Manfredo Manfredi, da Carosello agli Oscar: “Sono un intruso dell’animazione”

Ospite della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, il pluripremiato pittore e scenografo, autore di numerosi cortometraggi animati, racconta una vita alla ricerca della giusta espressione artistica


PESARO – Da 60 anni è uno dei pionieri del cinema d’animazione italiano, eppure, Manfredo Manfredi, classe 1932, si definisce ancora “un corpo estraneo”. Protagonista di un incontro organizzato dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, il regista ha raccontato di essersi trovato per caso ad avere a che fare con questa forma d’arte. L’occasione per lui arriva a inizio anni ’60, quando la Rai gli affida la nuova sigla di Carosello. Le immagini di quattro celebri piazze italiane (Venezia, Siena, Napoli e Roma) accompagnate da un insieme di musica tradizionale è parte dell’immaginario collettivo di intere generazioni, ma a Manfredi, ammette candidamente, quella sigla non è mai piaciuta. “È solo un cartello che dice ‘Carosello’, con l’animazione al minimo, eppure è diventato il simbolo della nuova quotidianità del pubblico italiano, segnata dalla televisione”.

In anni in cui l’animazione è solo Disney, Manfredi, che nasce architetto ma sogna la pittura, inizia nel cinema da scenografo, per poi dedicarsi alla “via romana dell’animazione”, caratterizzata da un afflato sperimentale lontano dall’approccio pubblicitario della zona del milanese. “Io venivo da un campo che non era l’animazione e non sono nemmeno mai stato un lettore di fumetti. Ero in quest’arte uno strano, e ci sono rimasto”. L’opera di Manfredi è stata riconosciuta anche a livello internazionale, ottenendo nel 1978 una nomination ai premi Oscar con il corto Dedalo. Le sue opere si inscrivono in un ampio universo di citazioni che spaziano tra ispirazioni pittoriche e sperimentazioni avanguardiste; un mix spesso imprevedibile e magnetico.

Con Ballata per un pezzo da 90, del 1965, Manfredi arriva all’animazione impegnata, di taglio civile. “Normalmente questo forma aveva un’atmosfera giocosa, ma ho voluto raccontare una storia diversa, dedicando questo corto a una donna che piangeva il figlio morto accusando pubblicamente la Mafia”. Il corto, dedicato alla figura di Serafina Battaglia, vincerà alcuni premi, portando non solo l’animazione italiana verso nuovi lidi, ma imponendo questa tecnica anche sul cinema del reale, sul live-action, che in alcuni Festival si vedrà superato dall’intensità visiva del lavoro di Manfredi. Guardare Ballata per un pezzo da 90 è infatti come osservare un quadro di Guttuso prendere vita. “Ho sempre cercato di operare mettendo dentro me stesso, perché come qualsiasi forma d’arte, anche l’animazione è un modo per entrare nelle cose con uno spirito critico, non superficiale. C’è un senso d’inquietudine che deve penetrare l’opera, in maniera lenta, vicina a quello che sento”.

Fondamentale per la carriera di Manfredi è stata la Corona Cinematografica, società protagonista dell’evoluzione romana dell’animazione, con cui lavorò dal 1968 al 1975. “Era un mondo molto particolare, anni in cui al cinema, prima o dopo i film, era d’obbligo proiettare un cortometraggio. Noi cercavamo nell’animazione un’espressione artistica come espressione di sé”.

Nel 1969 in Rotocalco anticipa ad esempio le riflessioni di Enrico Ghezzi e del programma “Blob“, mostrando come l’epoca moderna sia un flusso ininterrotto di tragedie e intrattenimento, alternate in una dicotomia che ne appiattisce l’intensità. “Nel Rotocalco si passava dalle ricette di cucina alle foto dei morti durante una protesta, un flusso continuo che volevo raccontare”.

Un concetto, “il flusso”, ricorrente nell’opera di Manfredi, che racconta di essere al lavoro su un nuovo film ma di non trovare il modo di uscire dal viavai di idee e spunti che popolano la sua mente. “Non so se riuscirà a finirlo. Non ho realizzato uno storyboard e perciò sono balia di un flusso da cui è difficile uscire, ma che mi porta a continuare a lavorare”. Del 2018 il suo ultimo corto, Lo spirito della notte

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