Giorgio Pasotti: “Il mio nuovo film su multinazionali, top manager e potere”

Ultimamente lo abbiamo visto molto impegnato su diversi fronti teatrali, ma nel frattempo l’attore sta lavorando al suo nuovo progetto cinematografico da regista


SALINA – Ultimamente lo abbiamo visto molto impegnato su diversi fronti teatrali (da Il Metodo a Da Shakespeare a Pirandello), ma nel frattempo l’attore Giorgio Pasotti sta lavorando al suo nuovo progetto cinematografico da regista. Lo svela a Mare Festival 2016, nel raccontare i suoi progetti post-vacanze: “A settembre mi vedrete in una nuova fiction tv, di cui posso solo anticipare che avrò accanto un cantante famoso, saremo una bella coppia inedita. Inoltre mi sono già stati proposti un paio di film per il cinema e la prossima estate debutterò con un nuovo spettacolo, un grande classico, a Verona”.

Il teatro è sempre stata la sua passione…
Lo è sempre di più, trovo stia finalmente recuperando il giusto spazio anche attraverso un nuovo modo di riproporre i grandi classici. Arrivare al pubblico è tutto: mi piace vedere che i teatri si stiano ripopolando, è un buon segno.

Cosa può anticipare del suo nuovo film da regista, il secondo dopo Io e Arlecchino?

Ho scelto di incentrarlo su un tema che ci riguarda da vicino: il mondo del lavoro. In particolare racconta di come vengano assunti i top manager nelle grandi multinazionali. Noi immaginiamo che debbano affrontare test incredibilmente difficili dove devi dimostrare la tua preparazione specifica…

Non è così?

No, ho scoperto che spesso si tratta di tutt’altro: test aggressivi, indagatori soprattutto del privato delle persone. Ora, a questi leader è richiesto di governare, perché oggi i top manager prendono il posto dei politici di un tempo: sono le grandi multinazionali a gestire il potere e decretare ormai certe leggi. Ebbene, incredibile ma vero, per arrivare a quel livello devono superare test al limite dell’imbarazzante: viene chiesto loro di simulare una gallina o un altro animale, di dimostrare che devi essere il solo meritevole di salvezza in un aereo in fiamme con un unico paracadute, roba del genere. Pensate ai vari Marchionne alle prese con questi test: quanto meno viene da sorridere, no?

L’idea da dove nasce?

Dal testo di un autore catalano molto rappresentato a teatro. Io ho pensato di prendere questa storia e farne una trasposizione cinematografica con un respiro più ampio: la sto scrivendo con un ex avvocato autore di altre sceneggiature, Federico Baccomo, che ha scritto già La gente che sta bene.

Cosa la affascina dello stare dietro la macchina da presa?

La possibilità di poter narrare una storia dal mio punto di vista. Puoi raccontare una cosa in mille modi diversi, personalissimi, tutti degni di attenzione. A me piace pensare di poter emozionare un pubblico attraverso il mio sguardo.

Dirigere altri attori, da attore, che effetto fa?

E’ un processo stimolante e piuttosto facile, sai già cosa dire a un tuo collega per ottenere una determinata prestazione. Però lo sforzo che devi fare, quando passi alla regia, è staccarti dalla storia per avere un quadro di insieme, avere una distanza dai personaggi. Per un attore questa distanza è cosa faticosa, sei troppo coinvolto. Inoltre il primo film mi ha insegnato che un regista è una sorta di psicologo, un po’ un papà e un po’ mamma, di ogni attore.

Tornando al suo film, sarà lei ad interpretare il top manager protagonista?

Avevo scritto Io e Arlecchino pensando ad altri attori, ma quando sono andato a chiedere finanziamenti mi è stato detto: “Intanto interpretalo tu, poi vediamo”. Stavolta vorrei non metterci assolutamente la faccia e curare solo la regia, vedremo se me lo faranno fare.

05 Agosto 2016

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