Nel nuovo Esorcista Dio non c’è (o si nasconde bene)

In concomitanza con il ritorno in sala dell’originale di William Friedkin, arriva al cinema il nuovo Esorcista di David Gordon Green, sottotitolato 'Il credente'.


Mettiamo subito in chiaro l’ovvio: fare paragoni qualitativi con il capostipite è inappropriato, fuori luogo e forse anche poco interessante. Sicuramente questo fa meno paura e, se si eccettuano certi ‘jump scare’ certamente ben eseguiti, una volta usciti dalla sala il senso di inquietudine sparisce in pochi minuti, al contrario di quello che succedeva con il capolavoro del 1973.

Il film non punta a lasciarci addosso dubbi o ansie esistenziali, e anche la sua natura di “sequel” (che ignora però tutti i seguiti precedenti, un po’ come lo stesso Green aveva fatto per Halloween) è piuttosto labile, limitandosi all’apparizione di un paio di personaggi noti dalla pellicola di Friedkin che però svolgono qui un ruolo veramente marginale.

E questa è sicuramente la parte meno riuscita, alle prese con un fanservice di stampo disneyano che ormai risulta già una soluzione demodè e ai limiti del puerile.

Piuttosto, il regista fa quello che ha sempre fatto, anche prima della sua deriva horror: raccontare la provincia americana con tutte le sue contraddizioni e i suoi punti di forza: da un lato l’ipocrisia, la patina di perbenismo, i rituali di forma, dall’altro la capacità di unirsi e fare squadra con o senza il crisma dell’ufficialità, per combattere il male tutti insieme anche a rischio di favorirlo invece che di allontanarlo.

Esattamente come in Halloween Kills, che della sua trilogia su Michael Myers – a proposito, se avrà successo, anche questo film ne genererà una – era sicuramente il più riuscito. Inoltre – e questo, che sia riuscito o no, è sicuramente il punto di svolta più interessante dell’operazione – si decide di picchiare duro proprio sulla Chiesa e i credenti, che in un modo o nell’altro (non vi diciamo come, tranquilli) finiscono per agevolare il Diavolo piuttosto che contrastarlo, mentre l’ateo di ferro diventa capo di una squadra speciale che capisce, o almeno ci prova, che la vera lotta non è tanto tra Dio e Satana quanto tra quest’ultimo e l’umanità.

Se Dio c’è o no, resta poco chiaro.

Sicuramente non c’è il prete, che preferisce pregare da solo in macchina mentre la vera battaglia si tiene da un’altra parte. Con questo espediente – similmente a quanto fatto da Friedkin, peraltro – il film riesce a bypassare parzialmente il problema insito in tutte le storie di esorcismo, comprese quelle presentate come “reali”: una contraddizione in termini che funziona se accettatata in termini fideistici ma risulta lacunosa e risibile dal punto di vista della logica narrativa.

Dal punto di vista di chi crede, il Diavolo deve essere al contempo potente, pericoloso, astuto eppure sempre finire per sottomettersi a Dio. E allora chi è più forte? Se lo è il Diavolo, perché non sgozza subito l’esorcista di turno e tanti saluti? E se è Dio, perché non interviene subito per spazzare via il male?

Se c’è una cosa interessante qui, è proprio questo abbassamento della posta, con derivo antropologico-sociale, che rende tutto più a misura d’uomo e, se vogliamo, credibile. Forse il vero paragone da fare è con il recente L’esorcista del papa – ispirato alla figura di Gabriele Amorth – e il film di Green ne esce vincitore a mani basse, regalando anche qualche spunto visivo e concettuale di livello come l’esorcismo “doppio” su due ragazzine invece che una, l’una bianca, l’altra nera, a simboleggiare quanto il Male sia un problema diffuso al di là delle etnie, dell’estrazione sociale e delle singole credenze, ivi compreso il non credere affatto.

05 Ottobre 2023

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