‘Langue Étrangère’, un coming of age come metafora dell’Europa

La regista Claire Burger è in concorso alla Berlinale 2024 con un racconto di formazione dedicato alla nuova generazione


BERLINOClaire Burger lo afferma chiaramente: come artista, non le interessano i simboli politici. La regista francese, in concorso alla Berlinale 2024 con il suo terzo lungometraggio, vuole prima di tutto scrivere bei personaggi. Ed è vero; parte da qui, dall’individuo sfogliato in ogni suo aspetto, una ricerca artistica che arriva limpida allo spettatore. Era così Real Love, debutto del 2018, e anche Party Girl. Ma in Langue Étrangère, un coming of age molto moderno, l’approdo, e forse già le premesse, sono più politiche che mai, con la regista 46enne impegnata a mettere un piede nella porta di un’Europa tornata ai tumulti di qualche decennio fa (non a caso ritroviamo grande spazio al raffronto tra l’oggi e le proteste delle due Germanie a fine anni ’80). Anche per questo Burger sceglie per il suo nuovo film uno stile composito, che incrocia l’indagine intima e a tratti il documentario sociale, seguendo da subito la protagonista con una camera a mano leggermente mossa, che sfoca il soggetto come in un reportage. Non stupisce che il film sia prodotto dai fratelli Dardenne.

È forse la scelta delle sue protagoniste a dettare i toni dell’intero racconto, due diciassettenni appartenenti a una delle generazioni più politiche degli ultimi tempi. “Siete sempre così seri” le riprende uno degli adulti in una scena. Il discorso è pienamente generazionale, ma nonostante le semplificazioni si evita la superficialità. Sì, i nonni sono i più razzisti (e votano l’AFD tedesca). Certo, i “boomer” hanno una vita disastrata e la “GenZ” pensa ai massimi sistemi tra Climate Change e ingiustizie sociali. Ma c’è dell’altro. C’è, in Langue Étrangère, un animo da delicato racconto di formazione, quei personaggi ben scritti che sono alla base dell’intera struttura e allontanano il rumore di fondo della società per seguire anche la scoperta reciproca tra due giovani.

Aspetto fondamentale, che qui sì, si fa simbolo, e torna anche nel titolo, sono le lingue parlate dalle protagoniste. Fanny (Lilith Grasmug) è francese, e grazie a uno scambio organizzato dalla sua scuola arriva a Leipzig, in Germania. Qui conosce Lena (Josefa Heinsius), con cui condivide l’età e l’appartenenza a una famiglia ugualmente turbolenta, abbiente economicamente ma povera in tutto il resto. Lo scambio tra tedesco e francese crea una lingua terza, quella che solo loro riescono a parlare tra comunicazioni non verbali e scambi di sguardi. Lena è un’attivista convinta, neo-femminista mossa da grandi ideologie e speranze, un carattere forte a cui Fanny si affiderà in cerca di un’alternativa al mondo che conosce.

Langue Étrangère si divide tra Germania e Francia sottolineando le differenze culturali, ma raccogliendo in uno stesso sguardo molti problemi delle società moderne. A riassumerli sono anche le contraddizioni violente e pericolose – eppure affascinanti per una coppia di 17enni – delle rivolte black bloc, a cui il film si lega in un terzo atto in crescendo, quando anche l’apparente innocenza giovanile delle due lascia il passo a verità meno assolute e più sfumate. L’assenza di adulti affidabili – Chiara Mastroianni interpreta la madre di Lena: qui gli adulti hanno paura dello sguardo severo dei figli – produce voragini nella vita di queste giovani. Lena infatti vive di ideali assoluti, Fanny di mondi inventati tra bugie e mezze verità che trascineranno in fondo anche la propria amata. Continue, nel primo atto, le scene con le due ragazze immerse in una piccola piscina esterna riscaldata, luogo sicuro in cui rifugiarsi, dove si premurano a vicenda che la pelle dei piedi si sia raggrinzita abbastanza da confermare di essere rimaste a lungo lontane dal mondo.

Claire Burger ha parlato in occasione della presentazione del film del rapporto tra nuove generazioni e famiglie scosse dalle difficoltà del presente, acuite dal periodo del lockdown. “I giovani non gestivano bene la situazione, in particolare nella mia famiglia. Intorno a me c’erano tentativi di suicidio, anoressia, lotte fisiche e mentali. Mi ha davvero colpito, quindi volevo scrivere di come questa generazione è stata colpita”. Langue Étrangère è anche un film divertito dai propri personaggi e dai limiti che li attraversano. Il finale, un po’ fiabesco, si riappropria di una leggerezza giovanile che è speranza nonostante il dramma della vita adulta. Un vero romanzo di formazione a mo’ di catalogo generazionale, che nasconde in sé metafore politiche grazie alle quali non passa inosservato. Due elementi posti in parallelo e non in conflitto, come se il primo atto politico fosse conoscersi attraverso l’altro e dunque infine crescere, proprio ciò che accade tra Lena e Fanny.

Tra Lipsia e Strasburgo, anche grazie all’intreccio linguistico continuamente proposto nell’incontro tra le due giovani innamorate, si crea un rapporto che richiama ai grandi temi cogenti per l’intera UE. “Queste due ragazze e le loro famiglie – ha dichiarato la regista – sono una metafora del rapporto tra Francia e Germania e l’intera Unione Europea”, continua Burger. “Non sempre ci crediamo, spesso ci mentiamo, a volte non ci capiamo, ma cerchiamo di comprendere anche oltre la questione del linguaggio”.

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20 Febbraio 2024

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