Milena Vukotic, nel trentennale della scomparsa di Federico Fellini, ci restituisce un ricordo personale del Maestro e della moglie Giulietta Masina: dalla prima visione de La strada alla lettera di presentazione, dal primo incontro a Cinecittà, da Boccaccio ’70 a Giulietta degli Spiriti.
Signora Vukotic, si trovava a Parigi e la danza era la sua professione quando guardò La strada per la prima volta e lì decise che avrebbe dovuto incontrare l’autore di quel film: cosa le suscitò la convinzione di voler conoscere Fellini e in fondo da quale desiderio ultimo era spinta?
In quel periodo lavoravo in una compagnia di danza, giravo il mondo, era la mia prima professione, ero già avviata: mi trovavo in Francia quando ho visto il film e guardare quell’opera d’arte mi ha emozionata, ha aperto delle nuove porte dentro di me, è difficile da spiegare perché non s’è trattato di una sola cosa precisa; l’aver visto quel film mi aveva talmente colpita che da lì in poi ho cercato di tentare di conoscerlo. Siccome mia mamma viveva a Roma, dove sono nata, da lì a poco ho lasciato la compagnia e sono tornata: avevo già seguito dei corsi di teatro a Parigi, durante il Conservatorio, per cui ho proprio fatto un taglio con la danza e sono rientrata; da lì in poi ho cercato di trovare qualcuno che mi presentasse Fellini, così è stato perché ho avuto una lettera di presentazione, e poi ho chiesto un appuntamento: così sono arrivata nel suo ufficio.
Qual è esattamente il ricordo del vostro primissimo incontro? Ricorda dove avvenne e cosa le disse?
Sì, certo, avvenne a Via della Croce: non gli diedi nemmeno la lettera di presentazione per quanto fossi emozionata; lui stava preparando un film e mi fece subito fare delle fotografie, da un fotografo che era lì in ufficio, e dopo un po’ mi chiamò per fare una parte in un film a episodi, Boccaccio ’70, una piccola apparizione ne Le tentazioni del dottor Antonio, avevo una battuta.
La scelse poi per Giulietta degli Spiriti: lei arrivò a lavorare con Fellini dopo essere stata diretta da Damiani, Blasetti, Risi, Wertmüller. Cosa c’era in quel film, allora, che la affascinò e qual è il valore che tutt’oggi gli riconosce?
Lui mi chiamò per fare Elisabetta, una parte vicino a Giulietta (Masina): poi, feci anche la parte della santa che brucia, quella fu una cosa un po’ improvvisata; lì ho conosciuto Giulietta, con cui avevamo una complicità, mi aiutava, mi dava dei consigli, e d’altronde io avevo già ammirato questa grande artista ne La strada, è stata lei in fondo a crearmi lo sconvolgimento; averla lì vicino è stata un’ulteriore apertura dentro di me verso questo mondo poetico, che loro insieme avevano trasmesso.
C’è un aneddoto che si porta dietro da quel set del ’65?
Non in particolare. Ci sono state tante cose, come l’essere ospite a casa loro a Fregene, vicino alla villa di Lina Wertmüller. Federico una sera chiese a Giulietta di inventarsi qualcosa in cucina e lei fece la pasta e fagioli, mentre arrivarono altri amici: fu una serata allegra, come sempre quando lui era presente.
Lei col tempo divenne, dunque, anche amica personale di Fellini e Masina: quali qualità riconosce nell’uomo?
Lui era un uomo solare, una persona che riusciva a salvare la parte giocosa della vita e, infatti, quando si stava con lui ci divertivamo tutti perché era talmente ricco di umanità che riusciva a dare a ognuno una grande importanza: aveva la capacità di tirar fuori l’animo delle persone ma anche l’aspetto spiritoso e allegro di ciascuno.
Fellini, si sa, abitava a Cinecittà: ha ricordo di questo suo rapporto viscerale con questo luogo?
Lui lì aveva un letto e tutto quello che gli serviva. Ricordo di quando stava girando Ginger e Fred: io ogni tanto andavo a trovarli sul set anche se non c’entravo niente, ma entrambi mi invitavano sempre; Giulietta era in pausa, in camerino, e mi disse: ‘sto preparando dei panini per Federico, che adesso viene su, fa merenda’, un ricordo famigliare. Cinecittà era considerata casa.
Dopo tre decenni dalla scomparsa di Fellini, quali sono le caratteristiche che fanno rimanere sempre attuale il suo cinema?
Più che il suo cinema, sono la sua umanità e la sua poesia a trapelare da tutte le parti, sono uniche e irripetibili. Non si può codificarlo, Fellini è Fellini, un grande artista come grandi artisti sono stati quelli della Storia dell’Arte.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il sottosegretario Lucia Borgonzoni hanno voluto ricordare Federico Fellini in occasione del 30° anniversario della morte
L’omaggio di CinecittàNews al più grande di sempre: il ricordo di Argento, Avati, Barillari, De Caro, Delli Colli, Ferretti, Morelli, Rubini, Verdone, Vukotic, Salvatores, Sbarigia, Tozzi
L’omaggio di CinecittàNews al più grande di sempre: il ricordo di Amelio, Angelucci, Barbera, Bertozzi, Dante, Farinelli, Garrone, Maccanico, Manetti, Mereghetti, Mollica, Rohrwacher
“Il cinema mi ha risucchiato, ma io volevo fare il mago”. La dichiarazione è di Federico Fellini ed è riportata da Filippo Ascione che il Grande Riminese chiamava affettuosamente Filippicchio