“Negli ultimi mesi e settimane anche quando è stato malissimo, papà ha sempre cercato rabbiosamente e furiosamente di lavorare al suo nuovo film Il canto delle meduse e il suo desiderio più grande fino all’ultimo è stato quello di dire queste due parole: motore e azione”.
È il figlio di Paolo Taviani, Ermanno, a concludere la cerimonia laica che si è svolta stamani in Campidoglio, nella sala della Protomoteca, una sala affollata di colleghi, amici, gente di cinema che ha voluto dare l’ultimo saluto al regista morto il 29 febbraio a 92 anni. Le note e le immagini dell’ultimo film, Leonora addio, l’unico girato senza il fratello Vittorio, hanno accolto il feretro coperto da un cuscino di rose rosse della vedova del regista, Lina Nerli Taviani, costumista di tutti i suoi film, insieme ai figli Valentina ed Ermanno e ai nipoti. Tra i fiori anche quelli di Paola Cortellesi e Riccardo Milani, tra le presenze commosse Paolo Virzì, Laura Morante, Pupi Avati, Lello Arena, Nanni Moretti che si è seduto in fondo alla sala, Jasmine Trinca, Walter Veltroni, Angelo Barbagallo, Roberto Andò, Mario Martone, Beppe Fiorello, Antonio Manetti, Roberto Cicutto.
Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, città adottiva di Paolo, insieme all’assessore Miguel Gotor e al sindaco della città natale San Miniato Simone Giglioli hanno preso la parola ricordando la figura artistica e umana di Paolo. Tra gli interventi anche quello del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, che ha parlato della patria identitaria di Paolo e Vittorio.
“Abbiamo un grande sentimento di affetto e gratitudine – dice il sindaco di Roma Roberto Gualtieri – Ci siamo formati con i loro film, con personaggi capaci di toccarci nel profondo e farci riflettere”. E ancora: “Nel cinema di Paolo e Vittorio c’era lo scarto tra le scelte e la vita delle persone e grandi eventi che ci hanno segnato, il rapporto fra il popolo e una Storia di individui. Avevano il dono naturale del racconto, dai grandi autori come Shakespeare e Pirandello al passo lungo del racconto popolare. I loro film non invecchiano, sono classici, universali, accessibili, proiettati nel futuro”.
“Il cinema dei fratelli Taviani è stato per me fondativo di un certo modo di guardare il racconto cinematografico immergendosi nelle radici popolari e trasformandolo in epica e poesia – ha detto all’Ansa Paolo Virzì – C’è in particolare un film, La notte di San Lorenzo, che io e la mia famiglia – aggiunge – guardavamo religiosamente perché raccontava la nostra storia in un modo tenero e struggente. Paolo era una persona dolcissima e generosa, un grande amico che mi accolse quando ero giovanissimo, al quale chiesi tanti consigli e che mi diede spesso coraggio. Io gli chiesi anche dov’è che comprasse quei bellissimi cappellini cinesi e lui me ne regalò uno, quello che porto oggi”.
Simone Giglioli ha ricordato come a settembre scorso Paolo fosse andato a San Miniato per i 40 anni de La notte di San Lorenzo, “accolto da un bagno di folla”. E ha sottolineato come il documentario San Miniato 1944, oggi andato perduto, fosse stato il primo lavoro dei fratelli, che partivano dalle radici toscane.
Roberto Perpignani, montatore, insieme a loro dal ‘68, ha ricordato come l’avesse sentito da poco al telefono: “Aveva una voce brillante ed era desideroso di tornare a lavorare al nuovo progetto, Il canto delle meduse”.
Intervengono anche la produttrice di tutti gli ultimi film, tra cui Cesare deve morire, Donatella Palermo, e l’attore Claudio Bigagli, con loro in tante avventure cinematografiche, tra cui Kaos e Fiorile. Per lui “i film di Paolo e Vittorio curano l’anima”.
Marco Bellocchio pronuncia un breve discorso aperto dall’amara riflessione: “Era in prima linea nel senso che non ci sono cineasti davanti a lui e noi siamo i prossimi. Ma è morto lavorando, stava iniziando il nuovo film e chiudere a 92 anni lavorando è qualcosa da augurarsi”.
Commossi e personali i ricordi dei nipoti, Sebastiano ed Emilia. Come quelli degli amici dei figli, che rievocano tante vacanze a Salina.
Infine è il figlio Ermanno, anche a nome della sorella Valentina, a raccontare tanti aspetti di una personalità intensa, ricca di cultura, sempre politicamente impegnata. “Con Valentino Orsini, a cui mia sorella deve il nome, hanno fatto i primi film. Al PCI sono stati iscritti tutta la vita, tranne per la parentesi dei fatti di Ungheria e ho scoperto che sono stati a lungo spiati dalla polizia, in quanto comunisti ed esistenzialisti, ovvero seguaci di Jean Paul Sartre. Con nostra madre sono stati insieme 70 anni, lei partì per Roma a 21 anni con un ragazzo comunista che voleva fare il cinema e in quel momento non era una scelta banale”.
E ancora: “Quando finiva un film buttava tutto, appunti, bozze di sceneggiatura, per non sovraccaricarsi. Abbiamo continuato a parlare al plurale anche quando Vittorio non c’era più e tanto spesso sono stato definito figlio dei fratelli Taviani, il che non mi dispiaceva”.
E sulla capacità di rinnovarsi continuamente: “Ha diretto l’ultimo film a 90 anni sperimentando ancora. Ci spingeva a cercare sempre strade nuove per cambiare. Raccontava di quando, nel ’46, votarono per la prima volta e della grande festa che fece nostro nonno quando l’Italia divenne repubblicana. In tutti i loro film ci sono elementi di storia della nostra famiglia, magari non così evidenti, ma per noi lo sono. Poi La notte di San Lorenzo è proprio autobiografico. Il mio ricordo più bello? Recitare con Mastroianni in Allonsanfàn”.
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