Come era prevedibile, la 96ma edizione degli Academy Awards è stata dominata da Oppenheimer: un film che racconta la nascita del più grande e terribile strumento di morte mai congegnato, in un momento in cui la guerra, la distruzione e il lutto sono tornati tristemente al centro del dibattito pubblico. È stata una cerimonia in cui la guerra è stata protagonista, non solo con il trionfo del film di Nolan (vincitore di ben 7 statuette su 13 candidature), ma anche con la vittoria di 20 Days in Mariupol come Miglior documentario e di La zona d’interesse come Miglior film internazionale. I registi di entrambi questi film dal forte significato simbolico e politico – Mstyslav Černov e Jonathan Glazer – hanno fatto espliciti riferimenti ai due fronti di guerra più discussi: quello ucraino e quello israelo-palestinese. Anche lo stesso Cillian Murphy, dal suo piedistallo di vincitore del premio di Miglior attore protagonista, non si è voluto esentare a un’invocazione finale: “dedico questo premio a tutti coloro che, in ogni luogo, mediano per la pace”.
Fortunatamente gli americani sono i maestri dell’intrattenimento e hanno saputo regalare agli spettatori di tutto il mondo una cerimonia piacevole, dal ritmo sostenuto, a tratti emozionante, a tratti divertente, e, soprattutto, senza intoppi di nessun tipo. A cominciare dalla scelta di far salire sul palco tutte le maestranze coinvolte nella produzione dello show, un esplicito omaggio a chi “lavora dietro le quinte” per mandare avanti la macchina dei sogni, in un anno caratterizzato dal più lungo sciopero della storia di Hollywood. “Los Angeles ha scoperto di avere un cuore – ha ironizzato il buon conduttore Jimmy Kimmel – una città sindacalista”.
Riuscitissimo l’esperimento di far presentare gli attori e le attrici nominati dai vincitori e vincitrici del passato. Niente più clip video con il montaggio di scene dei film, ma un vero e proprio discorso di presentazione in cui 20 artisti ne omaggiano altrettanti. Vedere tante star amatissime tornare sul palco a celebrare il talento dei propri colleghi è impagabile e ha regalato tanti piccoli momenti preziosi. Tra i saluti più memorabili quello di Jamie Lee Curtis all’amica Jodie Foster, quello di Nicolas Cage, esilarante e autoironico nel presentare Paul Giamatti, o quello di Jennifer Lawrence nell’introdurre Lily Gladstone. L’attrice nativa americana avrebbe dovuto vincere la statuetta per la sua capacità di “riconciliarci con la storia del nostro paese”, eppure ha perso contro Emma Stone (entrata nel ristrettissimo club delle attrici che hanno vinto due Oscar prima dei 35 anni), regalandoci una delle poche soprese della serata.
Un’altra sorpresa è stata sicuramente la statuetta alla Migliore sceneggiatura non originale assegnata ad American Fiction, un film che denuncia con intelligenza l’ipocrisia del politicamente corretto e che, per questo, ha avuto la meglio rispetto a titoli molto più accreditati. A ritirare il premio lo sceneggiatore Cord Jefferson, che ha ringraziato l’Academy consapevole che la sua vita cambierà per sempre dopo questo riconoscimento.
Semplicemente clamorosa, infine, la vittoria di Godzilla Minus One nella categoria dedicata agli effetti speciali. Un film dal budget irrisorio rispetto agli standard hollywoodiani che batte gli statunitensi sul loro campo di battaglia, mettendo la ciliegina sulla torta di una serata storica per il Giappone. Nella categoria Miglior film animato ha vinto, infatti, Il ragazzo e l’airone del maestro Hayao Miyazaki, che si aggiudica così la sua seconda statuetta.
È stata una serata magica anche per Povere Creature! di Yorgos Lanthimos, che oltre alla vittoria di Emma Stone, ha portato a casa una splendida (e meritatissima) tripletta tecnica, vincendo Migliori costumi, Miglior scenografia e Miglior trucco e parrucco. Tre premi importantissimi a cui non ha assistito, suo malgrado, proprio Emma Stone, che era in bagno per la prima premiazione e poi al bar.
Ci ricorderemo di questa notte anche per il primo Oscar vinto da Wes Anderson, regista di culto che, dopo ben sette candidature, riceve la sua prima statuetta non per un lungometraggio, ma per un corto: La meravigliosa storia di Henry Sugar.
Tra i momenti più divertenti c’è quello che ha visto John Cena salire nudo sul palco per celebrare il 50° anniversario di una celebre invasione nudista durante una cerimonia di premiazione. Il suo compito, paradossalmente, era quello di annunciare l’Oscar ai migliori costumi. Simpatico anche il siparietto che ha visto protagonisti Arnold Schwarzenegger e Danny DeVito, che dal palco hanno provocato bonariamente Michael Keaton, rievocando i reciproci ruoli di antagonisti di Batman.
Da segnalare anche la sequenza in cui è stato celebrato il lavoro degli stuntmen, fondamentale per rendere spettacolare la macchina cinematografica. Un omaggio che prelude, forse, a una vociferata futura statuetta dedicata ai migliori stunt, da affiancare a quella per il Miglior cast, che sarà introdotta dalla prossima edizione.
Le performance delle cinque canzoni originali in competizione meritano, come di consueto, un discorso a parte. Ha aperto le danze la futura vincitrice Billie Eilish, che ha interpretato la sua intensa What I was made for? accompagnata solo dal pianoforte del fratello Finneas O’Connell. Completamente all’opposto l’altra performance tratta da Barbie, I’m just Ken, con Ryan Gosling in un abito rosa shocking borchiato. La tanto attesa esibizione del divo è stata al di sopra di ogni aspettativa: un momento che ricorderemo per tanto tempo – tra colpi di karate, coreografie monumentali e karaoke improvvisati con Greta Gerwig e Margot Robbie – che ha raggiunto il suo apice con l’assolo di chitarra di Slash, mitico chitarrista dei Guns N’ Roses.
Di grande impatto anche la performance collettiva di Wahzhazhe (A song for my people) che ha portato la musica popolare nativa americana sul palco più prestigioso del mondo. Toccante la canzone It never went away di Jon Batiste, dedicata alla moglie malata del cantante. Infine, ha letteralmente “infiammato” la scena Becky G., facendo salire sul palco un coro di bambine e ragazzine per cantare la sua The Fire Inside.
Ma forse il momento musicale più emozionante in assoluto l’hanno regalato Andrea e Matteo Bocelli. I due cantanti italiani, padre e figlio, hanno infatti accompagnato sulle note di Con te partirò il tradizionale appuntamento In memoriam, aperto da un estratto dal documentario vincitore dell’Oscar su Alexei Navalny. Ancora una volta, una presa di posizione politica, chiara ed esplicita, per un’Academy che non può – per dovere artistico e morale – ignorare le ingiustizie e le sofferenze che accadono nel resto del mondo.
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