimonio dell’area degli Studios sotto il suo controllo (fonte di cespiti necessari al mantenimento della struttura), confermare l’atto di indirizzo già oggetto dell’attività nel precedente biennio (Archivio, Opere prime e seconde, cineteca e promozione del cinema contemporaneo, attività di supporto alla Direzione Generale), salvaguardare l’occupazione mediante trasferimento al MiBAC di parte del personale e definizione dell’organico che rimane attraverso criteri di competenza professionale ed esperienza necessari all’esecuzione dei compiti previsti. Un percorso che andrà affrontato con le organizzazioni sindacali nell’interesse di tutti.

Ecco perché paventare genericamente la minaccia di chiusura di Cinecittà può generare una serie di equivoci. Abbiamo spiegato che la riforma non tocca la Cinecittà fabbrica dei sogni che è una società privata da quasi 20 anni. Non viene snaturata la “mission” più sopra descritta, si passa da una progettualità annuale a una triennale indispensabile per trovare anche partner finanziari pubblici e privati.

Quindi nessun problema? Solo demagogia da parte di chi grida “al lupo al lupo”? Vorrei ricordare che qualche mese fa, prima del reintegro del FUS e delle norme sugli incentivi fiscali, Cinecittà Luce rischiava di non avere fondi sufficienti nemmeno alla conservazione dell’Archivio. Allora tutto il mondo attento alla salvaguardia della cultura, e non solo quello dello spettacolo, si è sollevato (da Benigni alla Academy of Motion Pictures) per dire che non si poteva “spegnere” la memoria e la storia per immagini del nostro paese. Una protesta sacrosanta che ha contribuito alla (almeno parziale) soluzione delle risorse economiche. Ma la vera preoccupazione nasce non dalla sparizione di Cinecittà Luce s.p.a. e di quanto fa oggi, ma dal non inserire questa casella in un più organico e strutturato progetto di riforma, che consenta un sistema di finanziamento certo, stabile ed automatico, che combini fonti economiche derivanti da prelievi sui bilanci di tutti coloro che il cinema lo usano con fondi statali finalizzati alle opere prime e seconde, alla conservazione, alla formazione etc…

Solo il varo di una riforma complessiva e la costituzione della tanto “agognata” agenzia del cinema, renderanno inutili le grida dall’allarme.
Speriamo che autori, imprenditori e la politica siano vicini a questo indispensabile passo.

20 Luglio 2011

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